La Cassazione rigetta la richiesta di un lavoratore di ottenere la quota di TFR sottoposta a sequestro divenuto inefficace a seguito di sentenza, precisando che ai fini della decorrenza della prescrizione è sufficiente che la pronuncia sia provvisoriamente esecutiva.
Una società bancaria presentava domanda per ottenere il risarcimento dei danni per i fatti asseritamente cagionati da un dipendente, conseguendone l'estromissione del rapporto di lavoro e il sequestro conservativo di un quinto del TFR spettante al dipendente licenziato. Quest'ultimo aveva chiesto ed ottenuto ingiunzione di pagamento per i...
Svolgimento del processo
che R.C. - dipendente della Banca N. S.p.A. dall'1.8.1962 al 19.5.1983 (data alla quale il rapporto era cessato per licenziamento per giusta causa) - aveva agito in giudizio chiedendo la condanna della datrice di lavoro al pagamento della somma di Euro 115.417,48, oltre accessori a decorrere dal 6.11.2008, rappresentando che, a seguito del licenziamento intimato al dipendente, la Banca aveva elaborato un prospetto del TFR dovuto quantificato in € 27.791.579, al netto di anticipazioni ed imposte, ma che, a seguito di ricorso della parte datoriale per ottenere il risarcimento dei danni per i fatti asseritamente cagionati dal dipendente, dai quali era conseguito il provvedimento di estromissione dal rapporto di lavoro, un quinto del detto TFR era stato posto sotto sequestro; che egli aveva, comunque, chiesto ed ottenuto ingiunzione di pagamento per i restanti quattro quinti, pari a €. 22.233.000, oltre accessori dal 20.5.1983 al saldo; che <<il rigetto dell'opposizione promossa dalla Banca avverso il decreto ingiuntivo era divenuto definitivo con sentenza della S.C. del 2008>> e che, pertanto, <<la Banca aveva corrisposto la somma di Euro 44.304,03 portata dal decreto ingiuntivo>>; che il sequestro conservativo relativo di un quinto del TFR maturato <<era divenuto inefficace a seguito di sentenza del 2003, passata in giudicato>; che, sulla base di tali premesse, esso ricorrente aveva diritto di percepire la quota di TFR trattenuta in forza del sequestro conservativo maggiorata degli accessori, <<deducendo altresì che la quota corrispondente ai quattro quinti del TFR residuo - e di cui all'ingiunzione di pagamento - era comunque di importo superiore rispetto a quella corrisposta dalla società in data 5.11.2008, con un credito residuo di complessivi Euro 115.417,48, oltre interessi e rivalutazione a decorrere dal 6.11.2008>>; che il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 9777/2011, in parziale accoglimento del ricorso ritenuta fondata <<l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca avente ad oggetto il pagamento della quota corrispondente ad 1/5 del TFR maturato, in relazione al quale era stato chiesto ed ottenuto il sequestro conservativo>> -, aveva condannato la Banca N. S.p.A. al versamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 17.366,57, a titolo di integrazione del TFR, oltre interessi dalla data di notifica del ricorso al saldo; che, avverso tale pronunzia, il C. aveva interposto appello principale lamentando la erroneità della decisione in ordine alla riconosciuta prescrizione, alla decorrenza degli interessi fissata dal momento della domanda giudiziale anziché dal 6.11.2008, ed al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria; che la Banca N. S.p.A., a sua volta, aveva interposto appello incidentale ritenendo immotivata ed ingiustificata la condanna al pagamento della somma di Euro 17.366,57; che la Corte territoriale di Roma, con sentenza pubblicata il 4.5.2015, in parziale riforma della sentenza gravata, ferma nel resto, ha rigettato l'appello principale, dichiarando non dovuta dalla Banca N. S.p.A. la somma di Euro 17 .366,57, oltre accessori; che la Corte di merito, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha sottolineato che <<Dall'esame della sentenza del Tribunale di Roma del 19.3/9.4.03, emerge che il giudizio aveva ad oggetto la domanda di risarcimento danni proposta dalla Banca nei confronti dei convenuti, fra i quali il C., ed era stato riunito al giudizio di opposizione proposto dalla Banca avverso il decreto ingiuntivo proposto da altro dipendente per il pagamento del TFR. In detto giudizio il C. si era limitato a chiedere il rigetto della domanda di risarcimento danni proposta dalla Banca, senza chiedere - neppure in via riconvenzionale - la condanna della Banca alla corresponsione del TFR sequestrato>>; che, pertanto, <<il Tribunale aveva ritenuto che, non avendo in quel giudizio il C. avanzato nessuna domanda di pagamento, non fosse applicabile l'istituto della interruzione di cui agli artt. 2943 e 2945 comma 2 c.c.; che pertanto la prescrizione del diritto relativo a percepire la parte di TFR sottoposta a sequestro sia cominciata a decorrere dalla sentenza di primo grado che ha dichiarato l'inefficacia del sequestro stesso e non già dal passaggio in giudicato di detta pronuncia, dovendosi dichiarare la prescrizione della relativa pretesa attorea, poiché dagli atti emerge che il primo atto di costituzione in mora relativamente al pagamento di tali emolumenti risale al 20.10.08>>; che <<A fronte delle esposte ragioni, il gravame si limita ad affermare, peraltro tardivamente, che la Banca aveva proposto nei confronti del C. non solo la domanda risarcitoria>>, ma aveva anche chiesto che <<fosse dichiarata la compensazione del suo debito nei confronti dei convenuti... e che tale richiesta era stata riproposta anche nell'atto di appello, dal che, indipendentemente dall'efficacia o meno del sequestro conservativo, il pagamento del quinto del TFR poteva essere richiesto solo a far tempo dalla data del passaggio in giudicato (28.6.2007) della sentenza di appello di rigetto della domanda di compensazione...>>; che <<Deve convenirsi con l'appellante incidentale nel rilevare che la gravata sentenza risulti non chiara, anche per difetto di una puntuale motivazione, relativamente alla statuizione di condanna al pagamento dell'importo di Euro 17.366,57>>, in quanto <<il Tribunale non chiarisce come mai una volta accolte le eccezioni di prescrizione e di inammissibilità sollevate dalla Banca, e quindi una volta esclusi il diritto al pagamento del residuo 1/5 del tfr maturato e del ricalcolo dei 4/5 già liquidati con il decreto ingiuntivo del 1996, il pagamento effettuato da quest'ultima il 5.11.2008, in adempimento del detto decreto, non sia corretto...>>; che per la cassazione della sentenza ricorre R.C. articolando un motivo contenente due censure, cui resiste con controricorso la Banca N. S.p.A.; che sono state comunicate memorie nell'interesse della controricorrente; che il P.G. non ha formulato richieste.
Motivi della decisione
che, con il ricorso, si denunzia: < <Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 2935, 2937 e 2948, quinto comma, c.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti>>, ed in particolare, si lamenta che i giudici di seconda istanza avrebbero errato nel dichiarare prescritta la pretesa azionata dal dipendente, in quanto non avrebbero considerato che il pagamento del quinto del TFR dovuto al medesimo, indipendentemente dagli esiti del sequestro conservativo, poteva essere richiesto solo a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di appello di rigetto della domanda di compensazione proposta dalla banca, la cui pendenza impediva la esigibilità del credito rappresentato dal quinto del TFR e quindi la decorrenza della prescrizione ai sensi degli artt. 2935 e 2948 c.c.; si assume, pertanto, che <<ai sensi dell'art. 2935, la prescrizione del diritto non era assolutamente maturata alla data di notifica (24 giugno 2009) del ricorso ex art. 414 c.p.c.>> e che <<la Banca appellata, con comportamenti processuali tenuti, ma anche con la lettera del 5 novembre 2008 e con la trasmissione del CUD nell'anno 2009, ha chiaramente tenuto comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione, anzi in realtà chiaramente dimostrativi della volontà di rinunciarvi ai sensi dell'art. 2937, ultimo comma, c.c.>>; si deduce, infine, che <<la richiesta di maggior quantificazione della quota capitale corrispondente ai 4/5 del TFR, rispetto all'importo indicato nel decreto ingiuntivo del 1996, ha trovato causa esclusivamente nel fatto che il Tribunale aveva mostrato di ritenere fondata l'eccezione di prescrizione del TFR. Di conseguenza, nell'ipotesi di intervenuta prescrizione del quinto del TFR, pare evidente che l'ammontare dei residui quattro quinti con relativi interessi e rivalutazione alla data del 5 novembre 2008 debba essere determinato prendendo come punto di partenza l'importo di detti 4/5 (dovuti e riconosciuti dalla Banca alla data di cessazione del rapporto di lavoro) con detrazione delle anticipazioni ed oneri fiscali relativi soltanto a detti 4/5 e non all'intero trattamento, al contrario di quanto stabilito dalle sentenze impugnate e in particolare da quella della Corte d'Appello>>; che il motivo non è meritevole di accoglimento relativamente alle censure formulate in riferimento al n. 3 del primo comma dell'art. 360 del codice di rito. Al riguardo, va premesso che, in violazione del disposto dell'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013), non sono stati prodotti la lettera del 5.11.2008 ed il CUD 2009, cui si fa espresso riferimento alle pagine 2 e 3 del ricorso per sostenere che la Banca N. avrebbe tenuto comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione; per la qual cosa, questo Collegio non è stato messo in grado di potere compiutamente apprezzare la veridicità della doglianza sul punto svolta dal ricorrente. Peraltro, quanto alla data di decorrenza della prescrizione, si rileva che il ricorrente non ha specificato se la censura relativa sia stata ritualmente proposta nei gradi di merito, dato che la Corte di Appello, circa la parte della sentenza di prima istanza che aveva accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte datoriale, ha osservato che <<il gravame si limita ad affermare che la Banca aveva proposto nei confronti del C. non solo la domanda risarcitoria, ma anche che fosse "dichiarata la compensazione del suo debito nei confronti dei convenuti rinvenienti dal cessato rapporto con il credito derivante dall'eventuale accoglimento della proposta domanda di risarcimento danni" e che tale richiesta era stata riproposta anche nell'atto di appello, dal che "indipendentemente dall'efficacia o meno del sequestro conservativo", il pagamento del quinto del TFR "poteva essere richiesto solo a far tempo dalla data del passaggio in giudicato (28/6/2007) della sentenza di appello di rigetto della domanda di compensazione">>. E da ciò, all'evidenza, si evince sia il mancato rispetto del canone di specificità del motivo di cui all'art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. - che esige che il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, primo comma, n. 3, del codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente incise ed altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009) -, sia la tardività della doglianza, che non risulta sollevata in precedenza; che, inoltre, quanto alla quota del TFR pretesa dal C., oggetto di sequestro conservativo da parte della Banca N., la Corte distrettuale, confermando sul punto la sentenza di primo grado, si è uniformata agli arresti giurisprudenziali di legittimità - del tutto condivisi da questo Collegio che non ravvisa ragioni per discostarsene - , secondo i quali, nell'ipotesi in cui ad una sentenza consegua la perdita di efficacia del provvedimento di sequestro, non è necessario il passaggio in giudicato della pronunzia, essendo sufficiente che essa sia provvisoriamente esecutiva, data l'abrogazione dell'art. 683 c.p.c.; quindi, il sequestro perde efficacia sin dalla decisione di merito che accerta l'insussistenza del diritto a tutela del quale era stato concesso (cfr. Cass., SS.UU., n. 12103 del 2012; Cass. n. 14765/2012); nella fattispecie, sul fatto che il sequestro conservativo era stato dichiarato inefficace con sentenza del Tribunale depositata il 9.4.2003 non vi è questione; come, del resto, non è controverso il fatto che il dipendente, in quel giudizio, non aveva chiesto la condanna della Banca al pagamento del TFR sequestrato. E, dunque, la prescrizione del diritto di cui si tratta inizia a decorrere dal 9.4.2003, data del deposito della sentenza che ha dichiarato l'inefficacia del sequestro; ne discende che, correttamente, il diritto preteso è stato dichiarato interamente prescritto, in quanto il primo atto di costituzione in mora risale al 20.10.2008 (l'art. 2945, secondo comma, c.c., secondo cui la prescrizione non decorre sino al momento di passaggio i giudicato della sentenza, si riferisce, infatti, alla sola ipotesi di un giudizio avente ad oggetto l'accertamento del diritto della cui prescrizione si tratta); che, infine, circa la richiesta rideterminazione dell'importo dovuto per i 4/5 del TFR già corrisposti, va condiviso l'iter argomentativo dei giudici di merito in ordine al fatto che il decreto ingiuntivo che ha condannato la parte datrice al pagamento del predetto importo ha acquistato efficacia di giudicato sostanziale in ordine all'an ed al quantum, avendo ritenuto la Corte di Appello che le censure sollevate dal C. non erano idonee a scalfire la decisione del Tribunale e non essendo in grado il motivo di ricorso, generico al riguardo, di incidere la pronunzia oggetto del presente giudizio; che, per le considerazioni innanzi svolte, la seconda parte del mezzo di impugnazione, sollevato in riferimento al n. 5 del primo comma dell'art. 360 del codice di rito - e che, comunque, censura, nella sostanza, vizi di motivazione -, risulta assorbito; che, pertanto, il ricorso va respinto; che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nei termini specificati in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori, come per legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.