Il canone si configura quale corrispettivo di una concessione, reale o presunta (in caso di occupazione abusiva), dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un'area o spazio pubblico.
La Corte d'Appello rigettava l'appello proposto da Roma Capitale, confermando la pronuncia di prime cure che aveva accolto l'impugnazione di 3 avvisi di liquidazione con i quali Roma Capitale aveva chiesto il pagamento del canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap) e con riferimento a griglie e relative intercapedini.
Il Giudice del gravame...
Svolgimento del processo
1. - con sentenza n. 1578/2017, depositata il 9 marzo 2017, e notificata il 1° giugno 2017, la Corte cli Appello di Roma ha rigettato l'appello proposto da Roma Capitale, così integralmente confermando il decisum di prime cure recante, a sua volta, accoglimento dell'impugnazione di tre avvisi di liquidazione (nn. 48, 49 e 50 del 2004) con i quali Roma Capitale aveva richiesto il pagamento del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (C.) per gli anni dal 1999 al 2001, e con riferimento a griglie, e relative intercapedini, posizionate su via delle Conce;
1.1 - il giudice del gravame ha ritenuto che: - lo stabile condominiale era stato realizzato, su proprietà privata, «a partire dal 1961 ... le griglie e le intercapedini furono realizzate contestualmente alla costruzione del fabbricato»; - l'occupazione, in siffatti termini realizzata, non poteva ritenersi «abusiva» in quanto sussisteva «un titolo che ha legittimato l'uso del suolo privato aperto al pubblico, in virtù del quale sono state realizzate griglie ed intercapedini»; titolo, questo, oltretutto anteriore all'entrata in vigore della disciplina di legge del canone concessorio in contestazione; - non poteva, quindi, ritenersi dovuto il canone nei «casi in cui l'occupazione ed il suo protrarsi sono accompagnati da altro titolo che la sottragga alla pretesa del canone»;
2. - Roma Capitale ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo; - il Condominio di via (omissis) e via (omissis), resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. - ai sensi dell'art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 63, ed al regolamento comunale sul canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 339/98, art. 1, deducendo, in sintesi, che, - sussistendo il presupposto costitutivo dell'obbligazione al ricorrere del dato fattuale connotato dall'occupazione di area pubblica, perché appartenente al demanio comunale ovvero soggetta a servitù di pubblico passaggio, ed a prescindere dalla sussistenza di un titolo (concessione) legittimante l'occupazione, - nella fattispecie del tutto inconferente rimaneva il riferimento all'originaria natura privata dell'area sulla quale era stato assentite l'intervento edilizio, diversamente rilevando che le griglie in contestazione erano state realizzate su area divenuta pubblica e che non sussisteva (altro) titolo recante limitazione dell'uso pubblico di quella stessa area;
2. - in via pregiudiziale vanno disattese le eccezioni di giudicato, interno ed esterno, svolte in controricorso;
2.1 - di vero, ed in relazione all'eccepita acquiescenza (art. 329, c. 2, cod. proc. civ.), la Corte ha, in più occasioni, rimarcato che la formazione del giudicato (interno) per mancata impugnazione di un determinato capo della sentenza investita dall'impugnazione, può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perché fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non può verificarsi sulle affermazioni contenute nella sentenza che costituiscano mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest'ultima sia oggetto del gravame (cfr. Cass., 11 marzo 1988, n. 2399 cui adde, ex plurimis, Cass., 5 dicembre 2019, n. 31788; Cass., 24 maggio 2017, n. 13047; Cass., 23 settembre 2016, n. 18713; Cass., 23 marzo 2012, n. 4732; Cass., 29 aprile 2006, n. 10043; Cass., 18 ottobre 2005, n. 20143; Cass., 28 giugno 2001, n.8859; Cass., 15 settembre 1999, n. 9823; Cass., 9 novembre 1992, n.12062); - e, nella fattispecie, il controricorrente enuncia, per l'appunto, passaggi motivazionali della gravata sentenza che, in quanto tali, sono (tutti) sussumibili nel complessivo contesto argomentativo sopra riassunto e che, - in relazione alla ratio decidendi che ne risulta, - debbono ritenersi investiti dal motivo di ricorso proposto da Roma Capitale;
2.2 - con riferimento, invece, al giudicato (esterno) correlato alle pronunce di merito evocate in controricorso, viene in considerazione una questione nuova che non risulta trattata dalla gravata sentenza e che, ciò non di meno, forma oggetto di mera riproposizione piuttosto che di specifico motivo di ricorso; - peraltro, come reso esplicito dalle stesse deduzioni della parte, si tratterebbe di giudicato esterno che si è formato in epoca (ben) antecedente la gravata pronuncia, così che rileva che, come già statuito dalla Corte, l'eccezione di giudicato esterno può essere proposta nel corso del giudizio di legittimità a condizione che si sia formato dopo la conclusione del processo di appello, così che l'eccezione è preclusa, e il motivo d'impugnazione è inammissibile, se il giudicato sia intervenuto nelle more del giudizio d'appello senza tempestiva deduzione in quella sede (v., ex plurimis, Cass., 31 maggio 2019, n. 14883; Cass., 22 gennaio 2018, n. 1534; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24531; Cass., 7 maggio 2008, n. 11112);
3. - tanto premesso, il motivo di ricorso è, ad ogni modo, destituito di fondamento, e va senz'altro disatteso;
3.1 - la giurisprudenza della Corte ha rilevato che il canone per l'occupazione di spazi e aree pubblici (C.), - che, quale prestazione di natura patrimoniale, agli enti locali è stato concesso di istituire in alternativa alla T. (d.lgs. n. 446, cit., art. 63, c. 1), - dev'essere considerato come un quid ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo dovuto per la medesima occupazione (T.), in quanto il canone è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell'uso esclusivo o speciale di beni pubblici e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un'area o spazio pubblico (v., ex plurimis, Cass. Sez. U., 7 gennaio 2016, n. 61; Id., 28 ottobre 2015, n. 21950; Id., 30 marzo 2011, n. 7190; Id., 26 novembre 2008, n. 28161; v., altresì, Cass., 20 maggio 2020, n. 9240; Cass., 2 ottobre 2019, n. 24541);
3.2 - se, allora, - così come deduce la ricorrente, - il riferimento ad una concessione «presunta» (nel caso, cioè, di occupazione abusiva) rende irrilevante, ai fini della costituzione del rapporto patrimoniale in questione, la ricorrenza di un formale provvedimento concessorio in quanto il canone è dovuto (anche) per la sola occupazione di fatto dell'area pubblica (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1435), ciò non di meno non è affatto indifferente, ai fini in discorso, che la natura pubblica dell'area, oggetto di occupazione, corrisponda al demanio comunale (stradale) ovvero ad altra area soç1getta a servitù di pubblico passaggio, con conseguente indifferenza, come del pari assume la ricorrente, del riferimento operato dalla gravata sentenza all'originaria natura privata dell'area sulla quale era stato assentite l'intervento edilizio; - come, difatti, già rilevato dalla Corte, sia pur con riferimento alla tassa per occupazione di spazi od aree pubbliche, quest'ultima trova applicazione, con riguardo ad opera realizzata su fondo privato asservito a pubblico passaggio, solo se la realizzazione sia posteriore a detto asservimento, atteso che, in caso contrario, l'uso di quel fondo da parte della collettività è insorto già con le limitazioni derivanti dalla presenza dell'opera medesima (v. Cass., 13 aprile 2021, n. 9639; Cass., 11 marzo 1996, n. 1996; Cass., 13 giugno 1990, n. 5753; Cass., 15 marzo 1986, n. 1772); - e, nella fattispecie, il motivo di ricorso oscilla, nella qualificazione dell'area in questione, tra demanio comunale e servitù di pubblico passaggio, senza con ciò specificamente scalfire l'accertamento del giudice del gravame in ordine all'originaria natura privata dell'area sulla quale, assentite l'intervento edilizio, erano state realizzate «le griglie e le intercapedini ... contestualmente alla costruzione del fabbricato»;
3.3 - per di più, va rimarcato, parte controricorrente ha dato conto, con la memoria depositata, del giudicato che, sopravvenuto al ricorso, si è formato a seguito della pronuncia della Corte di Appello di Roma (sentenza n. 6998 del 15 novembre 2019) circa la natura privata dell'area in questione, in difetto, dunque, di una servitù di pubblico passaggio;
4. - le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono, quindi, la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 2.900,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.