A differenza del comporto cd. “secco” in cui è sufficiente indicare i motivi del recesso, nel caso di assenze plurime e frammentate è necessario specificare nel licenziamento i giorni di malattia da computare.
In accoglimento del ricorso presentato da un dipendente, il Tribunale di Trieste dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimatogli per aversuperato il periodo di comporto e condannava il Ministero alla reintegra del posto di lavoro nonché al risarcimento del danno. Avverso tale decisione, il Ministero...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Trieste, con sentenza n. 198 del 2016, rigettava il reclamo proposto nei confronti di SC dal Ministero dell'Interno avverso la decisione del Tribunale di Udine che, all'esito del giudizio di opposizione ex lege 92/2012, aveva confermato l'ordinanza resa in sede cautelare dal medesimo Tribunale che aveva accolto il ricorso della C dipendente della Prefettura di Udine, volto ad ottenere la declaratoria di l'illegittimità del licenziamento intimato il 29.05.2014 per superamento del periodo di comporto e la condanna del Ministero alla reintegra del posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno quantificato nelle mensilità non corrisposte dal licenziamento fino alla data di effettiva reintegra.
2. La Corte territoriale rilevava che il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, non aveva ritenuto quale requisito ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto l'indicazione specifica dei giorni conteggiati e sommati, ma aveva affermato il principio secondo il quale se il datore di lavoro nel provvedimento espulsivo provvede a specificare le giornate di assenza del lavoratore non può più modificarle o successivamente aggiungerne altre. Rilevava che, nel caso di specie, il Ministero aveva scelto di indicare i periodi di assenza per malattia da computare ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto. Così, il periodo indicato dal Ministero per assenza da malattia risultava di 472 giorni complessivi (per sommatoria), ossia inferiore al periodo di comporto limite previsto dalla contrattazione in 484 giorni. Quanto, in particolare, al periodo 15-26 luglio 2012 (periodo contestato ai fini del suddetto superamento) rilevava che dal decreto del Ministero del 31.03.2014 (per quanto contradditorio), richiamato dal decreto espulsivo del 29.05.2014, si evinceva che le assenze dal 15 al 26 luglio 2012 non rientravano nel computo ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto in quanto tali assenze erano indicate come assenze "ingiustificate" e, pertanto, non potevano essere conteggiate per tale superamento. Riteneva che a nulla rilevasse l'eventuale successiva dimostrazione in giudizio che tale periodo di assenza era stato giustificato per malattia, perché ciò che rilevava era la incontrovertibilità/immodificabilità dei periodi contestati nel provvedimento di espulsione, secondo il principio della immodificabilità dei motivi di recesso.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero sulla base di un unico motivo.
4. se ha opposto difese con controricorso.
5. Il Collegio ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell'art. 23, comma 8 - bis d.l. n. 137 del 2020, convertito con I. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.
6. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, chiedendo il rigetto del ricorso.
7. La controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con un unico motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 2 I. n. 604/66 nonché dell'art. 2110 cod. civ. nonché l'omessa motivazione su un elemento decisivo per la controversia, in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Si censura la sentenza impugnata per aver considerato i giorni dal 15 al 26 luglio 2012 quali assenze non giustificate e, dunque, non conteggiabili ai fini del periodo di comporto nonostante le risultanze istruttorie. Il computo dei giorni senza il periodo suddetto, infatti, avrebbe determinato l'errore della Corte nel considerare che il periodo considerato ai fini del comporto era inferiore a quello minimo previsto dalla contrattazione collettiva (pari a 484 giorni). Sostiene il Ministero che i 12 giorni non conteggiati dal Giudice in realtà non erano mai stati contestati come assenze per malattia. Assume che, ai sensi dell'art. 2110 cod. civ., non era necessario specificare i singoli periodi di malattia sui quali si basava il provvedimento di risoluzione del rapporto. Deduce che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è una fattispecie del tutto peculiare e speciale di licenziamento e che, proprio per tale ragione, non è necessario dare specifica indicazione delle singole giornate di assenza, fatto salvo l'onere probatorio in una eventuale fase processuale. Lamenta, inoltre, la mancata pronuncia del Giudice territoriale rispetto al motivo con cui lo stesso aveva censurato in sede di appello la sentenza del Tribunale per aver dichiarato una 'invalidità' del licenziamento e non la sua 'inefficacia' come previsto dall'art. 2, comma 2, I. n. 604/66, in quanto una pronuncia di inefficacia, previo accertamento in sede giudiziale del superamento del periodo di comporto, avrebbe permesso di confermare la legittimità del recesso datoriale ex art. 2110 cod. civ.
2. Il motivo è infondato. Non è discusso che il periodo di comporto è stabilito in 484 giorni. La questione controversa attiene all'inclusione o meno, ai fini del raggiungimento del suddetto limite temporale, di 12 giorni, esattamente del periodo dal 15 al 26 luglio 2012, assumendo il Ministero di aver già indicato tale periodo nel decreto del 31.03.2014, richiamato in quello espulsivo del 29.05.2014. In realtà la Corte territoriale, analizzati i documenti di causa, ha ritenuto che le assenze relative al suddetto periodo fossero assenze ingiustificate e, dunque, non computabili ai fini del superamento del periodo di comporto. Trattasi di un accertamento in fatto (peraltro conforme a quello già svolto dal Tribunale) cui, in questa sede di legittimità, il Ministero inammissibilmente contrappone una diversa lettura tale da ascrivere l'indicato controverso periodo ad assenze per malattia. La censura, là dove è formulata ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell'art. 360 cod. proc. civ. n. 5 come novellato dell'art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in I. n. 134/2012 ed inoltre incontra l'ulteriore sbarramento della 'doppia conforme' ai sensi dell'art. 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. a) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge. Per il resto, la Corte territoriale non ha affatto affermato, come sostiene il ricorrente, che nel caso del superamento del periodo di comporto il datore di lavoro debba specificare già nella lettera di licenziamento i singoli giorni/periodi di malattia presi in considerazione (con preclusione della possibilità di una successiva precisazione), ma ha ritenuto che ove, come nella specie, l'Amministrazione abbia specificato, già in sede di decreto, le assenze prese in considerazione non è poi possibile modificare o aggiungere ex post i giorni in contestazione (quali giorni di malattia) al periodo di comporto. Il principio è conforme all'orientamento di questa Corte di legittimità (v. Cass. 18 maggio 2016, n. 10252; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5752), che va qui ribadito. Ed infatti, in tema di licenziamento per superamento del comporto, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base del novellato art. 2 della I. n. 604 del 1966, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l'onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato; tuttavia, ciò vale per il comporto cd. 'secco' (unico ininterrotto periodo di malattia), ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore; invece, nel comporto cd. per sommatoria (plurime e frammentate assenze) occorre una indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore. Del resto, anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, vale la regola generale dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento, posta a garanzia del lavoratore - il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare l'atto di recesso - con la conseguenza che, ai fini del superamento del suddetto periodo, non può tenersi conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento, sempre che il lavoratore abbia contestato il superamento del periodo di comporto e che si tratti di ipotesi di comporto per sommatoria, essendo esclusa, invece, l'esigenza di una specifica indicazione delle giornate di malattia nel caso di assenze continuative (v. Cass. 22 marzo 2005, n. 6143; si veda anche Cass. 13 agosto 2009, n. 18283 sulla regola dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, la quale, operando come fondamentale garanzia per il lavoratore, vale per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso datoriale, quali sono sia le norme della legge n. 604 del 1966 sia quella di cui all'art. 2110, secondo comma, cod. civ.).
3. Il motivo è del pari infondato là dove lamenta la mancata riforma della sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l'invalidità del licenziamento e non la sua 'inefficacia' come previsto dall'art. 2, comma 2, I. n. 604/66. È sufficiente, al riguardo, rilevare che il provvedimento impugnato è stato ritenuto illegittimo non per la mancata comunicazione dei motivi (e cioè dei giorni presi in considerazione ai fini del superamento del periodo di comporto), ma per insussistenza del fatto posto a fondamento dello stesso (cioè del superamento del periodo di comporto).
4. Da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto.
5. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza, con distrazione.
6. Non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass., Sez. Un., n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi agli avv.ti A.V., B.C. e S.B., antistatari.