Ai fini del dolo non è necessario provare che l'agente abbia avuto perfetta consapevolezza della tipologia del reato presupposto bensì è sufficiente che egli abbia agito con l'intento di trasformare le somme da esso derivanti.
La Corte d'Appello confermava la condanna emessa nei confronti dell'imputato per il reato di riciclaggio di denaro quale provento del precedente delitto di peculato commesso dal padre.
L'incolpato adisce così la Cassazione, lamentando, tra più motivi, il travisamento della prova in ordine al reato addebitatogli, in quanto i...
Svolgimento del processo
1.1 Con sentenza in data 17 gennaio 2020, la corte di appello di Roma, confermava la pronuncia del Tribunale di Latina del 26 gennaio 2016 che aveva condannato M.D. alle pene di legge perché ritenuta colpevole di riciclaggio di somme di denaro provento del precedente delitto di peculato commesso dal padre P..
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputata che, con distinti motivi qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod.proc.pen., lamentava: - violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione al travisamento della prova avente ad oggetto il reato presupposto di peculato, posto che: le dichiarazioni del Maresciallo D.G. erano state erroneamente interpretate essendosi limitato lo stesso ad effettuare controlli sul software C., non erano stati effettuati riscontri presso i destinatari dei pagamenti, ulteriori errori erano stati compiuti nella ricostruzione della procedura di annullamento dei mandati, indicata dalla corte come sintomatica dell'occultamento delle operazioni illecite da parte del M. e che invece risultava totalmente travisata essendovi mandati non annullati la cui esistenza disarticolerebbe l'intero costrutto accusatorio; inoltre, si era erroneamente ritenuto che il sistema contabile del comune di Terracina fosse informatizzato e si era riferito di alterazioni dello stesso sistema informatico mai accertate; ancora, dall'audizione del consulente ing. R., non era stato possibile risalire alle attività effettuate dai titolari delle password per assenza dei files di log e lo stesso, comunque, aveva escluso che attività di alterazione del sistema avessero inficiato i bilanci del comune; in conclusione, quindi, il delitto di peculato contestato a M. P. non poteva dirsi provato in alcun modo; - violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. e difetto di motivazione per travisamento della prova in ordine al reato di riciclaggio posto che, dai redditi complessivi del nucleo familiare M. per gli anni in contestazione, risultavano proventi compatibili con i movimenti sui conti correnti della ricorrente, in quanto derivanti dalle attività lavorative dei genitori; al proposito venivano ricostruiti i movimenti ed i versamenti per affermare che gli stessi provenivano da legittimi e chiare fonti reddituali; in ogni caso mancavano gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 648 bis cod.pen. posto che difettavano sia l'attività di sostituzione che di trasferimento del denaro; ancora mancava qualsiasi elemento per affermare l'elemento soggettivo in capo a D.M. che non poteva desumersi dal solo rapporto parentale, in assenza di consapevolezza in capo alla stessa del delitto presupposto di peculato e, sul punto, la motivazione doveva ritenersi meramente apparente od inesistente.
Motivi della decisione
2.1 Il primo motivo di ricorso deduce il travisamento della prova in relazione al delitto presupposto di riciclaggio ricostruendo però una frazione della condotta contestata, quella relativa all'annullamento dei mandati ed al c.d. riallineamento del sistema informatico, che non appare decisiva ai fini della sussistenza del peculato commesso da P.M.. Al proposito deve essere ricordato che secondo l'orientamento di questa Corte di cassazione la novella dell'art. 606, comma primo lett. e), cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006 consente che per la deduzione dei vizi della motivazione il ricorrente faccia riferimento come termine di comparazione anche ad atti del processo a contenuto probatorio, ed introduce così un nuovo vizio definibile come "travisamento della prova", per utilizzazione di un'informazione inesistente o per omissione della valutazione di una prova, entrambe le forme accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 2, n. 19848 del 24/05/2006 Rv. 234162 - 01). Il tema della decisività nel dedotto travisamento risulta affrontato anche da altre pronunce secondo cui in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova - desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente - è ravvisabile quando l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetto "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio. (Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Rv. 237207 - 01). Orbene, applicando i suddetti principi al caso in esame, deve ritenersi che le doglianze esposte nel primo motivo di ricorso riguardano un supposto travisamento di una frazione della condotta, quella di annullamento dei mandati, che anche ad essere esclusa, non risulta in alcun modo idonea a disarticolare l'intero ragionamento probatorio dei giudici di merito circa il perfezionamento del delitto di peculato; invero, la condotta costitutiva del delitto ex art. 314 cod.pen., è integrata dalla percezione da parte di M. P. dell'importo portato da quei mandati di pagamento, puntualmente indicati in imputazione e sui quali si è soffermato il giudice di primo grado, emessi proprio nei confronti di se stesso quale economo comunale ed ai quali corrispondeva la percezione di somme senza che siano mai stati giustificate le ragioni e le causali. Appare, pertanto, evidente che l'approfondita analisi contenuta nel primo motivo circa l'assenza di elementi per affermare che detti mandati vennero effettivamente occultati attraverso procedure di forzatura del sistema informatico od altre operazioni di annullamento, non riguarda il nucleo della condotta illecita contestata, bensì, eventuali operazioni successive poste in essere al solo fine di occultare le operazioni illecite già perfezionate. E posto che né le pronunce di primo e secondo grado né lo stesso ricorso ha in alcun modo giustificato la percezione da parte del M. di quelle somme portate nei mandati di pagamento a se stesso ne deriva affermare che la doppia valutazione conforme di sussistenza del peculato da parte dei giudici di merito non è inficiata in misura decisiva dagli argomenti del primo motivo di ricorso.
2.2 Anche il secondo motivo appare manifestamente infondato; innanzi tutto, appaiono del tutto inconferenti le ricostruzioni patrimoniali dei redditi familiari rispetto all'oggetto dell'imputazione poiché le stesse non risultano idonee ad escludere che sul conto corrente della M.D. fossero pervenute somme girate dal padre e frutto delle precedenti sottrazioni al comune di Terracina. Quanto, poi, alla dedotta insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del riciclaggio, sotto il primo profilo, va richiamato l'orientamento secondo cui integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi deposita in banca danaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, in tal modo lo stesso viene automaticamente sostituito, essendo l'istituto di credito obbligato a restituire al depositante la stessa somma depositata. (Sez. 6, n. 495 del 15/10/2008, Rv. 242372 - 01). Si è anche precisato come integra un autonomo atto di riciclaggio, essendo il delitto di cui all'art. 648-bis cod. pen. a forma libera ed attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, il prelievo di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario. (Sez. 2, n. 21687 del 05/04/2019, Rv. 276114 - 01). Ancora si è ritenuto come integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio, essendo il reato di cui all'art. 648-bis cod. pen. a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, ed anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato, ed acceso presso un differente istituto di credito (Sez. 2, n. 43881 del 09/10/2014, Rv. 260694 - 01). Applicati detti principi al caso di specie, appare evidente come la ricezione su un conto corrente di M.D. di denaro provento del delitto di peculato attuato e consumato dal padre Mario, integra certamente una attività di sostituzione sia sotto il profilo oggettivo, posto che l'obbligo di restituzione avrà ad oggetto il tantundem della somma versata, sia soggettiva posto che viene a mutare la persona fisica titolare della stessa somma. E l'affermazione sopra esposta non muta anche ove il profitto del delitto presupposto venga versato dall'autore dello stesso presso un c/c che risulti cointestato oltre che al medesimo anche ad altri, verificandosi anche in tal caso il mutamento della titolarità soggettiva del denaro e l'attività di sostituzione dello stesso. Quanto, poi, alle doglianze esposte in tema di dolo e difetto di consapevolezza in capo alla ricorrente della provenienza del denaro dal peculato, deve, innanzi tutto, essere evidenziato come l'atto di appello manchi di una specifica richiesta sul punto; in ogni caso, va ricordato come, secondo il costante orientamento di questa Corte di cassazione ai fini dell'affermazione di responsabilità per i reati ex artt. 648 e 648 bis cod.pen. non si richiede l'esatta individuazione del delitto presupposto essendo sufficiente accertare la provenienza delittuosa del bene (fra le tante vedi Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Rv. 251028). Ed applicato tale principio al tema dell'elemento soggettivo deve pertanto ritenersi che ai fini del dolo di riciclaggio non è necessario provare che l'agente abbia avuto perfetta consapevolezza della tipologia del reato presupposto, essendo sufficiente che abbia agito con la consapevolezza di sostituire o trasformare beni provento di precedente delitto. E l'elemento soggettivo può ritenersi sussistente anche a titolo di dolo eventuale quando cioè l'agente abbia agito sui beni accettando il rischio della loro provenienza delittuosa; nel caso di specie, la M., riceveva ingenti somme di denaro sul conto corrente provenienti dal padre effettuando poi successive operazioni di reinvestimento così dimostrando sia la consapevolezza della provenienza delittuosa o quantomeno accettando il rischio della loro provenienza illecita. In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi manifestamente infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 cod.proc.pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in 3.000,00 €
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.