Pur essendo la garanzia idonea a coprire verso il terzo creditore un debito oggettivamente riferibile anche al socio, a seguito dell'escussione della garanzia pignoratizia egli ha comunque il diritto di regresso verso la società o gli altri soci.
L'attuale ricorrente conveniva dinanzi al Tribunale di Modena una società e i suoi soci per sentirli condannare in via solidale al pagamento di una data somma poiché in precedenza egli, nelle vesti di socio accomandante, aveva personalmente prestato garanzia reale a favore di un istituto bancario, costituendo in pegno titoli e altri valori per la...
Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato il 13/12/2018, avverso la sentenza n. 1263 del 10/4/2018, comunicata il 14/5/2018, T.C. propone ricorso per cassazione, illustrato da successiva memoria e affidato a due motivi, di cui il secondo subordinato al mancato accoglimento del primo. Con controricorso, notificato il 18/1/2019, resiste la P. International s.a.s. di M.G. & C., nonché il sig. G.M. quale socio accomandatario.
2. Per quanto qui d'interesse, il sig. T.C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Modena, la P. International s.a.s. di M.G. & C., nonché il sig. G.M., per sentirli condannare al pagamento in via tra loro solidale della somma di€ 84.917,87. L'attore deduceva di essere stato socio accomandatario della P. International fino al 2/7/1997, data in cui aveva assunto la qualità di socio accomandante fino alla cessione di tutte le quote di sua proprietà avvenuta in data 10/9/1997. Affermava che, nella vigenza del rapporto di socio con la predetta società, aveva personalmente prestato garanzia reale a favore della Banca C. I. e della R. Banca 1473, costituendo in pegno titoli ed altri valori per la concessione di linee di credito in favore della società. Deduceva che dopo la cessione delle quote sociali, gli istituti di credito avevano provveduto alla realizzazione del pegno e che, invano, egli aveva chiesto alla società e ai soci la restituzione della somma pagata a seguito della vendita dei beni dati in pegno. Costituitisi, i convenuti chiedevano il rigetto della domanda e la condanna dell'attore ex art. 96 cod. proc. civ. Con sentenza n. 6026/2009, il Tribunale di Modena rigettava sia la domanda attorea che la domanda ex art. 96 cod. proc. civ. spiegata dai convenuti.
3. Avverso la pronuncia, il sig. C. ha proposto gravame, mentre gli appellati hanno interposto appello incidentale reiterando la domanda di condanna ai sensi del già invocato art. 96 cod. proc. civ. Con la sentenza oggi impugnata, la Corte d'Appello di Bologna, integralmente confermando la pronuncia di prime cure, ha rigettato sia l'appello principale che l'appello incidentale, compensando le spese di lite tra le parti nella misura di un quarto e ponendole, per il resto, in capo all'appellante C..
4. In particolare, la Corte adita ha rilevato che, al momento della costituzione del pegno, il sig. C. era socio accomandatario illimitatamente responsabile per le obbligazioni assunte dalla società nel periodo. A motivo di ciò, ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente escluso la pretesa restitutoria dell'attore in quanto fondata su di un insussistente diritto di regresso del garante datore di pegno nei confronti della società, posto che l'atto di rilascio di una garanzia personale o reale per un debito della società, da parte del socio illimitatamente responsabile, va qualificato quale atto di costituzione di garanzia per una obbligazione propria, non potendo il socio illimitatamente responsabile essere considerato come terzo datore di garanzia rispetto all'obbligazione sociale. Ha ritenuto, inoltre, irrilevante l'argomentazione dell'appellante principale secondo cui l'escussione del pegno era avvenuta nel mese di ottobre-novembre 2003, vale a dire successivamente alla cessazione del rapporto sociale, in ragione del fatto che le obbligazioni garantite dal pegno erano sorte in data anteriore a quella in cui il C. aveva cessato di essere socio accomandatario, non rilevando che il socio fosse stato liberato per le obbligazioni pregresse, in quanto la perdita della qualità di socio non incide sulla responsabilità illimitata per i debiti contratti allorquando il socio era illimitatamente responsabile.
5. Il Collegio, chiamato a pronunciarsi il 22 settembre 2021 in adunanza camerale fissata ex art. 380 bis 1 c.p.c., ritenendo che la questione avesse rilievo nomofilattico e che, pertanto, meritasse la trattazione in pubblica udienza, rinviava la causa a nuovo ruolo; dopodiché la causa veniva aggiornata alla odierna udienza pubblica, ove il PM concludeva per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c. per avere l'impugnata sentenza, muovendo dall'assunto che i debiti delle società di persone devono essere qualificati come debiti propri dei soci illimitatamente responsabili, escluso che un socio illimitatamente responsabile, le cui garanzie personali o reali per debiti della società vengano escusse, possa esercitare il diritto di regresso verso quest'ultima». L'assunto è che la Corte d'Appello abbia erroneamente recepito un risalente e superato orientamento giurisprudenziale per cui il socio-garante, una volta escussa la garanzia e integralmente soddisfatto il terzo creditore, non avrebbe diritto di regresso nei confronti della società (debitrice principale), in quanto le obbligazioni delle società di persona sono da qualificarsi "debito proprio" del socio illimitatamente responsabile (Cass. 12310/99). Deduce il A. ricorrente che sia la più recente dottrina che la giurisprudenza di legittimità hanno oramai superato tale risalente indirizzo e riconosciuto la piena ed assoluta autonomia patrimoniale delle società di persone rispetto ai propri soci e, di riflesso, la loro autonoma soggettività giuridica, con conseguente separatezza tra le situazioni giuridiche riferibili all'ente o ai singoli soci. Richiama, in particolare una pronuncia in cui la Suprema Corte ha espressamente sancito la validità ed efficacia delle garanzie accordate dal socio illimitatamente responsabile nell'interesse della società partecipata e a favore di terzi creditori di quest'ultima, talché non potrebbe revocarsi più in dubbio che il diritto di regresso e di surroga debba accordarsi al socio garante per ripetere quanto pagato in virtù di una garanzia rimasta in vita dopo la cessazione del rapporto sociale (Cass. sez. 1, sentenza, n. 7139 del 22 marzo 2018), e che riguardo al pegno si debba applicare in via analogica quanto disposto dall'art. 2871 c.c. in tema cli regresso del terzo ipotecario contro il debitore. Il ricorrente richiama altresì la statuizione di Cass.3 settembre 2007 n. 18522 ove si è riconosciuto il diritto di regresso al terzo datore di pegno che abbia soddisfatto il creditore, nei confronti del fideiussore, sempre in applicazione analogica dell'art. 2871 c.c., non avente carattere eccezionale.
2. Con il secondo motivo denuncia «in via gradata, violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2263, 2269, 2289, 2290, 2291, 2313, 2315, 2318, 1203, n. 3, 1936, 1949 e 1950 c.c. per avere l'impugnata sentenza affermato che i debiti delle società di persone devono essere qualificati come debiti propri dei soci illimitatamente responsabili - con la conseguente applicazione della regola di diritto relativamente alle garanzie dagli stessi prestate, alla quale rimanda la censura sollevata con il precedente motivo di impugnazione - anche quando l'escussione della garanzia avviene dopo che il socio ha cessato sia di essere socio della società stessa sia, ancor prima, di essere socio illimitatamente responsabile e questo, in entrambi i casi, per atti inter vivos, posti in essere con il consenso dell'intera compagine sociale e senza riserva alcuna». Sotto questo profilo, il ricorrente deduce l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto rilevanti le argomentazioni inerenti all'avvenuta cessione delle quote a seguito della quale il socio ricorrente dapprima avrebbe perso la qualità di socio accomandatario (2/7/1997) e, poi, la qualità di socio accomandante (10/9/1997), prima dell'escussione del pegno, assumendo invece che « la perdita della qualità di socio non incide sulla responsabilità illimitata per debiti contratti dalla società allorquando l'appellante era socio accomandatario». Il ricorrente adduce che lo scioglimento del rapporto societario era avvenuto mediante cessione della quota «accettata da tutti i soci senza alcuna riserva e con l'assenso dell'intera compagine sociale», talché così come il socio receduto non avrebbe più titolo per partecipare alla distribuzione degli utili o alla divisione del patrimonio, analogamente non potrebbe essere chiamato dalla società o dai cessionari a rispondere dei debiti sociali, ma solo dai creditori sociali ex art. 2269 e 2290 c.c.. Ne conseguirebbe che, non avendo egli garantito gli acquirenti delle quote subentrati nella sua posizione di socio accomandatario prima, e accomandante poi, dell'inesistenza dei debiti sociali, non potrebbe essere ritenuto obbligato a tenere indenni né la società né i suoi soci, compresi i cessionari della quota , per le obbligazioni sociali, anche se sorte prima della cessione o della cessazione del suo status di socio illimitatamente responsabile, in ciò richiamando il generale principio di cui all'art. 2290 c.c. riferito alla società in nome collettivo (Cass. civ. sez III, 13.12.2010, n. 25123; Cass. sez. III, 12.1.2011. n. 525). Per tale ulteriore ragione, avrebbe dovuto essergli riconosciuto il diritto di regresso verso la società, una volta escussa la garanzia prestata dal creditore sociale.
3. Il primo motivo pone la questione se il socio illimitatamente responsabile di una società di persone, quale datore di garanzia reale (pegno) per la copertura dei debiti sociali, abbia l'azione di regresso verso la società.
3.1. Il motivo è fondato, determinando l'assorbimento del secondo motivo posto in via gradata.
3.2. In via preliminare è opportuno formulare un rilievo: la sentenza ha ritenuto che non sia configurabile l'azione di regresso del socio illimitatamente responsabile di società di persone verso la società ed in tal modo ha enunciato una ratio decidendi che risulterebbe pertinente, salvo controllarne l'esattezza, solo per il regresso verso la società e non anche per quello esercitato verso il socio. Parte ricorrente non se ne è lamentata e, dunque, si deve sindacare la motivazione con riferimento all'azione esercitata sia verso la società sia verso il socio, prescindendo dal profilo di pertinenza appena rilevato.
3.3. Tanto premesso, si deve innanzitutto rilevare che la sentenza impugnata, nel negare l'azione di regresso al socio datore di pegno, una volta escusso dal creditore, ha abbracciato un'affermazione fatta dalla lontana Cass. n. 12310 del 1999 nel senso della negazione della stessa configurabilità in iure dell'azione di regresso del socio che ha pagato contro la società in un caso nel quale l'oggetto della decisione concerneva non già una fattispecie in cui tale esercizio era avvenuto, bensì una fattispecie nella quale si discuteva della pretesa del socio di sottrarsi a un'azione esecutiva contro di lui esercitata in forza della responsabilità illimitata adducendosi che il creditore <<non agendo tempestivamente nei confronti della debitrice né coltivando con la necessaria diligenza l'azione esperita contro la società che aveva rilevato l'azienda della debitrice, nella quale era ricompreso il bene ipotecato - aveva vanificato il beneficio, a lui concesso dall' art. 2304 c.c., di essere escusso solo in via sussidiaria, venendo meno al dovere di correttezza posto in via generale a carico del creditore, non meno che del debitore (art. 1175 c.c.).>>.
4. La citata sentenza venne così massimata dall'allora Ufficio del Ruolo e del Massimario: <<La posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non è assimilabile a quella di un fideiussore, sia pure "ex lege", poiché mentre quest'ultimo garantisce un debito altrui e per tale ragione, una volta effettuato il pagamento, ha azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e si surroga nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 cod. civ.), il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, in quanto derivanti dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, partecipa direttamente: artt. 2257 e 2258 cod. civ.), ed è anzi tenuto, ove i fondi sociali risultino insufficienti, a provvedere anche mediante contribuzioni aggiuntive a quelle effettuate all'atto dei conferimenti (art. 2280 cod. civ.), onde l'impossibilità di ammettere (ex art. 1954 cod. civ.) un'azione di regresso contro la società del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e l'inapplicabilità degli artt. 1953, 1955 e 1957 cod. civ., che hanno la loro giustificazione nell'esigenza di salvaguardare la possibilità del regresso del fideiussore. Tali conclusioni non trovano ostacolo nel fatto che anche le società personali costituiscano centri di imputazione di situazioni giuridiche distinti dalle persone dei soci, posto che siffatta soggettività ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad esse j imputati destinati a tradursi in situazioni individuali in capo ai singoli membri.>>.
5. La lettura della sentenza evidenzia che le affermazioni con cui risulta articolato il ricordato principio di diritto, ivi compresa quella sulla non configurabilità dell'azione di regresso, trovano effettivamente riscontro nel tessuto motivazionale della decisione.
6. Al fine di giustificare l'abbandono dei principi da essa espressi, cui si intende procedere, conviene riprodurlo. Esso risulta enunciato nei seguenti termini: <<Giova premettere, ai fini di un corretto inquadramento delle questioni prospettate, che la posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non può essere assimilata a quella di un fideiussore, sia pure ex lege. Quest'ultimo, infatti, garantisce un debito altrui, e appunto per questo la legge prevede che, una volta effettuato il pagamento, egli abbia azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e sia inoltre surrogato nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 c.c.). Invece, il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei, poiché derivano dall'esercizio dell'attività comune (al cui svolgimento, data l'assenza di un'organizzazione corporativa, essi partecipano direttamente: artt. 2257 e 2258 c.c.) e al loro soddisfacimento egli è tenuto a provvedere, se i fondi sociali risultano insufficienti, anche mediante contribuzioni aggiuntive rispetto a quelle effettuate in esecuzione dei conferimenti (art. 2280, secondo comma c.c.). Il che dà ragione della impossibilità di ammettere, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 1950 c.c., un'azione di regresso nei confronti della società del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e della conseguente inapplicabilità, del resto concordemente riconosciuta, degli artt. 1953, 1955 e 1957 c.c., che trovano il loro presupposto proprio nell'esigenza di salvaguardare le possibilità di regresso del fideiussore. L'accoglimento di tali conclusioni non trova ostacolo nel fatto che anche le società personali costituiscano centri di imputazione di situazioni giuridiche, distinti dalle persone dei soci (Cass. 20 aprile 1994, n. 3773; 7 agosto 1996, n. 7228), dal momento che la soggettività dei gruppi organizzati ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad essi imputati destinati a tradursi (e questa volta definitivamente) in situazioni giuridiche individuali in capo ai singoli membri (Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151; 12 dicembre 1995, n. 12733).
5.1 - Il ricorrente assume, in buona sostanza, che la società creditrice – non agendo tempestivamente nei confronti della debitrice né coltivando con la necessaria diligenza l'azione esperita contro la società che aveva rilevato l'azienda della debitrice, nella quale era ricompreso il bene ipotecato - aveva vanificato il beneficio, a lui concesso dall'art. 2304 c.c., di essere escusso solo in via sussidiaria, venendo meno al dovere di correttezza posto in via generale a carico del creditore, non meno che del debitore (art. 1175 c.c.). 5.2 - Come si legge nella Relazione al codice civile, il principio di correttezza e di buona fede "richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore" (ivi, p. 558). Esso opera, quindi, come un criterio di reciprocità che, nel nuovo quadro di valori introdotto dalla Carta Costituzionale, costituisce specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" tutelati dall'art. 2 cost. (Cass. 13 gennaio 1993, n. 343): la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. 5.2.1 - A tali principi questa Corte si è richiamata, in particolare, quando si è trattato di valutare la legittimità del comportamento del creditore nei confronti del fideiussore, ponendo in evidenza che la posizione di quest'ultimo "pur essendo strettamente collegata a quella del debitore principale, si pone su un piano diverso, trattandosi di un soggetto che garantisce l'adempimento di un'obbligazione altrui" e che, proprio per questo, "dopo aver provveduto al pagamento del debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore principale ed ha il diritto di ripetere ... tutto quanto è stato da lui versato con gli interessi e le spese" (Cass. 28 gennaio 1998, n. 831). Al fine di salvaguardare le possibilità di regresso del fideiussore il legislatore ha imposto al creditore l'obbligo di agire nei confronti del debitore entro un breve termine di decadenza, pena la liberazione del fideiussore (art. 1957 c.c.). Tale disposizione, come si legge nella Relazione al codice, costituisce specificazione del "dovere di correttezza, che è norma di condotta anche nell'esercizio dei diritti" (ivi, p. 765) Non diversamente dall'art. 1956 c.c. che, proprio in considerazione dell'interesse del fideiussore alla salvaguardia delle proprie possibilità di regresso, trasforma "la facoltà di non dare esecuzione all'obbligazione assunta di far credito qualora sia sopravvenuta insolvibilità del debitore" (art. 1461 c.c.) in "obbligo di condotta", la cui violazione è sanzionata con la liberazione del fideiussore dall'obbligazione di garanzia (ivi, p. 766). Ma, come si è appena detto (retro, p. 5), tali norme non sono applicabili al socio illimitatamente responsabile. Non solo perché i debiti sociali sono pur sempre a lui riferibili, ma anche perché egli ha il potere di concorrere in modo diretto ed immediato alla determinazione dell'attività sociale.
5.3 - Risulta dalla sentenza impugnata, ed è incontroverso tra le parti, che il fondo sociale della s.n.c. "T.H." era divenuto incapiente perché l'intera azienda sociale, comprensiva del bene ipotecato, era stata ceduta, dopo il sorgere del credito, ad altra società. L'inadeguatezza dei beni sociali a soddisfare le ragioni del creditore procedente era stata quindi determinata da una precisa iniziativa della società, che per quanto si è detto, non può ritenersi estranea a coloro che (come il ricorrente) ad essa partecipavano quali soci illimitatamente responsabili. Ma è allora evidente che, proprio in applicazione dei principi di correttezza e buona fede invocati con il ricorso, che, in una situazione siffatta, tali soggetti non possono pretendere di sottrarsi alle azioni esecutive dei creditori sociali addebitando ad essi di non aver agito tempestivamente sul patrimonio della società.
5.4 - Il ricorrente, per la verità, addebita alla società creditrice di non aver agito tempestivamente nemmeno sui beni della società cessionaria, da ritenersi obbligata in solido con la cedente nei confronti dei creditori sociali a norma dell'art. 2560, secondo comma, c.c. Il vincolo di solidarietà tra cessionario e cedente si rifletterebbe, secondo il ricorrente, nei confronti del socio illimitatamente responsabile, il quale assumerebbe per tale motivo una (posizione sussidiaria nei confronti di entrambi i coobbligati, che gli consentirebbe 1 di essere escusso solo dopo l'infruttuosa esecuzione del loro patrimonio. Tale tesi non ha però alcun fondamento, posto che: - il beneficio di escussione \ accordato ai soci illimitatamente responsabili (artt. 2268 e 2304 c.c.) riguarda i rapporti tra tali soggetti e la società cui essi partecipano, rispetto ai quali gli eventuali coobbligati sono del tutto estranei; - il vincolo di solidarietà non implica assoluta identità della posizione dei singoli condebitori o concreditori (art. 1297 c.c.). 6 - Il ricorso deve essere quindi respinto in ogni sua parte.>>.
6.1. Il principio di diritto enunciato dalla decisione ora ricordata venne poi ripreso da Cass. n. 23669 del 2006, che a sua volta richiama decisioni precedenti pure conformi a quella del 1999. In motivazione la decisione del 2006 così si espresse: <<Più in generale, si è rilevato in giurisprudenza che la posizione del socio illimitatamente responsabile di una società personale non può essere assimilata a quella di un fideiussore, sia pure ex lege. Quest'ultimo, infatti, garantisce un debito altrui, e appunto per questo la legge prevede che, una volta effettuato il pagamento, egli abbia azione di regresso per l'intero nei confronti del debitore principale e sia inoltre surrogato nei diritti del creditore (artt. 1949 e 1950 c.c.). Invece, il socio illimitatamente responsabile risponde con il proprio patrimonio di debiti che non possono dirsi a lui estranei - poiché derivano dall'esercizio dell'attività comune, al cui un'organizzazione corporativa, soci svolgimento, data l'assenza di partecipano direttamente (artt. 2257 e 2258 c.c.) - ed è tenuto a provvedere al loro soddisfacimento, se i fondi sociali risultano insufficienti, anche mediante contribuzioni aggiuntive rispetto a quelle effettuate in esecuzione dei conferimenti (art. 2280 c.c., comma 2). Ne conseguono l'inammissibilità, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 1950 c.c., di un'azione di regresso nei confronti della società da parte del socio che abbia provveduto al pagamento di un debito sociale e l'inapplicabilità, del resto concordemente riconosciuta, degli artt. 1953, 1955 e 1957 c.c. che trovano il loro presupposto proprio nell'esigenza di salvaguardare le possibilità di regresso del fideiussore. Tali conclusioni non trovano ostacolo nel fatto che anche le società personali costituiscono centri di imputazione di situazioni giuridiche, distinti dalle persone dei soci la soggettività dei gruppi organizzati ha, infatti, carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad essi imputati destinati a tradursi (e questa volta definitivamente) in situazioni giuridiche individuali in capo ai singoli membri (cfr. Cass. nn. 12310/1999, 7228/1996, 12733/1995, 11151/1995, 3773/1994)>>.
6.2. Il Collegio ritiene che l'orientamento qui riferito circa la non configurabilità dell'azione di regresso del socio di società illimitatamente responsabile verso la società non sia condivisibile e ciò tanto nel caso, che occupa, in cui sia stata prestata una garanzia dal socio, tanto nel caso in cui tale garanzia non vi sia.
6.3. Va rilevato, in primo luogo, che la situazione del socio illimitatamente responsabile è indicata dalla legge stessa come situazione diversa da quella della società e degli altri soci illimitatamente responsabili.
6.4. Già tale rilievo in punto di principi generali rende priva di pregio l'affermazione che, quando il socio paga in proprio, ovvero risponde in proprio per un'obbligazione sociale, sia con la sua garanzia patrimoniale generica, sia con un'eventuale garanzia patrimoniale specifica, come la fideiussione o - nel caso che ci occupa - il pegno, pagherebbe un debito "proprio" e "solo proprio", come ritenuto dalla ricordata giurisprudenza e condiviso dalla Corte di merito per negare il diritto di rivalsa in iure.
6.5. In realtà, essendo il profilo soggettivo inerente all'attribuzione della posizione di debitore verso il creditore, profilo che necessariamente distingue sul piano normativo la sua obbligazione da quella della società, egli paga sul piano oggettivo un debito riferibile sia a sé medesimo, sia alla società, sia ancora agli altri soci illimitatamente responsabili. Il debito è lo stesso ma, a prescindere dalla nota questione della configurabilità delle società di persone, comunque, come soggetti di diritto sub specie di centri di imputazione di interessi distinti da soci, è indubbio che quando esso viene estinto si determina il venir meno della posizione di debitore verso il creditore sociale sia del socio che paga, sia della società, sia degli altri soci illimitatamente responsabili. Il dire - come fece il precedente del 1999 - <<che la soggettività dei gruppi organizzati ha carattere transitorio e strumentale, essendo i diritti e gli obblighi ad essi imputati destinati a tradursi (e questa volta definitivamente) in situazioni giuridiche individuali in capo ai singoli membri>>, per il fatto stesso di "fotografare" il profilo, per così dire, interno afferente al gruppo organizzato, non può fare aggio su questa circostanza: quando il socio illimitatamente responsabile, sia esso o meno anche garante, paga, estingue un debito che oggettivamente è lo stesso della società e degli altri soci illimitatamente responsabili, ma, se non si preferisce evocare la categoria della soggettività senza personalità giuridica, come pure si potrebbe e dovrebbe fare, sul piano normativo corrispondente all'immagine della solidarietà emergente dall'art. 1299 c.c., compie un atto satisfattivo che è riferibile anche alle "posizioni" della società e dei soci e ciò agli effetti dello stesso art. 1299. Il quale usa la categoria normativa del "debitore". Tanto si rileva ed è dirimente, pur essendo il Collego convinto che a giustificare le svolte considerazioni basterebbe proprio la considerazione come "soggetto" della società personale e ciò al di là della considerazione assorbente della stessa come "debitore".
7. Ebbene, questa attitudine del pagamento ad estinguere situazioni giuridiche verso il creditore che sul piano soggettivo sono distinte, per il fatto stesso di essere distintamente contemplate dall'ordinamento, e lo sono indipendentemente dal fatto che la società di persone sia un "soggetto" non dotato di personalità giuridica, ma apprezzabile solo come un centro di interessi, è sufficiente a giustificare la configurabilità dell'azione di regresso in astratto secondo la disciplina generale delle obbligazioni solidali, cui, nonostante il beneficium excussionis (che, peraltro, può essere superato nell'ipotesi di concessione di garanzia patrimoniale specifica da parte del socio, appunto un pegno o una fideiussione o un'ipoteca), è comunque riconducibile l'obbligazione del socio illimitatamente responsabile.
7.1. Va, poi, ricordato, che la stessa disciplina di cui all'art. 1299, primo comma, cod. civ. attribuisce, in via fisiologica, al debitore solidale che ha pagato l'intero debito il diritto di regresso verso gli altri condebitori, con la sola limitazione che il debitore che agisce in regresso può ripetere da ciascuno degli altri la parte cui è tenuto ciascuno di essi. Nel caso della società di persone, se si guarda alla solidarietà fra socio e società (tanto ove operi il beneficium excussionis, quanto se vi sia garanzia reale), il fatto stesso che il debito pagato sia in via diretta della società implica, poi, a norma dell'art. 1298 c.c., che esso sia solo ad essa riferibile. Il regresso non potrà che riguardare in linea teorica l'intero importo pagato, ma, evidentemente, concretandosi la pretesa di pagamento in una passività, il socio che ha pagato non potrà pretendere la quota della passività che, secondo la disciplina dell'art. 2263 c.c. è proporzionale al valore del suo conferimento. È su questo piano che la considerazione da parte dell'ordinamento della posizione di obbligato solidale (di regola, cioè se non vi è assunzione di garanzia, previa escussione) del socio e la sua correlazione causale alla posizione assunta nella compagine sociale e, dunque, rispetto alla società, viene in rilievo. Ma la rilevanza giuoca con riguardo alla prospettiva funzionale di soddisfazione del regresso e non riguardo alla sua ammissibilità. Se il patrimonio sociale è inesistente quella prospettiva sarà priva di effetti concreti e resterà la prospettiva di domandare agli altri soci quanto da essi dovuto sempre secondo il criterio indicato dall'art. 2263 c.c.
7.2. Se il socio ha stipulato una fideiussione o costituito un pegno o un'ipoteca, ciò incide solo nel senso che egli non fruisce del beneficium excussionis, ma non è di ostacolo all'applicazione dei principi generali emergenti dalla disciplina delle obbligazioni solidali. In pratica, l'art. 1299 c.c. si sovrappone - quando il socio ha dato fideiussione - all'art. 1950 c.c. in tema di regresso del fideiussore contro il debitore principale. Nei casi di garanzia reale sempre l'art. 1299 c.c. viene in rilievo sia nel regime dell'art. 2871 c.c. sia nel regime del pegno.
7.3. Il regresso del socio che ha estinto l'obbligazione - come s'è già adombrato - è ammissibile, naturalmente, ai sensi dell'art. 1298 e 1299 c.c. pro quota verso gli altri soci illimitatamente responsabili oppure secondo quanto stabilito in eventuali patti parasociali fra tutti o alcuni di essi.
7.4. Lo stesso discorso vale per quanto attiene all'ipotesi in cui il socio – come nel caso de quo - sia uscito dalla società e, tuttavia, ai sensi dell'art. 2290 c.c. sia rimasto illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali pregresse allo scioglimento del vincolo nei suoi riguardi ed eventualmente, se abbia prestato garanzia personale o reale, anche quale garante.
7.5. Anche in tal caso egli, pagando il creditore, direttamente (dopo l'escussione della società) o a seguito dell'escussione della garanzia prestata, paga oggettivamente un debito che soggettivamente è riferibile sia a lui che alla società e agli altri soci illimitatamente responsabili. Il regresso verso la società è ammissibile nei medesimi termini di cui sopra, cioè salvo per la quota che sarebbe stata di sua pertinenza se fosse rimasto socio, a meno che in sede di uscita dalla società la sua perdurante responsabilità non sia stata diversamente regolata.
7.6. A conferma della validità delle svolte considerazioni non è inopportuno ricordare che questa Corte ha di recente ribadito il principio, segnatamente espresso da Cass. n. 26012 del 2007 e confermato da altre decisioni (cfr. Cass., 5 maggio 2016, n. 8944; Cass., 26 febbraio 2014, n. 4528), secondo cui il rilascio della garanzia fideiussoria da parte del socio illimitatamente responsabile non è in grado di alterare lo schema legale delle società di persone il quale resta immutato; piuttosto la fideiussione prestata dalla persona fisica del socio aggiunge un titolo diverso in base al quale il creditore è in grado di agire in executivis senza che al fideiussore - in quanto tale - sia consentito di avvalersi del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale. Cass. n. 7139/18, infatti, si è così espressa: <<Non si vuole qui porre in discussione principi consolidati, in ragione dei quali, nelle società di persone, l'unificazione della collettività dei soci e l'autonomia patrimoniale costituiscono uno strumento giuridico volto a consentite alla pluralità dei soci medesimi unitarietà di forme di azione, senza che tale pluralità venga a dissolversi nella unicità esclusiva di un autonomo soggetto di diritto; cui consegue, quale precipitato logico, l'affermazione che la responsabilità del socio illimitatamente responsabile di società di persone, in quanto prevista direttamente dalla legge, riguarda debiti che non possono dirsi a lui estranei. Piuttosto si intende ribadire - alla stregua dell'orientamento altrettanto consolidato - che la società di persone, anche se sprovvista di personalità giuridica, rappresenta un distinto centro di interessi e di imputazioni di situazioni sostanziali e processuali, che è comunque dotato di una propria autonomia in virtù della quale (così come è configurabile con riguardo ad esse una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società) è sicuramente postulabile un'alterità tra socio e società e correlativamente è possibile l'instaurazione di rapporti giuridici distinti, non solo tra la società e i terzi, ma anche tra la prima e gli stessi soci. Ed è proprio per effetto della rilevata autonomia patrimoniale e della distinzione di sfere giuridiche che la fideiussione prestata dal socio a favore della società, rientra tra le garanzie prestate per le obbligazioni altrui, secondo lo schema delineato dall'art. 1936 cod. civ. In altri termini, per dirla con le parole della già cit. Cass. n. 26012 del 2007, da un lato, la responsabilità solidale ed illimitata ex lege costituisce circostanza atta ad escludere l'estraneità dei debiti sociali nei confronti del socio e, dall'altro, giusta la distinzione sostanziale e processuale fra soggetto societario e socio, la fideiussione prestata da quest'ultimo in favore del primo è riconducibile fra le garanzie per obbligazione altrui ex art. 1936 cod. civ.>>.
7.7. È poi appena il caso di notare che la fideiussione rilasciata dal socio, già illimitatamente responsabile ex lege per le obbligazioni sociali, sia priva di causa, sotto il profilo che essa non aggiungerebbe nulla di più alla garanzia patrimoniale già offerta al creditore per effetto della disciplina legislativa. Come, infatti, è stato osservato nei precedenti sopra richiamati, nonostante la garanzia già fornita ex lege dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, possono esservi altri interessi che muovono il creditore sociale a voler pretendere una ulteriore garanzia: l'interesse, ad esempio, a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l'altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del beneficium excussionis di cui all'art. 2304 cod. civ.
7.8. All'approccio seguito da Cass. n. 7139 del 2018 e dalle decisioni da essa richiamate si intende qui, con le considerazioni in precedenza svolte sovrapporre quello basato sull'applicazione diretta dei profili normativi della responsabilità dei soci e della società, collocati nella disciplina generale delle obbligazioni solidali e segnatamente dell'art. 1299 c.c., là dove, come s'è sottolineato evoca la figura del debitore.
7.9. Conclusivamente, in relazione al caso di specie, ove la rivalsa riguarda l'escussione di un pegno rilasciato dal socio illimitatamente responsabile a favore della società, si deve affermare il seguente principio di diritto: <<Il socio illimitatamente responsabile di una società di persone che abbia concesso una garanzia reale (nella specie pegno) a favore del creditore sociale per le obbligazioni sociali, pur essendo tale garanzia idonea a coprire verso il terzo creditore un debito che sul piano oggettivo è riferibile anche al socio ed aggiungendosi essa alla garanzia patrimoniale generica cui il socio illimitatamente responsabile è tenuto per legge (con l'effetto di neutralizzare il beneficium excussionis di cui beneficia il socio ex art.· 2304 c.c.), a seguito dell'escussione della garanzia pignoratizia venga escussa, ha diritto di regresso verso la società (con applicazione della disciplina delle passività ai sensi dell'art. 2263 c.c.) o gli altri soci>>.
8. Giusta le considerazioni svolte la sentenza dev'essere cassata in accoglimento del primo motivo.
8.1. Il secondo motivo pone in via gradata la seguente questione <<se il socio illimitatamente responsabile e datore di pegno, escusso dopo la cessione della sua quota sociale, risponda per le obbligazioni pregresse nei confronti della società e dei soci subentrati in base alla responsabilità illimitata ovvero in forza della garanzia reale rilasciata ed escussa. Se di conseguenza abbia diritto al regresso nei confronti della società debitrice in quanto terzo datore di pegno >>. La norma di riferimento è l'art. 2290 c.c. che riguarda la responsabilità del socio uscente per i debiti sociali pregressi, il quale rimarrebbe responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale e non oltre.
8.2. Il motivo è evidentemente assorbito dall'accoglimento del primo, il cui principio di diritto copre anche la situazione del socio che sia uscito dalla società e debba rispondere in forza di una garanzia reale per debiti pregressi.
9. La sentenza di rinvio farà applicazione dei principi indicati e considererà ammissibile l'azione di regresso verso la società applicando gli artt. 1298 e 1299 c.c. Valuterà ogni altra questione inerente alla materia del contendere, ivi comprese le eccezioni di compensazione di cui si dice nell'esposizione del fatto di cui al controricorso. Valuterà altresì l'azione di regresso verso l'altro socio.
10. Conclusivamente il ricorso va accolto quanto al primo motivo, assorbito il secondo; per l'effetto, la Corte cassa e rinvia alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso relativamente al primo motivo, assorbito il secondo; per l'effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.