La Cassazione fornisce alcuni chiarimenti sulla fattispecie della servitù per destinazione del padre di famiglia e ribadisce che sono invalide le deroghe convenzionali da parte dei privati alle prescrizioni oggetto dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi comunali.
Gli attori dichiaravano di essere comproprietari di un corpo di fabbrica al cui confine era stato eretto un altro corpo di fabbrica e aperte delle vedute munite di ornie e inferriate sporgenti sull'area scoperta di loro proprietà da parte dei convenuti, in violazione delle norme previste dal Codice civile in tema di distanze nonché delle norme urbanistico-edilizie di cui al Piano...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione, notificato in data 21.12.2000, A.P. e M.S. convenivano in giudizio G.G., C.G. e A.G. premettendo: di essere comproprietari di un corpo di fabbrica composto da un piano terra e un primo piano con annesso cortile, situato in Sant'Anastasia frazione Madonna dell'Arco; che, lungo il confine nord -nord/est i convenuti avevano eretto un corpo di fabbrica e nel muro di questa, a confine con l'area scoperta di proprietà attorea, avevano aperto delle vedute munite di ornie e inferriate sporgenti sulla suddetta area; che la zona su cui insistevano gli immobili confinanti era classificata quale "E", agricola nel Programma di Fabbricazione del Comune di Sant'Anastasia, in cui vi era l'obbligo di rispettare la distanza di m. 7,50 dal confine, mentre nell'attuale Piano Regolatore era considerata come zona Bl, con impossibilità assoluta di qualsiasi costruzione; che lo stesso codice civile stabiliva, in casi analoghi a quello di specie, l'impossibilità assoluta di ogni costruzione; che sia la costruzione che le vedute si ponevano in chiara violazione dei diritti degli istanti. Ciò premesso, gli attori chiedevano che, accertate le violazioni in tema di distanze, i convenuti fossero condannati all'abbattimento o all'arretramento del fabbricato sino alla distanza dal confine come prevista dal codice civile e dalle norme urbanistico-edilizie di cui al PRG o al P.di F. del Comune di Sant'Anastasia; che fosse riconosciuta l'illegittimità delle vedute realizzate, che dovevano essere eliminate o regolarizzate, nonché l'illegittimità delle ornie e delle inferriate sporgenti nella proprietà degli istanti, con condanna all'eliminazione o regolarizzazione; il tutto oltre al risarcimento del danno. Si costituivano in giudizio i G. chiedendo il rigetto delle domande in quanto il corpo di fabbrica oggetto di causa e le vedute che affacciavano sul lato est dell'avversa proprietà erano state realizzate nel luglio del 1979 e il relativo diritto era stato esercitato in modo continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, per cui doveva ritenersi da essi acquistato per usucapione. Inoltre, i medesimi avevano edificato con il consenso di M.T., loro dante causa e confinante dell'epoca, già proprietaria dell'intero fondo. Proponevano altresì domande riconvenzionali con le quali chiedevano l'arretramento a distanza legale del muro di altezza superiore a m. 3, realizzato dagli attori, comunque in violazione del disposto di cui all'art. 907 c.c.; il ripristino della servitù di scolo realizzata a favore del loro Condominio, oltre al risarcimento del danno. Espletata prova testimoniale e CTU, con sentenza n. 61/2009, il Tribunale di Nola condannava i convenuti ad arretrare il proprio fabbricato sino alla distanza minima di m. 7,50 dal confine, a realizzare le luci secondo quanto previsto dal CTU e a regolarizzare le soglie, le ornie e le inferriate delle finestre che invadevano la proprietà attorea; accoglieva la domanda riconvenzionale relativa all'arretramento del muro realizzato dagli attori sino al rispetto della distanza di legge pari a m. 7,50. Avverso detta domanda proponevano appello i G. chiedendo che la sentenza fosse riformata in ragione dell'infondatezza delle domande attoree. Si costituivano gli appellati domandando il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale con il quale chiedevano la riforma della sentenza di primo grado per la parte in cui erano stati condannati all'arretramento del loro muro di confine. Con sentenza n. 1439/2016, depositata in data 11.4.2016, la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava gli appellanti all'arretramento del fabbricato alla distanza di m. 6 dal confine con la proprietà P.-S.; rigettava l'appello incidentale; compensava le spese di lite per 1/4 relativamente a entrambi i gradi di giudizio; condannava gli appellanti al pagamento delle spese di CTU. In particolare, la Corte d'Appello aveva accertato che con le vendite del 7.6.1979 e del 20.12.1979 (quest'ultima reiterata il 13.7.1981 con la forma dell'atto pubblico), G.G. aveva acquistato la nuda proprietà di un appartamento al piano terra confinante con Via (omissis), con scala e con proprietà di M.T., nonché di una striscia di terreno di m. 30 e, in seguito un'ulteriore striscia di terreno delle stesse dimensioni, adiacente alla prima e a confine con il terreno di m 180 acquistato dagli attori in data 16.7.1981. Dal tenore dell'art.4 della scrittura privata del 20.12.1979, la Corte di merito riteneva che emergesse con chiarezza che a quella data la zona oggetto di vendita (seconda striscia di m. 30) non era stata ancora edificata in quanto si faceva riferimento alle luci che sarebbero state eventualmente realizzate sul confine est con la restante proprietà T. e che, a lavori ultimati, dovevano essere muniti di sbarre di ferro da parte degli acquirenti. Alla data del 13.7.1981 - ossia al momento della stipula dell'atto pubblico - la costruzione era stata ultimata (art. 4 punto 2). Pertanto, l'edificazione in ampliamento delle preesistenti costruzioni doveva ritenersi effettuata dai convenuti tra il 20.12.1979 e il 13.7.1981. Non poteva trovare applicazione la disposizione di cui all'art. 1062 c.c., la quale prevede la destinazione del padre di famiglia quale ipotesi di acquisto della servitù volontaria, in quanto la T., prima che i fondi venissero divisi, avrebbe dovuto edificare in violazione di quelle che sarebbero divenute le distanze oggetto di doglianza, mentre nella fattispecie i G. hanno dapprima acquistato il terreno e poi hanno edificato. Tuttavia, la Corte di merito riteneva di riformare la sentenza di primo grado in quanto il Tribunale non aveva tenuto conto dello stato dei luoghi all'epoca del contratto stipulato in data 7.6.1979 tra la T. e i G.. Trattandosi di costruzioni preesistenti rispetto alla divisione del fondo, dovevano ritenersi sussistenti i presupposti di cui all'art. 1062 c.c. in tema di destinazione del padre di famiglia, con condanna dei G. ad arretrare ripristinando la distanza di cui alle precedenti costruzioni che era pari a m. 6 dal confine con l'attuale proprietà attorea. Rigettava l'appello incidentale in quanto non era stata data la prova che il muro fosse stato edificato dalla T.. Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione C.G., G.G. e A.G.
sulla base di due motivi. M.S. è rimasta intimata, mentre ha depositato un controricorso in data 2.12.2019
Motivi della decisione
Va preliminarmente sottolineato che, onde completare la costituzione nel grado, il P., pur consapevole della sua tardività, notificava a controparte un succinto controricorso [con allegata procura notarile del 2.3.2016]; quindi deposita memoria illustrativa in vista della camera di consiglio o della discussione della causa nella pubblica udienza. Infatti, «In tema di rito camerale di legittimità di cui all'art. 1-bis della I. n. 197 del 2016, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. n. 168 del 2016, applicabile, ai sensi del comma 2 della stesso articolo, anche ai ricorsi depositati prima dell'entrata in vigore della legge di conversione per i quali non sia stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza in camera di consiglio, la parte che abbia precedentemente depositato procura notarile senza notificare alcun controricorso - perduta la facoltà di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in camera di consiglio per effetto delle norme sopravvenute - può esercitare la propria difesa presentando memoria scritta ai sensi dell'art. 380-bis, comma 2, c.p.c., e, in caso di soccombenza della controparte, ha diritto alla rifusione delle spese e dei compensi per il conferimento della procura e per l'attività difensiva così svolta» (Cass. n. 7701 del 2017; Cass. n. 19988 del 2017).
2. - Ciò chiarito, passando ai motivi di ricorso, con il primo motivo, i ricorrenti deducono la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1376, 1362, 1363 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.», rilevando che la Corte d'Appello aveva ritenuto che l'atto pubblico di trasferimento del 13.7.1981 fosse stato meramente riproduttivo degli effetti della scrittura privata del 20.12.1979. Invero, dalla suddetta scrittura privata si rilevava che la T. aveva trasferito il terreno di m. 30, adiacente al terreno di uguali dimensioni, già in loro possesso, a entrambi i fratelli G. e C., mentre con l'atto notarile del 13.7.1981 la T. trasferiva il suddetto terreno al solo G.G.. È quindi evidente l'errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel qualificare il suddetto atto notarile come meramente riproduttivo degli effetti della scrittura privata del 20.12.1979 non essendosi avveduta della diversità dei soggetti ai quali risultava trasferita la proprietà. Inoltre, i ricorrenti lamentano che la Corte d'Appello aveva ritenuto l'ampliamento delle preesistenti costruzioni effettuato nell'arco di tempo compreso tra il 20.12.1979 e il 13.7.1981. La Corte avrebbe dovuto rilevare che i contratti erano stati stipulati da soggetti diversi e avevano a oggetto beni diversi, per cui non avrebbe dovuto escludere l'applicazione dell'art. 1062 c.c. e del principio "nemini res sua servit".
2.1 - Il motivo non è fondato.
2.2. - Con riferimento al profilo riguardante la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. [peraltro non adeguatamente motivata], risulta consolidato che in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un'indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, e tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'iter logico seguito dal giudice per attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
2.3. - Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l'altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003). Il giudice di merito è dunque libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. n. 3601 del 2006). Né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell'esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga - in maniera concisa ma logicamente adeguata - gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730 del 2020; conf. Cass. n. 28300 del 2021; Cass. n. 16987 del 2018; Cass. n. 28319 del 2017).
2.4. Secondo la Corte distrettuale non poteva correttamente trovare applicazione - con riferimento al caso in esame - la disposizione di cui all'art. 1062 c.c., la quale prevede la destinazione del padre di famiglia quale ipotesi di acquisto della servitù volontaria (nella specie quella di potere mantenere la costruzione in violazione delle distanze). Sull'argomento la Corte d'appello osservava essere difatti sofficiente che il dante causa, proprietario di entrambi i fondi [ossia la T.], prima che gli stessi fossero divisi, avesse posto o lasciato le cose nello stato dal quale risultava la servitù; e quindi edificare in violazione di quelle che sarebbero divenute le istanze oggetto di doglianza [diversamente tuttavia nel caso in esame i G. avevano dapprima acquistato il terreno, edificandolo in seguito]. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che la servitù per destinazione del padre di famiglia è fattispecie non negoziale che postula l'esistenza di segni ed opere visibili e permanenti, costituenti indice non equivoco ed obiettivo del peso imposto al fondo servente, nonché l'originaria appartenenza dei due fondi ad un unico proprietario prima dell'acquisto di uno di essi da parte di altro soggetto e il perdurare di tale situazione fino alla separazione della originaria unica proprietà, sempre che non risulti una manifestazione di volontà contraria all'atto del negozio con cui si attua detta separazione (ex plurimis, Cass. n. 3389 del 2009; Cass. n. 16842 del 2009; Cass. n. 3219 del 2014). La costituzione della servitù ex art. 1062 cod. civ. avviene nel momento in cui i fondi, dominante e servente, hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario, ed è a quel momento che occorre fare riferimento ai fini dell'accertamento giudiziale, con la conseguenza che i successivi mutamenti dello stato dei luoghi risultano irrilevanti (Cass. n. 32684 del 2019). Per lo stesso motivo, non poteva trovare applicazione nemmeno il principio nemini res sua stervit poiché, all'epoca della realizzazione della costruzione, i fondi già appartenevano a proprietari diversi (sentenza impugnata, pag. 13).
2.5. - La Corte d'appello si è servita della scrittura e dell'atto pubblico unicamente per stabilire l'epoca della costruzione dei G. essendo proprio i ricorrenti a dichiarare che "con tale ultimo atto [la scrittura del 20.12.1979] le parti avevano trasferito un terreno" mentre "con il successivo atto del 13.07.1981 un terreno completamente edificato (v. ricorso, pag. 14). La censura non coglie la ratio decidendi della Corte di appello che ha considerato la sua scrittura solo per riscontrare - con apprezzamento di fatto qui non censurabile - l'epoca di costruzione (v. pagg. 9 e segg. sentenza impugnata).
3. - Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la «Violazione di legge artt. 1362, 1363, 1062 e 1027 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.», là dove la Corte territoriale non aveva tenuto conto che con l'atto notarile del 13.7.1981 le parti avevano inteso regolamentare la servitù, costituitasi all'esito dell'edificazione del fabbricato sulla zonetta di terreno, fatta oggetto della precedente vendita effettuata con la scrittura privata del 20.12.1979. Ciò si evince dall'art. 4.2 dell'atto pubblico con il quale le parti avevano stabilito che "le finestre già realizzate dai germani G. G. e C. sul confine ovest degli immobili di loro rispettiva proprietà, e che prospettano sul confine est della restante proprietà della venditrice, attualmente chiuse da grate in ferro fisse, dovranno sempre restare nello stesso stato e mai potranno essere trasformate in balcone o porte". In questo modo la T. avrebbe accettato il peso imposto sull'immobile residuato di sua proprietà e costituente fondo servente.
3.1. - Il motivo non è fondato, per le stesse ragioni di cui sopra.
3.2. - Esso, infatti, investe un apprezzamento di fatto sulla individuazione della data della costruzione e quindi è incensurabile in sede di legittimità. «In tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell'interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l'avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici». (Cass. n. 9751 del 2010; v. ancora Cass. n. 26270 del 2018; Cass. n. 2117 del 2004).
4. - Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto della sola attività ritualmente espletata dal difensore del P.. Va emessa la dichiarazione ex art. 13, c. 1-quater, d.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna ricorrenti al pagamento in favore del P., delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi € 2.800,00 oltre ad € 200,00 per rimborso spese vive, ed al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.