Nel caso di specie, l'imputato era ritenuto responsabile del reato di cui all'articolo 95 d.P.R. numero 115 del 2002 perché dagli accertamenti effettuati risultava che il figlio era proprietario di un immobile e di un'automobile, il che esclude la condotta colposa.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la decisione del Tribunale con la quale l'imputato era stato condannato per il reato di cui all'art. 95
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Belluno del 26 gennaio 2018, con cui C.D. era stato condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002. Secondo la Corte territoriale, C.D. aveva attestato falsamente che nessuno dei familiari conviventi era proprietario di immobili o percepiva redditi, mentre, in base agli accertamenti effettuati, il figlio convivente David era risultato proprietario di un immobile e di un'autovettura Bmw del valore di euro ventimila. Nella sentenza impugnata si è osservato che, anche a voler riconoscere la tesi difensiva secondo cui i redditi comunque non superavano i limiti di legge, ciò non escludeva la sussistenza del reato. L'oggettiva falsità della dichiarazione era sorretta dall'elemento psicologico del dolo, come confermato dalla moglie dell'imputato che, in qualità di teste, aveva affermato che il marito era consapevole della proprietà del terreno sul quale insisteva il fabbricato adibito a ricovero. Tale affermazione consentiva di escludere che la dichiarazione fosse stata effettuata in buona fede, a causa della non conoscenza della lingua italiana. La Corte veneta ha rilevato che, alla luce dei numerosissimi precedenti penali, il fatto non poteva essere considerato occasionale, per cui non poteva essere applicata la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen..
2. Il C., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la suindicata sentenza, proponendo tre motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione. Si deduce che la Corte di appello non ha valutato una serie di elementi, ricostruendo erroneamente gli accadimenti relativamente a quanto segue: a) il valore del terreno sito in v. Cavalieri di V. Veneto in Feltre e l'incidenza sul reddito; b) il valore indeterminato dell'auto Bmw intestata a C. D.; c) i presunti redditi dell'imputato. L'autovettura consisteva un bene mobile, per cui tale dato non era incompatibile con la dichiarazione dell'imputato. L'auto valeva la cifra di euro sedicimila, mentre, in realtà, era stata acquistata per la cifra ridotta di euro cinquemila/seimila, in quanto danneggiata a causa di un incidente, grazie al contributo di vari familiari ed era nella disponibilità di C. D.. Peraltro, era errata anche l'indicazione secondo cui B.M., moglie dell'imputato, aveva percepito un reddito di euro 1.620,93 nell'anno 2016. Dalla deposizione del teste M.I., comandante presso la Tenenza G.d.F. di Feltre, tale reddito, infatti, era risultato riconducibile all'anno 2013, per cui era privo di attinenza ai fatti contestati. L'indicatore di situazione economica era pari ad euro 2.442 ed avrebbe consentito l'ammissione al gratuito patrocinio. Poco dopo la presentazione dell'istanza di ammissione a gratuito patrocinio, il C. aveva presentato una dichiarazione ISEE, in cui specificava i beni di cui al capo di imputazione. L'errore, pertanto, doveva ritenersi scusabile, in quanto non vi sarebbero state ragioni di dichiarare il falso, per poi dichiarare il vero poco tempo dopo.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo. Si osserva che la conoscenza dell'esistenza del terreno da parte dell'imputato non implicava necessariamente la consapevolezza e la volontarietà della falsità necessarie per configurare il dolo, non potendosi escludere che la condotta fosse ascrivibile ad una sua negligenza o trascuratezza. Il tema dell'elemento soggettivo era stato completamente ignorato, nonostante l'immobile consistesse in un terreno e non in un'abitazione dalla quale eventualmente trarre un reddito. L'imputato, peraltro, era sostanzialmente analfabeta e con scarso livello di scolarizzazione.
2.3. Violazione dell'art. 131 bis cod. pen. e vizio di motivazione. Si rileva che non ricorrevano condizioni ostative al riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto quali motivi abbietti, futili, crudeltà o sevizie; inoltre, mancava l'abitualità della condotta criminosa, della quale il C. era imputato. La Corte di merito ha considerato negativamente il dato dei precedenti penali, mentre i parametri valutativi previsti dall'art. 131 bis cod. pen. hanno natura oggettiva.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate.
2. I primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente, sono manifestamente infondati.
2.1. Va premesso che, ai fini dell'individuazione delle condizioni necessarie per l'ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019, Leonzio, Rv. 275359) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019, De Vito, Rv. 276088). La correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato delle Sezioni Unite di questa Corte in una decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o all'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall'art.79, c. 1, lett. c) d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, non massimata sul punto). Ciò posto sui principi operanti in materia, nella specie, la Corte territoriale, con motivazione del tutto congrua e non contraddittoria e coerente coi principi affermati in sede di legittimità, ha evidenziato le ragioni per le quali erano state respinte le giustificazioni addotte a difesa, in quanto, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel reddito complessivo dell'istante, ai sensi dell'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, deve essere computato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune (Sez. 4, n. 44121 del 2012, I., Rv. 253643). La Corte di merito ha poi correttamente richiamato il consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui integrano il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall'effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio (Sez. 4, n. 40943 del 18/09/2015, D.R., Rv. 264711; Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, I., Rv. 242152).
2.2. In ordine all'elemento soggettivo, va ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l'ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, B., Rv. 277129). Inoltre, ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 95 cit., in caso di effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio, non è sufficiente che l'istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell'elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l'eventuale inutilità del falso (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, Z., Rv. 272192; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, B., Rv. 271051). Il reato è configurabile anche quando la falsità o l'omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, nondimeno in tal caso occorre verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l'omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo. In aggiunta a quanto precede, è opportuno rammentare che l'art. 76 D.Lgs. n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all'art. 95 stesso d.lgs., non costituisce legge extrapenale in ordine alla quale l'errore da parte del soggetto attivo possa avere incidenza scusante. Ciò in quanto deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell'art. 47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, C., Rv. 263808; Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015, B., Rv. 263013). La Corte di merito ha adeguatamente motivato su tali questioni, escludendo che le dichiarazioni difformi dal vero rese dal C. circa la proprietà da parte del figlio del terreno e di un'autovettura di elevato valore potessero costituire il frutto di una mera negligenza. Nel caso in esame, l'omessa dichiarazione delle proprietà e dei redditi di un familiare, indicato dallo stesso imputato come convivente, nel periodo considerato, costituisce elemento certamente valutabile - ai fini dell'indagine sull'elemento psicologico del reato - dai giudici di merito, i quali hanno peraltro esplicitamente richiamato precisi indici rivelatori della malafede dell'imputato. In particolare, si è attribuito rilievo alla dichiarazione della moglie dell'imputato, secondo la quale tali circostanze erano ben note al marito al momento della presentazione dell'istanza (vedi la sentenza di primo grado). La parte, nel riformulare le censure esaminate dalla Corte distrettuale, ha finito con il proporre una diversa lettura dei dati probatori e, in definitiva, una valutazione alternativa rispetto a quella condotta dai giudici di merito con ragionamento del tutto lineare, logico e coerente coi dati fattuali e i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia.
3. Il terzo motivo è fondato. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. va considerato che la speciale causa di non punibilità prevista dalla disposizione richiamata è configurabile in presenza di un duplice condizione, essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., cui segue in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell'offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore, con previsione piuttosto ambigua, esclude nel caso in cui l'autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Con riguardo a tale ultimo presupposto, in definitiva, l'operatività dell'istituto va esclusa quando il soggetto agente abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi. Non è dunque la generica capacità a delinquere a venire in conto, con la conseguenza che il mero richiamo di plurimi precedenti penali da cui l'imputato risulti gravato non è sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento dell'esimente. Il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, infatti, non è precluso dall'esistenza di precedenti penali gravanti sull'imputato, pur quando, sulla base di essi, si sia applicata una pena superiore al minimo edittale, atteso che i parametri di valutazione di cui all'art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttura oggettiva, ed operano su un piano diverso da quelli sulla personalità del reo (Sez. 3, n. 35757 del 23/11/2016, dep. 2017, S., Rv. 270948). I precedenti penali possono assumere valenza ostativa solo ove l'imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole (Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 278095). Tanto premesso, la sentenza impugnata sul punto non risulta aver fatto buon governo di questi principi, essendosi limitata a fare riferimento genericamente ai plurimi precedenti penali che sarebbero indicativi di non abitualità della condotta criminosa, sillogismo avente natura del tutto congetturale, in quanto non è stata spiegata la presunta comunanza di indole con quello per cui si procede. Il ricorrente, peraltro, non si limita a contestare la valutazione, bensì sottolinea l'assoluta mancanza di connotati ostativi alla valutazione di particolare tenuità del fatto, di abitualità della condotta criminosa e di dati oggettivi sintomatici di pericolosità.
4. Per tali ragioni la sentenza impugnata va annullata per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia in relazione alla questione inerente alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., risultando invece infondati gli ulteriori motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.