Solo la declaratoria di nullità o l'annullamento dell'atto di recesso consentono di considerare il lavoratore dipendente della cedente al momento della cessione, con trasferimento e continuazione del suo rapporto di lavoro in capo alla cessionaria.
Due lavoratori convenivano davanti al Tribunale di Cosenza la società datoriale, sostenendo che la medesima aveva dato in gestione ad un'altra società il reparto a cui essi erano addetti e che le società avevano risolto il contratto di affidamento con scrittura privata. Inoltre, precisavano che la società datoriale non aveva provveduto a ricostruire i rapporti...
Svolgimento del processo
1. M.C. e F.V. hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cosenza, la A. s.r.l., alle cui dipendenze avevano lavorato rispettivamente dal 2006 e dal 2009, ed hanno allegato: - che con contratto del 22.9.2011 la società datoriale aveva dato in gestione alla K. s.a.s. il reparto a cui essi erano addetti (produzione e vendita al minuto di prodotti di pizzeria, rosticceria e friggitoria); - che in tale contratto le parti avevano convenuto il passaggio dei lavoratori in forza presso la A. s.r.l. alle dipendenze della K. s.a.s., con obbligo della prima “in caso di risoluzione dell’affidamento” per qualsiasi causa, di ricostituire i rapporti di lavoro con i dipendenti; - che con scrittura privata del 4.6.2013 le società avevano risolto il contratto di affidamento (con decorrenza dal 24.6.2013) ma la A. s.r.l. non aveva provveduto a ricostituire i rapporti con i lavoratori e la K. s.a.s. aveva loro intimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
2. I ricorrenti in primo grado hanno chiesto la condanna della A. s.r.l. alla ricostituzione dei rapporti di lavoro in capo alla stessa.
3. Il Tribunale ha accolto il ricorso e condannato la società a proseguire i rapporti di lavoro con i ricorrenti, a far data dal 24.6.2013. Ciò sulla base dell’art. 13 del contratto concluso tra le due società, ai sensi del quale “…Il rapporto di lavoro dei dipendenti su citati, ai sensi dell’art. 2112 c.c., proseguirà senza soluzione di continuità con il gestore…. Alla risoluzione del contratto di affidamento, per qualsiasi causa intervenga, detti rapporti torneranno in capo alla concedente”. Ha escluso che potessero avere rilievo i licenziamenti intimati dalla K. s.a.s. in data 3.6.2013 (a causa della “rescissione” del contratto di affidamento) e che la mancata impugnativa degli stessi fosse di ostacolo alla ricostituzione dei rapporti di lavoro in capo alla cedente.
4. La Corte territoriale ha respinto l’appello della società statuendo, per quanto ancora rileva, che l’effetto ripristinatorio dei rapporti di lavoro presso la originaria cedente trovava copertura normativa, (a prescindere dall’art. 13 del contratto o al pari di questo, potendosi in entrambi i sensi intendere l’espressione “ad ogni modo”), nell’art. 2112 cod. civ., applicabile anche alla fattispecie di retrocessione, come nel caso in esame realizzatasi.
5. Avverso tale sentenza la A. s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. M.C. e F.V. hanno resistito con controricorso.
6. La A. s.r.l. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
7. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., dell’art. 6, l. n. 604 del 1966, e dell’art. 32, comma 2, l. n. 183 del 2010.
8. Si assume che la Corte d’appello abbia omesso di considerare che ai due lavoratori era stato intimato il licenziamento, da parte della (retro)cedente, in data (3.6.2013) anteriore alla (retro)cessione; che tale licenziamento, sia pure nullo per contrasto con norma imperativa (art. 2112 cod. civ.), non era stato impugnato, ai sensi e nei termini di decadenza di cui all’art. 6 cit.
9. Si argomenta la violazione di legge sul rilievo che i lavoratori avrebbero preteso di aggirare la disciplina sull’impugnativa dei licenziamenti, da cui erano decaduti ai sensi dell’art. 6 cit., azionando in giudizio una domanda di “prosecuzione” del rapporto in capo alla originaria datrice di lavoro (retro)cessionaria. Si deduce che la Corte d’appello, oltre a ritenere pacifica l’applicabilità dell’art. 2112 cod. civ. alla retrocessione, avrebbe dovuto, a causa dei licenziamenti intimati ai due lavoratori dalla K. s.a.s., all’epoca formale datrice di lavoro, e della loro mancata impugnativa, dichiarare definitivamente cessati i rapporti lavorativi in esame e quindi inammissibili o infondate le pretese azionate nei confronti della A. s.r.l.
10. Il ricorso è fondato.
11. Secondo un orientamento consolidato, la fattispecie del trasferimento di azienda regolata dall'art. 2112 cod. civ. ricorre tutte le volte in cui, rimanendo immutata l'organizzazione aziendale, vi sia soltanto la sostituzione della persona del titolare, indipendentemente dallo strumento tecnico-giuridico adottato. Ad integrare le condizioni per l'operatività della tutela del lavoratore, è sufficiente il subentro nella gestione del complesso dei beni organizzati ai fini dell'esercizio dell'impresa, ossia la continuità nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, restando immutati il complesso dei beni organizzati dell'impresa e l'oggetto di quest'ultima. L'impiego del medesimo personale e l'utilizzo dei medesimi beni aziendali costituiscono un indice probatorio di tale continuità (v. Cass. n. 26808 del 2018; n. 12771 del 2012).
12. Questa nozione di trasferimento di azienda o di ramo d'azienda è coerente con la disciplina in materia dell'Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).
13. Alla luce di tali premesse, correttamente la fattispecie oggetto di causa, di affidamento in gestione ad altra società di un ramo d’azienda, comprensivo dei lavoratori ad esso addetti, è stata ricondotta dai giudici di merito alla cornice normativa di cui all’art. 2112 cod. civ., anche in relazione al successivo segmento del rapporto tra le due società, concretatosi nella retrocessione alla originaria cedente del ramo oggetto dell’affidamento in gestione.
14. Questa S.C. ha chiarito che, in materia di trasferimento d'azienda, la disciplina dell'art. 2112 cod. civ. si applica anche nell'ipotesi di cessazione del contratto di affitto d'azienda e conseguente retrocessione della stessa all'originario cedente, purché quest'ultimo prosegua l'attività già esercitata in precedenza, mediante l'immutata organizzazione aziendale, con onere della prova a carico di chi invoca gli effetti dell'avvenuto trasferimento (v. Cass. 23765 del 2018; n. 16255 del 2011).
15. Nella fattispecie per cui è causa, la Corte di merito ha individuato il fondamento normativo del diritto dei lavoratori alla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della A. s.r.l., originaria cedente e poi retrocessionaria, nell’art. 2112 cod. civ. (espressamente richiamato nella clausola di cui all’art. 13 del contratto concluso tra le due società), che deve trovare applicazione anche in ipotesi di retrocessione. Ha tuttavia errato nella ricostruzione dei rapporti tra l’art. 2112 cod. civ. e il licenziamento intimato prima del trasferimento di azienda o di un suo ramo (o della retrocessione).
16. L’art. 2112 cod. civ., al comma 4, disciplina la fattispecie del licenziamento intervenuto in concomitanza con il trasferimento dell'azienda e prevede che "ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento".
17. Da tale previsione discende che, in caso di trasferimento d'azienda, l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, purché questo abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo (v. Cass. n. 11410 del 2018; n. 15495 del 2008).
18. La tutela prevista dall’art. 2112 cod. civ. in caso di trasferimento d’azienda o di ramo, come si ricava dalla chiara lettera del primo comma (“In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva i diritti che ne derivano”), è affidata all’automatica “continuazione” del rapporto di lavoro con il cessionario e alla “conservazione” dei diritti maturati dai lavoratori sino al momento della cessione. Tale duplice effetto presuppone, dal punto di vista logico e giuridico, la vigenza del rapporto di lavoro in capo alla cedente al momento del trasferimento, vigenza che può essere effettiva ma anche virtuale, quale conseguenza dell’annullamento del licenziamento intimato e del ripristino de iure del rapporto di lavoro.
19. Al riguardo, questa Corte ha precisato che, in tema di trasferimento d'azienda, l'effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione l'applicazione della direttiva 77/187/CE, la quale prevede - secondo l'interpretazione offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C- 319/94, 11 luglio 1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C-19/83) - che i lavoratori licenziati in contrasto con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori (v. Cass. n. 8641 del 2010; nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha ritenuto che, a seguito dell'annullamento del licenziamento, sussistesse la legittimazione passiva anche del cessionario per le richieste del lavoratore relative al ripristino del rapporto di lavoro, escludendo la necessità di una pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia. Nello stesso senso, v. Cass. n. n. 5507 del 2011; v. anche Cass. n. 4130 del 2014 secondo cui “Il rapporto di lavoro del lavoratore, illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda, continua con il cessionario dell'azienda qualora, per effetto della sentenza intervenuta tra le parti originarie del rapporto, il recesso sia stato annullato”).
20. Deve invece escludersi che possa “continuare” in capo alla cessionaria, un rapporto di lavoro non più esistente all’epoca del trasferimento, cioè definitivamente cessato in fatto e anche de iure, per la mancata impugnativa dell’atto di recesso.
21. Nell’ipotesi in cui, come accade nella fattispecie in esame, in epoca anteriore al trasferimento, sia stato intimato il licenziamento (sia in connessione con la cessione e sia per autonomo giustificato motivo oggettivo), la norma di garanzia di cui all’art. 2112 cod. civ. può operare solo a condizione che sia dichiarata la nullità o l'illegittimità del licenziamento, con le conseguenze a ciò connesse in termini di ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della cedente. Solo la declaratoria di nullità o l’annullamento dell’atto di recesso consentono di considerare il lavoratore dipendente della cedente al momento della cessione, con trasferimento e continuazione del suo rapporto di lavoro in capo alla cessionaria.
22. La declaratoria di nullità del licenziamento o il suo annullamento costituiscono dunque un dato pregiudiziale ed autonomo - sul piano logico e su quello giuridico - rispetto all'accertamento del trasferimento d'azienda e dei suoi effetti.
23. La circostanza che nell'ambito di un’unica controversia possano essere proposte tanto la domanda di nullità o annullamento del licenziamento che quella di accertamento dell’avvenuto trasferimento di azienda, con conseguente dichiarazione della prosecuzione rapporto di lavoro alle dipendenze dirette del cessionario, non esclude che la contestazione del licenziamento rimanga sottoposta alla regole sue proprie, e tra queste all’onere di impugnazione nei termini di decadenza di cui all’art. 6, l. n. 604 del 1966, nel testo modificato dalla l. n. 92 del 2012 (v. Cass. 7665 del 2013, relativa ad una fattispecie in cui la lavoratrice aveva convenuto in giudizio la cedente e la cessionaria per far accertare l’intervenuto trasferimento di azienda e dichiarare nullo il licenziamento intimato dalla cedente prima del recesso. La S.C. ha respinto il ricorso della lavoratrice, confermando la sentenza d’appello che, conformemente al Tribunale, avevano rigettato la domanda per intervenuta decadenza dall’impugnativa del licenziamento).
24. In conclusione, la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria (o della retrocessionaria) si realizza, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., per i lavoratori che sono dipendenti della cedente (o della retrocecedente) al momento del trasferimento o che tali devono considerarsi per effetto della nullità o dell’annullamento del licenziamento, con ripristino o reintegra nel posto di lavoro.
25. La Corte di appello non si è attenuta a questi principi poiché ha considerato operante la garanzia di cui all’art. 2112 cod. civ. nei confronti degli attuali controricorrenti sebbene essi, al momento della (retro)cessione, non fossero più dipendenti di fatto della (retro)cedente, come addetti al ramo oggetto di (retro)cessione, né tali potevano considerarsi de iure, a causa del licenziamento intimato prima della (retro)cessione e non impugnato.
26. Per le ragioni esposte, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie conformandosi ai principi sopra esposti, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.