In primo grado il Giudice di pace aveva ritenuto che la compagnia di assicurazione, con un versamento effettuato nelle more, avesse saldato il dovuto e che, conseguentemente,...
Svolgimento del processo
1. La società S.R.A. C. s.r.l. (d'ora innanzi, per brevità, "la SRA") nel 2017 convenne dinanzi al Giudice di pace di Roma le società G. Italia S.p.a. e M.B.C. s.r.l., esponendo che: -) il 26 ottobre 2015 il veicolo Fiat Ducato di proprietà di C.E. venne urtato a tergo e danneggiato dal veicolo Smart di proprietà della società M.B.C. s.r.l.; -) il danneggiato C.E. aveva ceduto il proprio credito risarcitorio alla SRA; -).la società G. Italia "ometteva delitto di risarcire i danni materiali". Concluse pertanto chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento dell'obbligazione risarcitoria ceduta dal danneggiato alla società attrice.
1.1. Nel giudizio intervenne volontariamente la società U. S.p.a.. Il ricorso non precisa né quale fosse il veicolo assicurato dalla società convenuta, né quale fosse il veicolo assicurato dalla società intervenuta, limitandosi a riferire di avere "denunciato il sinistro ad entrambe le compagnie assicurative coinvolte".
1.2. Con sentenza 3 maggio 2017 n. 12801 il Giudice di pace di Roma rigettò la domanda e condannò l'attrice alla rifusione delle spese, ritenendo che l'indennizzo già pagato dalla società G. Italia, pari ad euro 3.400, dovesse ritenersi satisfattivo, e che di conseguenza l'obbligazione risarcitoria era estinta per effetto di esatto adempimento. La sentenza venne appellata dalla soccombente.
1.3. Con sentenza 24 gennaio 2020 n. 1628 il Tribunale di Roma accolse in parte il gravame, condannando la società G. Italia al pagamento in favore della SRA dell'ulteriore somma di euro 211, oltre le spese del doppio grado di giudizio.
1.4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla SRA, con ricorso fondato su tre motivi. Tutte le controparti sono rimaste intimate.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Nella illustrazione del motivo sostiene di avere richiesto, già nel giudizio di primo grado, che fosse disposta una consulenza tecnica d'ufficio al fine di stimare il danno materiale; che il Giudice di pace non si era pronunciato su tale richiesta; che quest'ultima era stata reiterata in sede di appello; che anche il giudice d'appello l'aveva rigettata immotivatamente.
1.1. Il motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato. In primo luogo è inammissibile perché lo stabilire se sia utile o necessario disporre o rinnovare una consulenza tecnica d'ufficio è questione riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito, e non sindacabile in sede di legittimità, come ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, ex. multis, Sez. 6 - L, Ordinanza n. 2103 del 24/01/2019, Rv. 652615 - 01).
1.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perché la consulenza tecnica non può essere invocata per sopperire al mancato assolvimento dell'onere della prova, salvo il caso in cui quest'ultima non possa essere fornita con gli ordinari mezzi istruttori. Ma ovviamente la dimostrazione dell'entità dei danni materiali causati da un sinistro stradale ad un automezzo non può dirsi "impossibile" a darsi con gli ordinari mezzi di prova.
1.2. In terzo luogo il motivo è infondato nella parte in cui assume che il Tribunale non abbia provveduto, né motivato, sulla istanza di c.t.u.. La decisione di non disporre una nuova indagine peritale può infatti essere anche implicita, quando il giudice ritenga che gli elementi già raccolti siano sufficienti per decidere la causa (così già Sez. 1, Sentenza n. 25569 del 17/12/2010, Rv. 615850 - 01): il che è quanto avvenuto nel caso di specie. Il Tribunale, infatti, non ha - al contrario di quanto mostra di ritenere la ricorrente - rigettato la domanda perché non provata; ha invece ritenuto che l'entità del danno fosse provata nella minor misura di euro 2.950,82: e dunque correttamente, a fronte di tale acquisita certezza (ovviamente incensurabile in sede di legittimità) ha ritenuto implicitamente superflua una consulenza tecnica d'ufficio.
2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 1226 e 2697 c.c. Il motivo investe la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che il danno andasse liquidato in misura inferiore a quella risultante dalla fattura emessa dalla stessa società appellante, cui il danneggiato si era riv0lto per la riparazione del mezzo.
2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto investe la valutazione della prova e la liquidazione equitativa del danno, l'una e l'altra riservati al giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità.
3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 36 della Costituzione, 2233 c.c., 10 e 91 c.p.c., 4 e 5 D.M. 55/14. Il motivo, in buona sostanza, lamenta che il Tribunale avrebbe sottostimato l'importo delle spese legali dovute alla società vittoriosa, commettendo in particolare l'errore di determinare in modo erroneo il valore della causa.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato. Quando, nel corso del giudizio, la pretesa attorea venga parzialmente soddisfatta, con conseguente riduzione del valore della causa, ai fini della regolazione delle spese le regole da applicare sono due: a) il valore della causa va determinato sempre in base al decisum, e non in base al petitum, come stabilito dall'articolo 5, comma primo, terzo periodo, d.m. 10 marzo 2014, n. 55; b) il valore della causa andrà determinato al lordo del pagamento trattenuto in acconto per tutti gli atti compiuti anteriormente a quest'ultimo, e al netto del pagamento in acconto per tutti gli atti compiuti successivamente ad esso (come già stabilito da questa Corte: Sez. 3, Sentenza n. 25553 del 30/11/2011, Rv. 620440 - 01). Il Tribunale di Roma di questi principi ha fatto corretta applicazione.
3.2. Il Tribunale ha infatti stimato il credito complessivo vantato dalla società attrice in euro 3.468. Questo dunque fu il decisum, e di conseguenza questo era il valore in base al quale determinare le spese giudiziali dovute per tutti gli atti compiuti anteriormente al pagamento, e cioè lo studio della causa e la redazione dell'atto introduttivo. Dopo il pagamento in acconto il valore della causa si ridusse a 211 euro, e questo dunque era il valore in base al quale determinare le spese giudiziali dovute per gli atti compiuti successivamente al pagamento.
3.3. Per una causa di valore pari ad euro 3.468, il d.m. 55/14 prevede per la fase di studio un compenso minimo di euro 113, e per la fase introduttiva un compenso minimo di euro 120, e così complessivamente euro 233. Per una causa di valore pari ad euro 211 (e cioè il valore residuo del giudizio, dopo il pagamento dell'importo trattenuto in acconto dall'attrice) il d.m. 55/14 prevede per la fase decisionale un compenso minimo di euro 68. Non rileva nel presente giudizio la fase istruttoria, in quanto il Tribunale ha ritenuto quella fase mancante (pagina 6, ultimo capoverso, della sentenza impugnata), con statuizione non impugnata nella presente sede, e sulla quale si è dunque formato il giudicato interno. In conclusione, il compenso minimo previsto dal d.m. 55/14 era pari nel caso di specie ad euro 233 per le attività svolte prima del pagamento trattenuto in acconto, ed euro 68 per le attività svolte dopo il pagamento suddetto, e così complessivamente euro 301 per il primo grado di giudizio. Avendo il Tribunale liquidato a titolo di rifusione delle spese del primo grado di giudizio la somma di euro 300, la sentenza impugnata è sostanzialmente corretta, anche alla luce del principio già stabilito da questa Corte secondo cui deve ritenersi destituita di interesse, ex art. 100 c.p.c., l'iniziativa giudiziaria intesa a recuperare una somma "di entità economica oggettivamente minima" (così Sez. 3, Sentenza n. 4228 del 03/03/2015, Rv. 634704 - 01, con riferimento ad un credito di dodici euro).
3.4. Una volta accertato che il giudice di merito ha liquidato a titolo di spese giudiziali somme non inferiori ai minimi tabellare previsti dalla legge, resta insindacabile in questa sede il giudizio con cui quel giudice ritenne di accordare alla parte vittoriosa spese calcolate in base ai valori minimi, piuttosto che a quelli medi o massimi, trattandosi di valutazione discrezionale riservata al giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità.
3.5. Corretta fu, altresì, la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato in euro 450 le spese di lite dovute per il grado di appello Ed infatti il valore della causa in appello era di euro 211, ed è mancata la fase istruttoria: il compenso minimo dovuto tabellarmente era dunque pari ad euro 440, sicché anche in questo caso il Tribunale ha compiuto una liquidazione non inferiore al minimo di legge.
3.6. Inammissibile, infine, è la censura con cui il ricorrente lamenta l'erronea liquidazione de.Ile spese sostenute a titolo di contributo unificato per il primo grado di giudizio. Il ricorrente, infatti, in violazione dell'onere di contenuto forma richiesto a pena di inammissibilità dall'articolo 366, n. 6, c.p.c., non indica in alcun punto del ricorso donde risulti il pagamento del contributo unificato per il primo grado di giudizio, a quale fascicolo sia allegato il relativo documento e con quale indicizzazione.
4. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
la Corte di cassazione: (-) rigetta iI ricorso; (-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.