… niente riconoscimento dell'indennizzo per ingiusta detenzione.
La Corte d'Appello di Messina rigettava l'istanza di riparazione presentata dall'attuale ricorrente per la dedotta ingiusta detenzione sofferta nell'ambito di un procedimento penale nel quale era chiamato a rispondere per la violazione di alcune disposizioni in materia di stupefacenti e di armi.
Contro tale decisione, l'interessato propone ricorso per cassazione, censurando la...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con ordinanza resa in data 4/2/2021, la Corte di appello di Messina ha rigettato l'istanza di riparazione presentata da D.A. per la dedotta ingiusta detenzione sofferta, in carcere e agli arresti domiciliari, nel periodo dal 7/7/2017 al 30/1/2018, nell'ambito di un procedimento penale nel quale era chiamato a rispondere di talune violazioni della legge in materia di stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90 contestato ai capi 9 e 10 della originaria imputazione) ed armi (artt. 2, 4, e 7 L. 895/67 contestato al capo 36 della imputazione). La Corte territoriale riteneva che il D. avesse dato causa con la sua condotta gravemente colposa all'applicazione ed al mantenimento nei suoi confronti della misura cautelare. All'uopo valorizzava una serie di comportamenti posti in essere dal ricorrente nel corso di rapporti di assidua frequentazione con gli originari coimputati nel giudizio, B.P. e B.A., dediti all'attività illecita di cessione di stupefacenti.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, a mezzo del suo difensore, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte di merito, osserva il ricorrente, non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la materia, astenendosi dal prendere in considerazione comportamenti concreti dai quali desumere, ex ante, secondo un ragionamento del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel giudizio di merito, se l'istante abbia effettivamente dato causa all'evento detenzione. L'ordinanza impugnata sarebbe illogica nella parte in cui ha rielaborato il contenuto della sentenza assolutoria definitiva, giungendo alla conclusione che il D. sarebbe stato compiacente rispetto alle condotte contestategli. Le considerazioni che vengono svolte nel provvedimento assumerebbero una valenza più sociologica che giuridica. Si rimprovera un'adesione piscologica alle attività illecite altrui, senza considerare che le frequentazioni del D. non erano dipese da una condivisione dell'illecito, ma dalla volontà di essere accettato nel contesto nel quale viveva. Non si considera che la presenza del ricorrente è sempre stata sporadica e che egli si era limitato a tollerare le condotte altrui, non essendo peraltro nelle condizioni di poterle impedire. La Corte di merito non avrebbe esplicitato in cosa si sia concretizzata la condotta di contiguità. Dagli atti risulta unicamente che il D. si sia accompagnato ai B. solo in talune occasioni, intrattenendo rapporti amicali per via del legame sentimentale di uno dei predetti con la sorella. Si è trascurato di considerare che i giudici di merito avevano escluso che egli avesse rafforzato il proposito criminoso altrui.
3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta ha concluso per l'inammissibilità del ricorso o per il suo rigetto.
4. Il Ministero resistente, costituito a mezzo dell'Avvocatura di Stato, ha concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.
5. I motivi dedotti dalla difesa sono infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato.
6. Le critiche difensive non intaccano la congruità del percorso motivazionale seguito dal giudice di merito. Con coerente e logica motivazione, del tutto rispettosa dei principi stabiliti in sede di legittimità, il giudice della riparazione ha rilevato la sicura efficacia sinergica dei comportamenti serbati dal ricorrente rispetto all'evento detenzione, ponendo in rilievo, in modo puntuale, il connotato di colpa grave in essi riconoscibile. Pertanto, la motivazione della ordinanza impugnata, è indenne da qualsivoglia violazione di legge o vizio motivazionale. Occorre rilevare come la Corte territoriale abbia correttamente applicato i principi di diritto che sovrintendono al peculiare giudizio ex art. 314 cod. proc. pen., in base ai quali l'autonomia del giudice della riparazione rispetto a quello della cognizione incontra il solo limite del non poter ritenere accertati fatti esclusi in sede di cognizione ovvero escludere circostanze riconosciute esistenti dal giudice che ha emesso la pronuncia di merito (così Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039). La piena autonomia tra i due giudizi, affermata in plurime sentenze della Corte regolatrice, consente di addivenire a conclusioni del tutto differenti nell'ambito della procedura riguardante la ingiusta detenzione sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio di merito (Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, P., Rv. 262957). Deve invero considerarsi che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato causa o abbia concorso a darvi causa, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se la condotta serbata dal richiedente integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata valido presupposto per ingenerare, ancorché in presenza di un errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, M., Rv. 259082).
7. L'esame del caso portato all'attenzione di questa Corte impone di precisare come anche la connivenza cd. passiva possa integrare gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento dell'indennizzo. La giurisprudenza di legittimità, all'esito di una lunga elaborazione dei principi valevoli in materia, ha stabilito come la connivenza passiva possa costituire colpa grave ove ricorra almeno uno dei seguenti elementi: «1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente». (così Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, D.S., Rv. 263139; da ultimo Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Rv. 280391). Parimenti ostativi al riconoscimento dell'indennizzo sono, nei reati contestati in concorso, quei comportamenti suscettibili di essere percepiti come indicativi di contiguità criminosa (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, A., Rv. 280547 - 01: "In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell'attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità"; Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, G., Rv. 241218: "In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, nei reati contestati in concorso, la condotta di chi, pur consapevole dell'attività criminale altrui, abbia nondimeno tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità ad essa, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo"). Ebbene, facendo compiuta applicazione di tali principi, il giudice della riparazione ha evidenziato come il ricorrente sia incorso in grave negligenza ed imprudenza, intrattenendo assidui rapporti di frequentazione con B.P. e B.A., i quali erano dediti in modo continuativo al commercio di sostanze stupefacenti. L'istante, si legge in motivazione, era perfettamente al corrente dell'attività illecita svolta dai due fratelli, risultando tale circostanza dai colloqui intercettati richiamati nell'ordinanza e dalle stesse ammissioni del ricorrente. Si è rimarcato come il D. abbia accettato di accompagnare i due fratelli nei viaggi culminati nella cessione di stupefacenti a due minorenni, suggerendo di manipolare le dosi da cedere con sostanze nocive per la salute. Si è altresì posto in rilievo come il D. si sia offerto di procurare armi a B.P. dietro mercede. Attraverso la compiuta analisi di tali comportamenti, la Corte di merito, con motivazione del tutto congrua, ha ritenuto che il D. abbia contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, ingenerando nell'autorità procedente l'erroneo convincimento della falsa apparenza del suo agire illecito. Ciò risponde ai criteri ermeneutici sopra richiamati di cui si è fatto buon uso.
8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente nel presente giudizio di legittimità, liquidate in euro mille.