L'agente che per raggiungere il suo scopo si inserisce in un'organizzazione criminale, nella piena consapevolezza dei metodi violenti dalla stessa utilizzati, si mette volontariamente in una situazione di pericolo.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina, in riforma della decisione del Giudice per le indagini preliminari, in data 16 giugno 2020 - che aveva dichiarato G.Y. colpevole, in concorso con altri, del delitto di cui all'art. 12, comma 3-bis, in relazione ai commi 3, lett. a), b), c) e) nonché al comma 3, lett. b) d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286 - ha escluso tutte le contestate aggravanti e, per effetto, ha rideterminato la pena in mesi 8 di reclusione ed euro 610.000,00 di multa. La Corte territoriale riteneva accertato il contributo dell'imputato alla consumazione del reato in forma concorsuale. G. aveva, infatti, operato quale "comandante" di un gommone che, partito dalle coste libiche e diretto in Italia con a bordo numerosi cittadini extracomunitari, era stato soccorso dalla nave (omissis). In tal senso deponevano le concordi dichiarazioni rese dai passeggeri, sentiti nelle forme dell'incidente probatorio, riscontrate non solo da alcuni filmati ma dalle ammissioni dello stesso interessato. Risultava parimenti accertato, a seguito dell'attività istruttoria svolta nel giudizio di appello, che G. era stato vittima, come gli altri passeggeri, di violenze e soprusi da parte degli organizzatori del viaggio e che aveva accettato di compiere la condotta di trasporto penalmente sanzionata per adeguarsi alla strategia adottata dall'organizzazione criminale di affidare direttamente ad uno dei trasportati l'incarico di condurre l'imbarcazione diretta verso il territorio italiano. Sul piano della qualificazione giuridica, la sentenza impugnata escludeva che la doppia qualifica dell'imputato di migrante e scafista rendesse applicabile in suo favore l'invocata causa di giustificazione dello stato di necessità.
2. Ricorre G.Y., per il tramite del difensore di fiducia, sulla base di un unico motivo con cui denuncia promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla causa di giustificazione dello stato di necessità.
2.1. La Corte di appello, per escludere in punto di diritto la scriminante, ha ritenuto insussistente l'elemento costituivo del pericolo non volontariamente causato dal soggetto agente e comunque altrimenti evitabile, valorizzando come decisiva la sua scelta iniziale. di affrontare il viaggio in mare affidandosi all'organizzazione dei trafficanti. Essa, infatti, implicava necessariamente anche l'accettazione del rischio di porsi nella situazione pericolosa che ha dato luogo all'azione necessitata. L'assunto è erroneo perché fondato sull'erronea interpretazione dell'art. 54 cod. pen.; tale disposizione impone di valutare la volontarietà rispetto al pericolo incombente e non rispetto a pregresse ed ulteriori circostanze, sia pure ad esso connesse. La Corte distrettuale avrebbe dovuto valutare il carattere necessitato dell'azione illecita ascritta al G. solo con riferimento alla violenza esercitata su di lui nel momento in cui è iniziata la specifica condotta illecita ascrittagli, ossia quando è stato posto alla guida dell'imbarcazione diretta in Italia con a bordo i cittadini extracomunitari privi del titolo per entrare legittimamente nel territorio nazionale, senza considerare la decisione di lasciare la Libia equivalente automaticamente all'accettazione volontaria del pericolo di esporre la propria persona ad un male ingiusto. Ciò che conta è che, alla luce del materiale probatorio raccolto non può affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il G. si sia posto spontaneamente alla guida del natante senza essere influenzato dalla condizione di costrizione in cui versava, come documentato dai filmati acquisti nel giudizio di appello, da molti mesi.
2.2. L'apparato argomentativo posto a sostegno della decisone di negare l'applicazione dello stato di necessità è in più punti illogico e contradditorio. È stato dato per accertato che l'organizzazione di trafficanti di esseri umani era stabilmente dedita ad atti di violenza efferati e, comunque, in grado di soggiogare i migranti anche per individuare il comandante delle barche di fortuna e che il G., al pari degli altri passeggeri, era stato sottoposto al trattamento di prigionia disumano documentato dal filmato; ciononostante l'imputato è stato ritenuto autore del trasporto sul rilievo che non era verosimile che fosse stato alla partenza vittima di lesioni fisiche o di intimidazioni per costringerlo ad assumere il ruolo di capitano del gommone. Non è stato, però, spiegato perché la pur riconosciuta sussistente condizione psicologica di soggezione e vulnerabilità non abbia influito nell'accettazione dell'incarico di condurre il gommone che rappresentava l'unico sistema per sottrarsi al pericolo attuale di patire ulteriori e più gravi conseguenze. E' stato ignorato che G. in quel contesto si trovava di fronte alla scelta o di intraprendere la navigazione verso l'Italia trasportando i migranti con la speranza di salvarsi o di rimanere nelle mani dei libici di cui ben conosceva l'efferatezza per averla sperimentata personalmente nelle settimane precedenti.
Motivi della decisione
1. Il ricorso propone nell'unico motivo censure infondate sicché deve essere rigettato.
2. Lo stato di necessità postula nell'agente uno stato di costrizione derivante clo.. una situazione di pericolo attuale di un danno grave alla persona da lui non volontariamente cagionata e non altrimenti evitabile, sempre che tra il pregiudizio temuto e l'azione di difesa sussista un giusto rapporto di proporzione (ex plurimis Sez. 6, n. 24255 del 16/03/2021, D.G. Rv. 281526; Sez. 1, n. 4060 del 08/11/2007, dep. 2008, S., Rv. 239200). È l'imputato che deve allegare tutti gli estremi della causa di esenzione, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l'operatività dell'esimente (Sez. 6, n. 45065 del 02/07/2014, D.C., Rv. 260839; Sez. 5, n. 8855 del 30/01/2004, P., Rv. 228755).
3. La Corte di appello ha correttamente escluso che nel caso concreto fosse applicabile l'invocata causa di giustificazione in applicazione degli esposti principi. Seguendo un percorso motivazionale privo di vizi logici, ha escluso che G. abbia commesso il fatto addebitatogli, riqualificato, con l'esclusione di tutte le aggravanti, nella meno grave violazione di cui all'art. 12, comma 1, d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286, perché costretto da una situazione di pericolo qualificabile ai sensi dell'art. 54 cod. pen. Al riguardo, ha puntualmente osservato che, durante le operazioni di imbarco e nel corso della traversata dalla Libia verso l'Italia, non aveva subito violenze o intimidazioni per costringerlo ad effettuare la condotta di trasporto, "ponendosi al comando ed alla guida del gommone", perché nessuno dei migranti, sentiti in sede di incidente probatorio, avevano fatto alcun riferimento a tale circostanza. Né, d'altra parte, era plausibile che l'imputato si opponesse strenuamente all'imbarco esitando un'attività di resistenza che rendesse necessario compiere ai suoi danni atti di violenza o di pressione posto che raggiugere l'Italia era l'obiettivo ultimo del suo viaggio, intrapreso anche a costo di mettere a repentaglio la sua stessa vita. In ogni caso, anche ammesso che G. si fosse venuto a trovare nella condizione, materiale o solamente psicologica, di non poter disattendere l'ordine impartitogli di condurre il gommone perché la disobbedienza avrebbe, quanto meno, comportato la protrazione del trattamento disumano cui era stato fino a quel momento pacificamente sottoposto da parte degli organizzatori del viaggio, il pericolo che aveva evitato non poteva dirsi «non volontariamente causato», perché era pur sempre il risultato di una scelta volontaria. G., infatti, aveva liberamente accettato di intraprendere il viaggio per l'ingresso illegale in uno Stato diverso da quello di appartenza, inserendosi, per raggiungere lo scopo, nell'organizzazione dei trafficanti di essere umani nella consapevolezza che le regole, illecite e spietate, di quest'ultima non escludevano, ma anzi necessariamente implicavano, oltre all'esercizio di poteri coercitivi e di atti di violenza nei confronti dei migranti, come quelli personalmente patiti e documentati nel filmato acquisto con la riapertura in appello dell'istruttoria dibattimentale, anche il contributo personale dei trasportati ai fini del buon esito dell'intera operazione, del tipo di quello prestato dal G. conducendo il gommone (cfr. Sez. 1, n. 12619 del 24/01/2019, C.S., Rv. 276173 - 02).
4. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all'art. 616 cod. proc. pen., in ordine alle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna Il ricorrente al pagamento delle spese processuali.