Ai fini di tale liquidazione, è necessaria una valutazione personalizzata dell'opera realizzata da ciascun curatore mediante l'indicazione dell'attivo realizzato e del passivo accertato nel corso di ciascuna fase della gestione della procedura.
In un giudizio avente ad oggetto la liquidazione del compenso ai diversi professionisti che si sono succeduti nell'incarico di curatore di un fallimento, il Tribunale di Foggia procedeva a separate determinazioni del medesimo.
Un curatore e il coadiutore propongono ricorso per cassazione, lamentando la violazione...
Svolgimento del processo
1. Il 17 dicembre 2018 C.R. e L.M. chiesero al Tribunale di Foggia la liquidazione del compenso loro spettante per l'opera prestata, rispettivamente, quali curatore (R.) e coadiutore (o M.) del fallimento della I. s.r.l., pendente dal 1996 avanti tale Tribunale.
2. Dopo avere disposto l'integrazione del contraddittorio con M.B. (professionista che, prima di R., aveva svolto l'incarico di curatore dello stesso fallimento), il Tribunale, con decreto emesso il 14 novembre 2019: liquidò a B. compenso pari a €. 131.581 sull'attivo realizzato e a €. 1.123.096 sul passivo accertato, da tali somme detratte gli acconti (complessivamente pari a €. 1.079.999,98) da lui in precedenza percetti; liquidò a R. e M. compenso pari a €. 63.306 sull'attivo realizzato e a €. 1.829 sul passivo accertato, da tali somme detratti gli acconti (complessivamente pari a €. 59.903,97) da costoro in precedenza percetti.
2.1 Dopo avere richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di ripartizione del compenso per lo svolgimento dell'incarico di curatore di fallimento nel caso in cui lo stesso sia stato svolto in tempi diversi da più professionisti, la motivazione della decisione è nel senso che: il compenso a B. è da liquidare "all'interno dei valori medi e massimi, tenuto conto della mole di lavoro svolta, della complessità del fallimento e della complessiva attività liquidatoria posta in essere"; quello "alla curatela dr. R.-dr. M." è invece da liquidare "secondo valori massimi alla luce della notevole attività amministrativa svolta"; il curatore B. aveva realizzato attivo pari a €. 9.888.210 e accertato passivo per complessivi €. 311.882.829; il curatore R., coadiuvato da M., aveva realizzato attivo pari a €. 1.583.284 e accertato passivo per complessivi €. 313.145.
3. C.R. e L.M. chiedono la cassazione di tale decreto con ricorso contenente tre motivi di impugnazione, assistiti da memoria.
5. Il ricorso venne notificato al fallimento della I. s.r.l. mediante consegna dell'atto all'avvocato P.C., in applicazione dell'art. 78 cod. proc. civ. nominato, su istanza dei ricorrenti, curatore speciale della procedura con decreto emesso dal Primo Presidente della Corte il 7 gennaio 2020.
4. Il fallimento della I. s.r.l., in persona del menzionato curatore speciale, resiste con controricorso, assistito da memoria.
5. L'intimato M.B. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il decreto impugnato viene censurato perché caratterizzato da violazione dell'art. 39 l.fall. (nel testo precedente la riforma operata con d.lgs. n. 5 del 2006) e dell'art. 2 del d.m. n. 30 del 2012, perché, ricorrendo il caso di più professionisti succedutisi nell'incarico di curatore del fallimento, in violazione della citata norma della legge fallimentare per come interpretata da Cass. S.U. n. 26730 del 2007: non ha determinato unitariamente il compenso spettante ai curatori nei limiti segnati dall'art. 1 del d. m. n. 570 del 1992, avendo, invece, proceduto a separate determinazioni del compenso medesimo; non ha attribuito a ciascun professionista che tale incarico ha svolto una quota del compenso determinata secondo il principio di proporzionalità e commisurata all'opera prestata nelle diverse fasi della procedura, ai risultati ottenuti, all'importanza del fallimento, nonché alla sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni; ha dato rilievo, ai fini della determinazione di ciascun compenso all'ammontare del passivo accertato da ciascun curatore, mentre tale dato rileva ai soli fini della determinazione del compenso unitario, non anche per la sua ripartizione fra i professionisti succedutisi nell'incarico, essendo allo scopo rilevante la sola misura dell'attivo realizzato da ciascun curatore (dopo aver temperatoi il criterio di cassa con quello di competenza) che "fotografa" un risultato immediatamente ascrivibile al merito di ciascuno dei curatori succedutisi nel tempo, mentre il riferimento al passivo accertato rischia di condurre a risultati iniqui, come accaduto nel caso di specie, in cui il compenso attribuito a B. è pari al 96% della somma algebrica fra i rispettivi ammontari dei due compensi, mentre quello assegnato a essi ricorrenti è pari al 4% di tale somma algebrica. Sotto altro, concorrente, profilo, la motivazione caratterizzante il decreto è meramente apparente, non rinvenendosi in esso alcuna specifica motivazione relativa all'applicazione del criterio di proporzionalità.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che il decreto impugnato è nullo per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per avere il Tribunale omesso di pronunciarsi sulla domanda "di determinazione del compenso unitario della curatela e di ripartizione proporzionale dello stesso tra i curatori succedutisi nel tempo" come da essi proposta il 17 dicembre 2018.
3. Con il terzo motivo (intitolato "Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, 1q comma, n. 5, c.p.c.") i ricorrenti deducono che la motivazione del decreto, nella parte relativa alle modalità di determinazione dei due compensi, si sostanzia in formule generiche e standardizzate che non contengono alcun specifico riferimento alle vicende della procedura; non essendosi, in particolare, spiegato per quale ragione il valore applicato per il compenso B. (fra il medio e il massimo) sia inferiore a quello (pari al massimo) indicato per essi ricorrenti. Inoltre, sempre secondo i ricorrenti, la motivazione è all'evidenza contraddittoria in quanto il Tribunale: nel richiamare Cass. n. 22279 del 2019, ha affermato che ai fini dell'applicazione del criterio di proporzionalità nella ripartizione del compenso "deve essere precisato l'ammontare dell'attivo realizzato da ciascun curatore"; contraddittoriamente, ha poi liquidato i separati compensi in base tanto all'attivo realizzato che al passivo accertato.
4. I tre motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono infondati. Al caso di specie trovano applicazione: la disciplina legale relativa al compenso del curatore di fallimento vigente (art. 39 l.fall.) prima della riforma della legge fallimentare recata dal d.lgs. n. 5 del 2006, essendo stato il fallimento della Casillo Silos s.r.l. dichiarato nel 1996 (art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006); gli artt. 1 e 2, comma 1, del d.m. n. 30 del 2012 (applicabile ai compensi da liquidare dopo la sua entrata in vigore, anche se relativi a procedure fallimentari ancora pendenti a tale data: art. 8). Si osserva che il decreto impugnato: indica specificamente l'attivo realizzato e il passivo accertato da ciascun professionista interessato (B.; R. e M.); afferma che il compenso B. può essere liquidato "all'interno dei valori medi e massimi" previsti dal citato d.m., in ragione "della mole di lavoro, del complessità del fallimento e della complessiva attività liquidatoria posta in essere" e che quello di R. e M. può liquidarsi "secondo valori massimi alla luce della notevole attività amministrativa svolta". È vero che il decreto non indica esplicitamente l'ammontare complessivo del compenso per l'incarico di curatore «idealmente riferibile all'intera procedura» (così, in motivazione, Cass. S.U., n. 26730 del 2007) secondo i parametri per la sua determinazione indicati dal citato regolamento di attuazione del 2012, ma è altrettanto vero che tale ammontare si desume, implicitamente, dal risultato dell'addizione dei diversi indici numerici nel decreto esplicitati. Tale ammontare ideale è stato, poi, esplicitamente ripartito fra i professionisti secondo le indicazioni nel decreto contenute. I ricorrenti, d'altra parte, non deducono che il decreto impugnato sia caratterizzato da specifiche violazioni delle disposizioni recate dall'art. 1 del d.m. n. 30 del 2012. Nel caso di più professionisti succedutisi nell'incarico di curatore di fallimento, l'interpretazione data dalla giurisprudenza di legittimità all'art. 39 l.fall. nel testo anteriore alla relativa modificazione operata dall'art. 37 del d.lgs. n. 5 del 2006 è nel senso che: il compenso è sempre liquidato al termine della procedura; il compenso per ciascun professionista che l'incarico ha svolto è stabilito secondo criteri di proporzionalità; prima di tale termine, sono al curatore liquidabili meri acconti sul compenso (in questo senso, cfr., per tutte, Cass. S.U., n. 26730 del 2007, cit.; in senso conforme, cfr. Cass. n. 13551 del 2012). Consolidato è poi l'orientamento secondo cui la liquidazione del compenso ai diversi professionisti che si sono succeduti nell'incarico di curatore di fallimento necessita di specifica e analitica motivazione, sorretta dalla valutazione personalizzata, non cumulativa, dell'opera da ciascuno di essi prestata, dei risultati ottenuti e della sollecitudine con cui sono state condotte le operazioni; in particolare, ai fini dell'applicazione del criterio di proporzionalità nella determinazione delle singole parti di compenso, deve essere precisato l'ammontare dell'attivo realizzato da ciascun curatore, determinando, all'interno dei valori così identificati, il compenso da attribuire ad ognuno, temperando il criterio di cassa della realizzazione dell'attivo con quello di competenza, nei casi in cui il momento solutorio, conseguente alla fase liquidatoria dei beni, ricada temporalmente nella gestione del professionista subentrato nell'incarico, pur essendo causalmente riferibile ad attività svolta da quello precedente (in questo senso, cfr., fra le molte, in riferimento all'art. 39 l.fall., nel testo risultante dalle modificazioni recate dal d.lgs. n. 5 del 2006: Cass. n. 19230 del 2009; Cass. n. 16739 del 2018; Cass. n. 22272 del 2019). Tenuto presente tale ordine di concetti (noti al Tribunale di Foggia), la motivazione caratterizzante il decreto impugnato, nella parte relativa alla determinazione dei compensi dovuti a ciascun professionista non può dirsi meramente apparente: risultando esistente valutazione personalizzata dell'opera da ciascun professionista prestata mediante indicazione dell'attivo realizzato e del passivo accertato nel corso di ciascuna fase della gestione della procedura; essendosi, in particolare, valorizzata per i ricorrenti la "notevole attività amministrativa svolta" che ha indotto il Tribunale a liquidare il compenso secondo i valori massimi previsti dalla disciplina regolamentare.
5. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese anticipate dalla parte vittoriosa. nel presente giudizio, nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare, col vincolo della solidarietà passiva, al controricorrente le spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in C 300 per esborsi e in C 7.500 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.