La Cassazione ribadisce i consolidati indirizzi in tema di riduzione della donazione di immobili.
Le eredi convenivano dinanzi al Tribunale di Vicenza il loro fratello chiedendo che venisse accertato che l'atto di compravendita con cui quest'ultimo aveva acquistato dalla de cuius la nuda proprietà di due immobili costituiva una donazione indiretta, e pertanto lesiva della loro quota di legittima. ...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. All'esito dell' apertura della successione, ab intestato e priva di relictum, della signora E.B., deceduta vedova il 17.12.2005, le figlie A., E., N. e V. F. convennero davanti al Tribunale di Vicenza il loro fratello I. F. chiedendo accertarsi che l'atto del 30.9.1999 con cui quest'ultimo aveva acquistato dalla de cuius la nuda proprietà, pro quota, di due unità immobiliari in Lonigo costituiva una donazione indiretta, lesiva della loro quota di legittima; altresì chiedendo, conseguentemente, la determinazione della massa ereditaria con riunione fittizia dei beni ex artt. 556 e segg. c.c. e la divisione dell'eredità con assegnazioni di porzioni in natura, previa anche collazione beni mobili ed immobili ex artt. 737 e segg. c.c..
2. Con sentenza non definitiva n. 1358/2015, pronunciata anche nei confronti degli ulteriori figli della de cuius - sigg.ri F., R. e I. F.- il Tribunale di Vicenza, per ciò che in questa sede rileva, accertò che il suddetto atto di compravendita aveva natura di negotium mixtum cum donatione e ledeva la quota riservata ai coeredi legittimari, condannando I. F. a "reintegrare la legittima conferendo alla comunione € 78.029,27 con interessi legali e rivalutazione da/l'apertura della successione (17.12.2005) al saldo, con diritto di ciascun coerede legittimario all'attribuzione di 1/8 della così determinata quota di legittima" (pag. 3, § 3, della sentenza impugnata). Il Tribunale inoltre dichiarò non comodamente divisibili i beni immobili in comunione e ne dispose la divisione mediante vendita (salva eventuale richiesta di assegnazione), rimettendo la causa sul ruolo per il prosieguo.
3. La Corte di Appello di Venezia, investita da I. F. dell'impugnazione di detta sentenza non definitiva, l'ha integralmente confermata.
3.1. Quanto al motivo di appello con cui I. F. sosteneva che la domanda di reintegrazione della quota di legittima delle attrici, accolta dal Tribunale, non fosse mai stata proposta dalle stesse, la Corte di Appello ha argomentato che, sebbene le sorelle attrici non avessero espressamente chiesto nelle conclusioni della citazione di primo grado la reintegrazione della loro quota di legittima, ciononostante, a pag. 4 dell'atto di citazione le stesse avevano dichiarato di "esperire l'azione di riduzione delle disposizioni lesive relativamente alla finta vendita che nasconde una donazione" (pag. 4 della sentenza gravata). Sussisteva quindi, ha affermato la Corte d'Appello, una domanda di riduzione della legittima, la quale era stata inoltre correttamente accolta dal Tribunale, visto il risibile prezzo della compravendita rispetto al valore dei beni che ne costituivano oggetto e la consapevolezza di tale sproporzione in capo al figlio acquirente.
3.2. Quanto al motivo di appello con cui I. F. sosteneva l'illegittimità della sua condanna a riversare alla comunione ereditaria, per reintegrare la legittima, la somma di € 78.029,27, con diritto di ciascun coerede legittimario all'attribuzione di un ottavo, la Corte di Appello ha affermato la correttezza della statuizione censurata in ragione della non comoda divisibilità dei beni immobili in comunione ereditaria (cfr. § 9 della sentenza gravata: "una volta ammessa e accolta la domanda di riduzione per lesione di legittima e in presenza di immobili non comodamente divisibili, F. I. deve reintegrare le quote delle sorelle mediante il pagamento di € 78. 029,27, secondo i conteggi effettuati dal tribunale .... riportando a/l'apertura della successione il valore dei beni usciti con la parziale donazione indiretta dal patrimonio della de cuius".
4. Per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Venezia I. F. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi. A. F., E. F. e V. F. hanno depositato controricorso. Sono rimasti intimati N. F. (attrice, poi contumace in appello), F. F., M. F., I. F. (contumaci in primo grado e in appello).
5. La causa è stata chiamata all'adunanza camerale del 16 settembre 2021, per la quale sia il ricorrente che le contro ricorrenti hanno depositato memoria.
6. Col primo motivo di ricorso, riferito all'art. 360 co. 1 n. 4) c.p.c., si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. in cui la Corte di Appello sarebbe incorsa pronunciandosi su motivi di gravame diversi da quello effettivamente dedotti. In primo luogo, il ricorrente afferma che con il primo motivo di appello (di cui riporta stralci a pag. 8 e a pag. 10 del ricorso per cassazione) egli non aveva sostenuto che le attrici non avessero proposto, in primo grado, domanda di riduzione per violazione della quota di legittima, ma aveva sostenuto che le attrici non avevano chiesto che la reintegrazione della legittima fosse disposta mediante la condanna del convenuto a riversare alla comunione l'equivalente monetario di tali quote; conseguentemente chiedendo, con le conclusioni rassegnate in appello, di "disporsi la reintegra delle quote di legittima spettanti agli attori in primo grado assegnando loro una quota in natura dei beni ereditari" (pag. 10, righi 6-7 del ricorso). In secondo luogo, il ricorrente deduce che "la censura extra petitum era motivata anche dal fatto che solamente quattro dei sette eredi pretermessi avevano agito in riduzione e che quindi l'eventuale reintegra avrebbe dovuto essere effettuata solo a loro favore" (pag. 9, righi 4-6 contando dal fondo, del ricorso; argomento riproposto a pag. 12 ultimi 2 cpv.).
7. Col secondo motivo di ricorso, riferito all'art. 360 co. 1 n. 4) c.p.c., si lamenta la violazione del principio di intangibilità quantitativa e qualitativa della legittima, ex artt. 555-560 c.p.c.. Secondo il ricorrente la sua condanna a riversare alla massa ereditaria la cifra di€ 78.029,27 a titolo di reintegrazione della legittima sarebbe illegittima, poiché la riduzione avrebbe dovuto operarsi in natura, visto che il valore degli immobili oggetto di donazione eccedeva di ¼ la quota disponibile da reintegrare.
8. Col terzo motivo di ricorso, riferito all'art. 360 co. 1 n. 5) c.p.c., si lamenta il "vizio assoluto di motivazione" (pag. 17, rubrica del motivo). Dopo aver sostenuto che la Corte d'Appello avrebbe negato la reintegrazione in natura senza motivazione e, sempre senza motivazione, avrebbe disposto la reintegrazione della quota di legittima anche a favore dei fratelli contumaci, il ricorrente espone ciò che, a suo avviso avrebbe dovuto effettuare la Corte di Appello: ricomprendere tutti i beni donati nell'eredità; procedere alla vendita, attesa la difficile divisibilità; attribuire alle quattro sorelle attrici un ottavo ciascuna della quota dei due terzi dell'asse riservata ai legittimari e attribuire il restante al convenuto appellante (l'intera quota disponibile, di un terzo, nonché il valore delle quote di legittima rispettivamente spettanti a al medesimo convenuto ed a ciascuno degli altri tre fratelli, che non avevano proposto domanda di riduzione).
9. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di giudicato interno calato, ad avviso delle controricorrenti, sulla statuizione del primo giudice che ha disposto la reintegrazione della quota di legittima anche a favore dei fratelli che non avevano agito in giudizio, condannando I. F. a versare alla comunione una somma comprensiva della quota di legittima di tutti i coeredi. L'odierno ricorrente, infatti, aveva censurato la statuizione che lo aveva condannato a "versare alla comunione" la somma di € 78.029,27, comprensiva della quota di legittima di tutti i fratelli, chiedendo che la Corte territoriale, in riforma della sentenza di prime cure, disponesse "la reintegra delle quote di legittima spettante agli attori in primo grado" (non, quindi, la reintegra delle quote di legittima spettante ai coeredi che non avevano agito in giudizio; si veda la trascrizione delle conclusioni dell'appello a pag. 10 del ricorso per cassazione).
10. Va altresì disattesa l'eccezione delle controricorrenti secondo cui la censura con cui il secondo motivo del ricorso per cassazione lamenta la violazione degli articoli 555 -560 c.c. sarebbe inammissibile perché nuova, non avendo il ricorrente dedotto in sede di merito la violazione di tali disposizioni; al riguardo va infatti evidenziato che la doglianza in esame prospetta questioni di mero diritto, senza dedurre alcun fatto che già non risulti dall'impugnata sentenza.
11. Tanto premesso, il Collegio rileva che i tre motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente perché, in effetti, prospettano sotto tre profili diversi (ultra petizione, violazione di legge, mancanza assoluta di motivazione) una medesima censura. Il ricorrente infatti lamenta, in sostanza, che la Corte d'Appello - accertato che la vendita immobiliare effettuata dalla de cuius in favore del figlio I. costituiva negotium mixtum cum donatione, lesivo della quota di legittima degli altri figli, abbia disposto la reintegrazione delle quote di legittima dei riservatari: a) in denaro, invece che in natura, senza alcuna richiesta in tal senso da parte delle attrici/appellate; b) in favore (anche) di quei riservatari che non avevano esperito l'azione di riduzione, essendo rimasti contumaci nel giudizio introdotto dalle sorelle attrici.
12. Per la migliore intelligenza della doglianza è necessario evidenziare che la sentenza impugnata, confermando quella di primo grado, ha disposto: - per un verso, la condanna I. F. a reintegrare la quota di legittima dei fratelli (tutti, non solo le sorelle che avevano domandato in giudizio tale reintegrazione), versando alla comunione la somma di denaro di € 78.029,27, sul presupposto che i cespiti immobiliari da lui acquistati dalla madre con l'atto del 30.9.1999 fossero stati a lui trasferiti in base ad un negotium mixtum cum donatione; - per altro verso, lo scioglimento della comunione ereditaria tramite la vendita (anche) dei cespiti che formavano oggetto del suddetto atto del 30.9.1999, vale a dire proprio quei cespiti trasferiti dalla de cuius a I. F., il cui valore di stima alla data di apertura della successione era stato posto a fondamento della stima del valore complessivo dell'asse e, quindi, del valore della quota disponibile e, specularmente, della quota riservata ai legittimari. In tal modo la reintegrazione della legittima in denaro - conseguita mediante la ricezione, da parte di ciascuno dei fratelli F., di un ottavo della somma di € 78.029,27 che l'odierno ricorrente è stato condannato a pagare alla comunione ereditaria - finisce con il cumularsi, duplicandosi illegittimamente, con la reintegrazione della legittima in natura, che si realizza mediante la riunione all'asse dei cespiti immobiliari oggetto dell' impugnato contratto di compravendita del 30.9.1999 e la conseguente ricezione, da parte di ciascuno dei fratelli F., di un ottavo dell'importo ricavato dalla relativa vendita.
13. L'effetto finale del dictum della Corte distrettuale risulta pertanto in contrasto con i principi più volte espressi da questa Corte regolatrice, da ultimo ribaditi in Cass. 39368/21(§ 5.1.) nei seguenti termini: a) "nel caso di azione tendente alla riduzione di disposizioni testamentarie che si assumano lesive della legittima, il giudice deve anzi tutto accertare quale sia la quota di legittima spettante all'attore legittimario, e deve, a tal fine, riunire fittiziamente i beni e determinare l'asse ereditario, procedendo poi alla sua valutazione secondo i valori del tempo dell'apertura della successione e tenendo conto anche della qualità dei beni, se fruttiferi o meno."; b) "Accertata cosi la quota di legittima, nel procedere alla sua liquidazione, deve tenersi presente che il legittimario ha diritto di conseguirla in natura e solo eccezionalmente in denaro"; con la precisazione che "una delle differenze più significative tra la collazione e l'azione di riduzione consista proprio nel fatto che quest'ultima obbliga alla restituzione in natura dell'immobile donato, mentre l'altra ne consente l'imputazione di valore"; c) La stessa natura della pronuncia che accolga l'azione di riduzione, determinando l'inefficacia per il legittimario della disposizione lesiva, determina "ove la disposizione abbia ad oggetto determinati beni, l'instaurarsi di una comunione tra beneficiario della disposizione lesiva e legittimario, nella quale la quota di compartecipazione del secondo è determinata in misura corrispondente al valore proporzionale della lesione da recuperare sul bene in rapporto al valore del bene stesso"; d) la disciplina della comunione di cui al precedente punto e) si rinviene nell'art. 560 c.c. che prevede che "preferibilmente la quota di legittima debba essere reintegrata mediante la separazione della parte del bene necessaria per soddisfare il legittimario, aggiungendo però che, laddove la separazione in natura non sia possibile, ed il bene quindi sia non comodamente divisibile, lo scioglimento della comunione avverrà sulla base di criteri preferenziali (per l'ipotesi di concorso di richieste di attribuzione del bene) specificamente individuati dal secondo comma ed in deroga a quelli di carattere generale posti dall'art. 720 c.c.; e) ove la reintegra in denaro non sia frutto di una concorde volontà delle parti, né scaturisca dallo scioglimento della comunione secondo le modalità specificamente dettate dall'art. 560 c.c., "l'inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, quale effetto dell'accoglimento dell'azione di riduzione, determina il subentro del legittimario nella comunione ereditaria (ove la disposizione testamentaria lesiva non abbia ad oggetto singoli beni) oppure nella comunione dei singoli beni oggetto di attribuzioni specifiche (a titolo di legato ovvero di institutio ex re certa o di apporzionamento nell'ambito della divisione del testatore), e quindi la reintegra in natura. f) Il rilievo che la regola della tendenziale reintegrazione in natura della quota di legittima venga generalmente enunciata a tutela del diritto del legittimario "non toglie che la osservanza della regola possa essere pretesa anche dal soggetto che subisce la riduzione, che non può essere costretto, contro la sua volontà, a liquidare in denaro la lesione che il legittimario ha diritto di recuperare in natura" (così anche Cass. n. 16515/20).
14. Ne può condividersi l'assunto delle controricorrenti secondo cui la regola della tendenziale reintegrazione in natura della quota di legittima non opererebbe nella fattispecie oggetto del presente giudizio, in cui la riduzione riguarderebbe una donazione indiretta. I precedenti di questa Corte in cui si è affermato che alla riduzione della donazione indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura (Cass. nn. 11496/10, 15026/13) riguardano, infatti, l'ipotesi dell'acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare. In tali ipotesi (nelle quali la compravendita costituisce lo strumento formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del destinatario) l'azione di riduzione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l'acquisizione riguarda il loro controvalore, mediante il metodo dell'imputazione. Nella fattispecie in esame, per contro, l'azione di riduzione mette in discussione proprio la titolarità dei cespiti trasferiti ad I. F. con un contratto qualificato quale negotium mixtum con donatione.
15. D'altra parte - una volta accertata la non comoda divisibilità dell'immobile in comunione ereditaria, e la conseguente necessità di venderlo per pervenire allo scioglimento di tale comunione - la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare cosa impedisse di procedere alla reintegrazione in natura della quota di legittima delle (sole) attrici attribuendo alle stesse (e non anche ai fratelli che non avevano agito per la reintegrazione della loro quota di legittima) la quota determinata in misura corrispondente al valore proporzionale della lesione da recuperare sul bene in rapporto al valore del bene stesso (ancora Cass. 39368/21, § 5.1., pag. 18, ove si formula il seguente esempio: "ove, per ipotesi, la disposizione testamentaria debba essere ridotta al fine di assicurare al legittimario il recupero di una lesione pari a 1O ed il bene oggetto della disposizione valga 30, sul bene stesso verrà ad determinarsi una comunione che vede il legittimar/o titolare della quota di un terzo ed il beneficiario della residua quota dei due terzi").
16. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in altra composizione, che si atterrà ai suddetti principi e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia, in altra composizione, anche per le spese del presente giudizio.