La Cassazione è stata chiara: il figlio deve effettivamente essersi adoperato per rendersi economicamente autonomo, anche ridimensionando le sue aspirazioni, non dovendo per forza aspettare l'opportunità lavorativa che ritiene più consona alle sue ambizioni.
Il Giudice di secondo grado accoglieva l'appello principale proposto contro la decisione di primo grado che, dopo la sentenza parziale di declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva respinto la domanda dell'ex moglie di assegno divorzile e del contributo al mantenimento del figlio e fissato a 400euro mensili il contributo per l'altro figlio. ...
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Bari, con sentenza n.2282/2019, depositata in data 31/10/2019, ha accolto l'appello principale di DR nei confronti di FR , avverso la decisione definitiva di primo grado del Tribunale del 2017, con la quale, a seguito di sentenza parziale di declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio, era stata respinta la domanda della ex moglie di assegno divorzile, era stato revocato il contributo paterno al mantenimento del figlio P ed era stato fissato in € 400,00 mensili il contributo al manteniment0 del figlio D. I giudici d'appello, premesso che la causa «all’udienza del 28/6/2019» era stata riservata in decisione, con termini alle parti ex art.190 c.p.c., in riforma determinato in € 200,00 R in favore della R della decisione di primo grado, hanno mensili l'assegno divorzile dovuto dal R e in complessivi «€ 400,00 (€ 200,00 ciascuno)» l'assegno dallo stesso dovuto per il contributo al mantenimento dei figli P e D maggiorenni ma non autosufficienti economicamente, respinto «l'appello incidentale» del R . In particolare, la Corte territoriale, stante la natura composita dell'assegno divorzile, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, ha rilevato che la R, durante la convivenza matrimoniale, protrattasi per diciannove anni, non aveva mai espletato un'attività lavorativa, dedicandosi alla cura della famiglia, contribuendo così al ménage familiare, e la sua capacità lavorativa doveva essere vagliata anche in relazione all'età attuale (47 anni), mentre il R , avuto riguardo «alle risultanze fiscali rivenienti dal giudizio di primo grado», aveva percepito nell'anno 2017 redditi lavoro dipendente, pari ad € 26.030,00, nonché da fabbricati e terreni e doveva anche contribuire al 50% al mantenimento di un altro figlio, dell'età di sei anni, avendo costituito un nuovo nucleo familiare; quanto ai due figli, essi erano maggiorenni ma non autosufficienti economicamente (ed anche il figlio P non poteva dirsi che fosse stato in colpa per non avere reperito un'attività lavorativa), con conseguente debenza da parte del padre di un assegno complessivo di «€ 500,00 (€ 250,00 ciascuno)» per i due figli. Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 29/1/2020, FR propone ricorso per cassazione, notificato il 13/1/2020, affidato a nove motivi, nei confronti di DR ( che resiste con controricorso, notificato il 22/2/2020). Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt.132 e 156 cp c., per contrasto tra la parte motiva e dispositiva cella decisione impugnata in ordine al quantum dell'assegno di mantenimento disposto in favore dei figli P e D, essendo indicata in motivazione una misura diversa (€500,00 in totale, € 250,00 per ciascun figlio) da quella del dispositivo (€ 400,00 in totale, di cui € 200,00 per ciascun dei figli), con assoluta incertezza in merito alla statuizione del giudice e conseguente nullità della sentenza; b) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art.360 n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell'art.190 c.p.c. e lesione del diritto di difesa, atteso che, come emerge dall'estratto del fascicolo telematico relativo al procedimento di merito (all.4), all'udienza del 28/6/2019, «il giudice si era riservato» ma non per la decisione e non erano stati concessi i termini per conclusionali e repliche, tanto che nessuna delle parti ha provveduto al deposito delle memorie e repliche conclusive, con grave lesione del diritto di difesa; c) con il terzo motivo, la nullità della sentenza e del procedimento, exart.360 n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente considerato come prodotti degli atti processuali rilevanti, la comparsa conclusionale e la memoria di replica, come indicato in motivazione, erroneamente (così essendo scritto a pag.2 della sentenza impugnata: «La R depositava la prima memoria ex art.190 c.p.c., con la quale insisteva nelle proprie eccezioni e deduzioni già ampiamente esposte nel libello introduttivo del giudizio di appello. Il R depositava la propria comparsa conclusionale, insistendo nelle proprie eccezioni e deduzioni tutte esposte nei propri scritti difensivi. Infine, entrambe le parti depositavano le note di replica insistendo nei propri assunti»); d) con il quarto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n.3 c.p.c., degli artt.115 c.p.c. e 345, 3 e 5° comma, c.p.c., sia l'omesso esame di fatto decisivo e l'omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., in ordine alle attuali condizioni economiche del R peggiorate, avendo lo stesso allegato, nel maggio 2018, in appello, documentazione dalla quale emergeva che lo stesso era stato dispensato, nel 2018, dal servizio di polizia penitenziaria per infermità, con un reddito, da pensione, di soli € 770,00 mensili, documentazione del tutto ignorata dalla Corte di merito; e) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.5 e 9 1.898/1970, in riferimento alla situazione economica degli ex coniugi, atteso che il R aveva un reddito da pensione di € 770 mensili, minimi redditi tratti dai terreni di proprietà, di minima consistenza e non produttivi, cui si doveva aggiungere l'elevato debito contratto con Istituto di credito per il mutuo acceso (originariamente insieme alla moglie, che tuttavia aveva poi ceduto la quota del 50% al marito) per l'acquisto della casa coniugale, nonché il carico della nuova famiglia di fatto e della nascita di un figlio, mentre la R l, che aveva 36 anni quando era iniziata la separazione, non aveva mai dimostrato di non potersi procurare redditi propri per ragioni oggettive; f) con il sesto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.36O nn. 3 e 5 c.p.c., dell'art.5, comma 6, 1.898/1970, in relazione alla mancata indagine sulla situazione economica e lavorativa della signora R, che non aveva depositato certificazione dei suoi redditi e del suo stato occupazionale; g) con il settimo motivo, la violazione falsa applicazione, e arnt.36O nn. 3 e 5 c.p,c, degli artt.147 e 148 c.c., nonché l'omesso esame di fatto decisivo, ex art.36O n. 5 c.p.c., in relazione all'obbligo di contribuzione del padre al mantenimento dei due figli maggiorenni, atteso che, all'ultima udienza, era emerso che il figlio P aveva trovato lavoro, mentre l'altro figlio D aveva 24 anni ed erano passati sei anni dal conseguimento della licenza media, senza che lo stesso avesse trovato un lavoro né avesse intrapreso un percorso di formazione, per sua inerzia colpevole; h) con l'ottavo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.36O nn. 3 e 5 c.p c., degli art.147 e 148 c.c. in riferimento alla statuizione sull'obbligo di mantenimento del figlio P., in riforma della decisione di primo grado, effettuata sulla base di mere supposizioni e non i proprie; i) con il nono motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.36O n. 3 c.p.c., degli artt.342, 343 e 333 c.p.c., in ordine alla qualificazione della propria comparsa di costituzione e risposta come appello incidentale, avendo invece il R solo preso posizione sulle doglianze mosse dalla R.
2. La controricorrente assume, in relazione ai primi tre motivi del ricorso ed all'ultimo motivo, che si sia in presenza di meri refusi inidonei a travolgere l'intera sentenza e dà atto di avere proposto istanza ex art.287 ess. c.p.c, per correzione di errore materiale, dinanzi alla Corte d'appello di Bari, la cui udienza di comparizione è fissata per il 27/3/2020. In particolare, in relazione al secondo motivo, la controricorrente, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, assume che la causa di merito all'udienza del «28/6/2019» venne effettivamente trattenuta in decisione, con concessione alle parti dei termini per deposito di conclusionali e repliche ex art.190 c.p.c., ma che le parti, per loro libera scelta, non vi abbiano in realtà provveduto. La ricorrente assume poi di avere altresì denunciato, nel procedimento per correzione di errore materiale, l'errore materiale in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale per avere, nel dispositivo, dopo avere affermato il contrario in motivazione, che il raddoppio del contributo unificato era da porsi a carico non del R, quale parte soccombente appellante incidentale, ma di essa appellante principale, parte vittoriosa. Non si conosce l'esito di tale procedimento di correzione, in quanto anche il ricorrente, che ha depositato memora, ha solo dato atto che sarebbe intervenuta un'ordinanza, nel settembre 2021, di contenuto non precisato.
3. Il primo motivo sarà oggetto di esame successivo. Il secondo ed il terzo motivo, da trattare insieme in quanto connessi, sono infondati. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 36596/2021) ha di recente affermato che «la parte che proponga l'impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, fa violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo». La questione posta all'attenzione delle Sezioni Unite atteneva all'ipotesi di pronuncia della sentenza prima della scadenza dei termini, già assegnati dal giudice, previsti dall'art.190 c.p.c. ma essa è stata risolta ritenendo il principio operante anche nell'ipotesi di «mancata concessione del termine ex art.190 c.p.c.», essendo identica la questione circa la necessità cdi allegare o meno alla doglianza un pregiudizio concreto e specifico al diritto di difesa. Nel motivo di ricorso, il R lamenta, in effetti, la mancata assegnazione alle parti del termine previsto dal combinato disposto degli artt.352 e 190 cpc, secondo cui, il giudice esaurita l'attività di trattazione, ove non disponga l'assunzione di mezzi di prova, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e note di replica. Questa Corte, al riguardo, aveva da tempo chiarito che «nell'ambito del processo civile, la mancata assegnazione dei termini, in esito all’udienza di precisazione delle conclusioni, per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie finali di replica ai sensi dell'art. 190 cod. proc. civ., costituisce motivo di nullità della conseguente sentenza, impedendo ai difensori delle parti di svolgere nella sua pienezza il diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio» (Cass.4805/2006; Cass.18149/2016; cfr. Cass. 20732/2018: «È nulla la sentenza che pronunci nel merito della causa senza che siano state precisate le conclusioni e assegnati i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie finali di replica, essendo in tal modo impedito ai difensori delle arti il pieno svolgimento del diritto di difesa, con conseguente del principio del contraddittorio»). Tuttavia, nella specie si verte in tema di appello in materia di divorzio, cui si applica, ai sensi dell'art.4, comma 15, 1.898/1970, il rito camerale. Ora, questa Corte ha già chiarito che «nei procedimenti di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale (quale il giudizio di appello in materia di divorzio, ai sensi dell'art, 4, dodicesimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e succ. modif.), deve essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio; tuttavia, trattandosi di procedimenti caratterizzati da particolare celerità e semplicità di forme, ad essi non sono applicabili le disposizioni proprie de processo di cognizione ordinaria e, segnatamente, quelle di cui agli artt. 189 (Rimessione al collegio) e 190 (Comparse conclusionali e memorie) cod. proc. civ.» (Cass. 565/2007). Il principio è stato ribadito: «I procedimenti camerali contenziosi, fermo il rispetto del principio del contraddittorio, sono caratterizzati da particolare celerità e semplicità di forme, sicché con essi sono incompatibili le disposizioni che regolano la fase decisoria nel processo ordinario di cognizione e, segnatamente, quelle di cui agli artt. 189 e 190 c.p.c.» (Cass. 26200/2015; cfr. anche Cass. 2032/2019, con riguardo al procedimento di primo grado di divorzio). Ne consegue che, nella specie, non era in ogni caso obbligatoria per il giudice la concessione dei termini ex art.190 c.p.c.. Quindi, al di là del refuso contenuto nella decisione impugnata in ordine alla concessione da parte del giudice dei termini per conclusionali e repliche, la doglianza del R incentrata sulla mancata concessione di detto termine, risulta infondata, attesa la disciplina peculiare che assoggetta al rito camerale, improntato a semplicità delle forme, l'appello in materia di divorzio.
4. Il nono motivo è inammissibile. Premesso che, al riguardo, non si verte in ipotesi di lesione del contraddittorio (vizio che, secondo le Sezioni Unite del 2021, rileva, come già detto, a prescindere all'allegazione di un concreto pregiudizio), il ricorrente lamenta solo che vi sia stata un'erronea qualificazione del proprio atto di costituzione in giudizio come appello incidentale ma non spiega come ciò 9bbia terminato una lesione, considerato che anche la statuizione sulle spese (il R essendo stato condannato alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio) è stata conseguenza dell'accoglimento dell'appello della R e della riforma della decisione di primo grado. In ogni caso, la doglianza è anche infondata: la Corte d'appello in sentenza dice che il R non si era limitato, costituendosi, a chiedere' la reiezione del gravame della R , ma aveva chiesto la revoca del contributo al mantenimento del figlio D o la sua riduzione, il R riproduce il contenuto del proprio atto di costituzione che conteneva anche tali richieste di riforma della decisione di primo grado e costituisce principio consolidato quello secondo cui in tema di impugnazione, per la proposizione dell'appello incidentale della parte non totalmente vittoriosa, non sono necessarie formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall'appellato in sede di costituzione risulti chiaramente la volontà di ottenere la riforma della decisione (Cass. 15501/2010; Cass. 2752/2012;),
5. Venendo ora all'esame dei vizi, non implicanti errores in procedendo, dedotti dal ricorrente in relazione al merito della lite, motivi quarto e quinto sono fondati. La Corte d'appello, quanto alla posizione del R ed alla sua capacità reddituale, ha ritenuto di dovere esaminare esclusivamente «le risultanze fiscali rivenienti dal giudizio di primo grado», non prendendo quindi in considerazione il peggioramento allegato per effetto della dispensa dall'attività lavorativa per invalidità, con conseguente abbattimento del reddito percepito. Ora, l'allegazione e la produzione documentale era pienamente ammissibile, non operando nell'appello in materia di divorzio ed al rito camerale i limiti posti dall'art.345 c.p.c.. Invero, questa Corte ha già chiarito che «nel giudizio divorzile in appello, che si svolge, ai sensi dell'art. 4, comma 15, della I. n. 898 del 1970, secondo il rito camerale, di per sé caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, va esclusa la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario ed è quindi ammissibile l'acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie documenti, a condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti» (Cass. ; Cass. 5872/2012; Cass. 11319/2005; Cass. 8547/2002). La Corte d'appello avrebbe quindi dovuto esaminare tale produzione, di rilievo decisivo, considerato che sulla capacità patrimoniale correlata alla proprietà dei terreni neppure la Corte si è soffermata, dando rilievo solo alla capacità reddituale quale allegata in primo grado, allorché il R svolgeva attività di lavoro dipendente nel corpo di polizia penitenziaria.
5 Il sesto motivo è assorbito.
6. I motivi sette ed otto sono parimenti fondati.
Nella specie, la Corte d'appello, con riguardo sia al figlio P sia al figlio o (per quest'ultimo limitandosi a confermare quanto statuito dal Tribunale), si è limitata a ritenere non dimostrata colpevole inerzia del medesimo nel reperimento di un lavoro. Ora, il ricorrente deduce che, per il figlio P., la stessa controparte aveva allegato che egli aveva trovato lavoro, percependo un reddito mensile di € 1.200,00, mentre l'altro figlio D _aveva 24 anni ed erano passati sei anni dal conseguimento della licenza media, senza che lo stesso avesse trovato un lavoro né avesse intrapreso un percorso di formazione, con conseguente d1imostrazione della sua inerzia colpevole. Questa Corte (Cass. 40282/2021) ha, di recente, statuito che «in tema di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne da parte del genitore separato non convivente, lo svolgimento di un'attività retribuita, ancorché prestata in esecuzione di contratto di lavoro a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito, e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare ;(raggiungimento della menzionata autosufficienza economica, che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione». Sempre questa Corte (Cass. 38366/2021) ha affermato che «il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso». Già si era chiarito che l'obbligo del genitore non convivente di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne «non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni» (Cass. 17183/2020; Cass. 13f10/2021, n. 27904; cfr. anche Cass. n.32529 del 14/12/2018). Peraltro, da tempo, questa Corte aveva precisato l'obbligo dei genitori di concorrere tra loro secondo le regole dell'art. 148 cod. civ. nel mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma continua invariato finché i genitori o il genitore interessato non diano la prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, oppure finché non diano la prova che il figlio è stato da loro posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, quand'anche poi non ne abbia tratto profitto per sua colpa» (Cass. 7990/1996; Cass. 2289/2001; cass. 23596/2006; cass. 1773/2012; Cass. 12592/2016). Il figlio divenuto maggiorenne ha diritto, quindi, al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, sia dimostrato (dal figlio, ove agisca il medesimo in giudizio, o dal genitore interessato) che il medesimo si sia adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. Ora, quanto al figlio P viene denunciato anche un vizio ex art.360 n. 5 c.p.c., fondato, di omesso esame di fatto decisivo, mentre quanto al figlio D la sentenza non dà neppure conto del fatto che, nella specie, il genitore interessato aveva allegato il venire meno dell'obbligo, stante la colpevole inerzia dello tesso a reperire un'attività lavorativa, una volta raggiunta la maggiore età, considerato il personale percorso scolastico e di formazione.
7. Di conseguenza, il primo motivo di ricorso, involgente error in procedendo sulla statuizio e del quantum dell'assegno di mantenimento dei figli, è assorbito.
8. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei motivi quarto, quinto, settimo, ottavo, infondati il secondo e il terzo, assorbiti il primo ed il sesto, inammissibile il nono, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Bari, in diversa composizione. n giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi quarto, quinto, settimo, ottavo, infondati il secondo e il terzo, assorbiti il primo ed il sesto, inammissibile il nono, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Bari, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.