Reato per lesioni o morte come conseguenza di altro delitto se l'evento nefasto, tenuto conto dell'elevata tossicità della droga fornita e dello stato di salute del compratore, era prevedibile ed evitabile.
Un tossicodipendente moriva per overdose dopo aver fatto uso massiccio di eroina, stupefacente che gli era stato probabilmente passato dalla finestra di casa, nella quale era sottoposto ad arresti domiciliari, da uno spacciatore. Dagli accertamenti chimico-tossicologici era merso che nel sangue della vittima vi erano elevate tracce di morfina, segno che l'eroina era stata...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza pronunciata, in esito a giudizio abbreviato, con cui il Gup del Tribunale di Ferrara, riqualificato il fatto di cui al capo 1) della rubrica ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, ha assolto P.M. dal reato di cui al capo 2) perché il fatto non costituisce reato.
2. Il P. era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90, per avere ceduto a R.I. una dose di sostanza stupefacente di tipo eroina (capo 1) e del delitto di cui all'art. 586 cod. proc. (capo 2) pen. per avere, a seguito dell'anzidetta cessione, cagionato il decesso dello stesso, dovuto a edema polmonare acuto produttivo di insufficienza respiratoria acuta ed irreversibile, conseguente ad assunzione di eroina (in Ferrara, il 15/06/2013).
3. Il R. veniva rinvenuto privo di vita, con segni peri genitali da iniezione, presso la sua abitazione, condivisa con altri familiari, ove si trovava in regime di arresti domiciliari. I familiari affermavano che il congiunto non si era allontanato da casa, essendo rimasto chiuso nella sua camera da letto ove venivano rinvenuti una siringa usata, una fiala, una spagnoletta srotolata a cui era attaccata una molletta e un cellophane contenente eroina. A detta del fratello D., la persona deceduta aveva probabilmente ricevuto la droga dalla finestra, trattandosi di modalità già in precedenza utilizzata. Dal cellulare dell'uomo, posto sotto sequestro, risultava che l'ultima chiamata era stata effettuata nei confronti di un certo "P.", poi identificato nell'odierno imputato. R. D. lo indicava come assuntore di stupefacenti, precisando di averlo visto nei pressi della abitazione familiare il 15 giugno, intorno alle 16:30. Agli operanti e, successivamente, in sede di interrogatorio, il P. confermava l'anzidetta ricostruzione del fatto, affermando, in particolare, che dello stupefacente da lui acquistato a Bologna aveva assunto una parte.
3.1. Dagli accertamenti chimico tossicologici emergeva che, nel sangue del R., vi erano tracce di morfina nella misura di 683,2 ng/ml e di morfina nella bile pari a 23,8 mcg/ml; l'eroina, il cui principio attivo era pari al 16,5%, risultava tagliata con acetilcodeina e monoacetilmorfina (prodotti di sintesi secondari e com'ponenti della comune eroina da strada).
4. Avverso la sentenza di appello ricorre il difensore delle parti civili costituite che articola cinque motivi.
4.1. I primi due motivi afferiscono all'avvenuta riqualificazione del fatto nell'ipotesi attenuata di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90 sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale e sotto il profilo della carenza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Si evidenzia che non è mai emerso l'effettivo quantitativo di sostanza stupefacente ceduto dal P. il quale ha agito per mere finalità di lucro, consapevole dello stato di astinenza del R., ristretto agli arresti domiciliari e da poco uscito da un istituto penitenziario. Quanto al vizio motivazionale, la Corte di appello si è illogicamente limitata a riconoscere la fattispecie di lieve entità esclusivamente sulla scorta del ritenuto modesto quantitativo di sostanza stupefacente e di un asserito rapporto di amicizia. Nulla esclude poi che anche l'eroina assunta dal R. nei giorni antecedenti il decesso sia stata a lui ceduta dall'imputato. L'ipotesi lieve non doveva, quindi configurarsi, atteso il carattere non episodico della condotta, di talché, sotto questo aspetto, la motivazione è contraddittoria con la premessa pure da essa posta circa la necessità di un accertamento globale della condotta ai fini della valutazione della sua gravità.
4.2. I motivi terzo e quarto concernono il reato di cui all'art. 586 cod. pen. (dal quale il R. è stato assolto già in primo grado), anch'essi formulati con riguardo al duplice profilo dell'inosserva1nza o erronea applicazione della legge penale e della carenza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. In specie, si contesta l'assunto della Corte territoriale per il quale "non vi sono elementi tali da far ritenere sussistente una responsabilità a titolo di colpa in concreto in capo all'imputato al quale non può rimproverarsi di non avere valutato situazioni che potessero indicare rischi connessi all'assunzione della sostanza", atteso che il R., per quanto più sopra ricordato, presentava caratteristiche esteriori di fragilità (l'astinenza, in particolare), tali da rendere prevedibile il rischio della morte dell'assuntore per overdose, considerato, altresì, il grado di purezza dell'eroina ceduta. Erra, pertanto, il Giudice di appello nell'escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 586 cod. pen. Sul punto, vi è assoluta incongruenza tra la premessa della decisione impugnata, esclusivamente incentrata sulla massima di diritto della sentenza n. 22676/2009 delle Sezioni Unite, e la conclusione cui essa è pervenuta.
4.3. Con il quinto motivo si deduce l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento del risarcimento del danno in favore delle parti civili, disponendo altresì una provvisionale.
5. In data 30/10/2021, sono pervenute memoria e conclusioni dell'avv. D.L., difensore d'ufficio dell'imputato.
Motivi della decisione
1. I ricorsi delle parti civili sono fondati.
2. Il quadro fattuale, quale si è in narrativa sintetizzato alla luce della ricostruzione operata dai Giudici di merito, è pacifico: R.I., in regime di arresti domiciliari dopo essere stato scarcerato qualche giorno prima, assume la dose letale di stupefacente dopo avere già in precedenza assunto altra sostanza stupefacente, come risultato dalla presenza di plurimi segni di iniezioni recenti e dalla presenza di morfina nel sangue e nella bile. Gli accertamenti ematochimici effettuati sulla persona del R. hanno poi attestato un'assai elevata concentrazione di morfina nel suo sangue, ritenuta compatibile con il decesso per overdose.
2. Con la proposta impugnazione, i ricorrenti pongono in sostanza due temi: quello della configurabilità, nel caso di specie, della ritenuta (già da Giudice di primo grado) fattispecie di cui a-comma 5 dell'art. 73 d.P.R. 309/90 e quello della sussistenza in capo all'imputato della colpa "in concreto" con riguardo al reato di cui all'art. 586 cod. pen. da cui questi era stato assolto dal Gup del Tribunale di Ferrara.
3. Quanto al primo profilo, giova, in premessa, ribadire il principio per il quale, in tema di attività illecite concernenti gli stupefacenti, l'evento morte dell'acquirente, in conseguenza dell'assunzione della droga ceduta, non costituisce, di per sé, elemento ostativo all'applicazione della fattispecie della lieve entità del fatto di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (Sez. 6, n. 10022 del 25/02/2010, Cordua e altro, Rv. 246488). Invero, nel concetto di "globalità" dell'accertamento, ai fini del riconoscimento della fattispecie di lieve entità, non può paradigmaticamente ricomprendersi il verificarsi di tale evento, conseguito ad assunzione di sostanza stupefacente, ed addebitabile all'agente a titolo di colpa, consistita nella violazione della legge sugli stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dell'evento letale (Sez. 6, n. 6339 del 11/03/1994, P.M. in proc. M., Rv. 197848, ove si specifica che la nozione di "mezzi, modalità e circostanze dell'azione" va altresì ricollegata - conformemente ai decisa della Corte costituzionale di cui alle sentenze n. 333/1991 e n. 133/1992 - all'ambito proprio delle attività illecite concernenti gli stupefacenti), restando, pertanto, al di fuori delle condizioni previste dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, un evento non voluto dall'agente ed esterno al regime della repressione penale in materia ed, oltre tutto, autonomamente addebitato applicando le disposizioni di cui agli artt. 586 e 589 cod. pen.
3.1. Ciò detto, deve altresì ricordarsi che, ai fini del riconoscimento dell'anzidetta fattispecie attenuata, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha stabilito il principio a mente del quale il giudice del merito deve fornire una adeguata valutazione complessiva del fatto (in particolare, mezzi, modalità e circostanze dell'azione, qualità e quantità della sostanza, con riferimento alla percentuale di purezza della stessa), calibrando il giudizio sui fatti rigorosamente accertati, fedele alla ricostruzione fattuale nella sua interezza e fondato su una razionale analisi relativa alla combinazione di tutte le specifiche circostanze (Sez. 6, n. 38606 del 08/02/2018, S. e altro Rv. 273823; Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017,, dep. 15/01/2018, F. Rv. 271959), solo in tal modo essendo possibile formulare un giudizio di lieve entità. Nel caso in disamina, il Giudice di appello, sbrigativamente richiamandosi sul punto alla decisione del Giudice di primo grado, non ha effettuato alcuna valutazione complessiva del fatto; limitandosi ad affermare, pur in assenza di qualsiasi indicazione al riguardo, che «il quantitativo ceduto era davvero minimo» e che la cessione era stata «motivata da ragioni di amicizia», affermazione disancorata da qualsiasi riscontro e considerazione. Parimenti apodittico si rivela, poi, l'assunto per il quale, essendo anche il P. assuntore di sostanze stupefacenti, sarebbe stato «sensibile alle accorate richieste dell'amico».
4. Quanto al secondo motivo di doglianza, concernente l'esclusione del reato di cui all'art. 586 cod. pen., va premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo delineato i parametri a cui ancorare la valutazione sulla relativa responsabilità. Nel rispetto del principio di colpevolezza, escluso che la disposizione configuri una ipotesi di responsabilità oggettiva, si è affermato che «In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale» (Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, R., Rv. 243381; Sez. 3, n. 41462 del 02/10/2012, D.W., Rv. 253606). Anche nel caso di morte o lesioni conseguenti all'assunzione di sostanze stupefacenti, dunque, la responsabilità per questi ulteriori eventi a carico di colui che le abbia illecitamente cedute potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l'evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, dall'altro, che l'evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all'agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi. Il principio di colpevolezza, così come ha ribadito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 322 del 2007, postula, invero, un coefficiente di partecipazione psichica del soggetto al fatto ed implica, quindi, che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente ed a lui rimproverabili, siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa. La Corte costituzionale ha chiarito che, nell'ambito delle diverse forme di colpevolezza, il legislatore ben può «graduare» «il coefficiente psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati: pretendendo dall'agente un particolare "impegno" nell'evitare la lesione dei valori esposti a rischio da determinate attività». Ciò significa che, qualora si tratti della tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, il legislatore non solo può prevedere che sia sufficiente la sola colpa, invece del dolo, ma può anche richiedere un grado di attenzione ed un obbligo di conoscenza maggiori di quelli normalmente richiesti. Nell'ipotesi in esame, ricorre una di queste situazioni, sia per la rilevanza costituzionale dei beni (vita ed incolumità fisica) tutelati, sia perché la natura astrattamente e genericamente pericolosa dell'attività è legislativamente segnalata dall'art. 81 del d.P.R. 309/1990, il quale prevede la possibilità che l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope possa cagionare la morte o lesioni personali dell'assuntore e che in tal caso possano essere configurabili i reati di cui agli artt. 586, 589 o 590 cod. pen. per chi abbia determinato o agevolato tale uso. Il legislatore ha voluto che l'agente sia tenuto a prendere in considerazione tutte le eventuali circostanze del caso concreto e a desistere dall'azione (ossia dalla cessione dello stupefacente) sia quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore, e sia anche quando rimanga in concreto un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità della stessa. Lo spacciatore potrà, pertanto, ritenersi esente da colpa quando una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto non faccia prevedere l'evento morte o lesioni. La colpa potrà, invece, essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perché una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata, sempre per colpa. In sintesi, la colpa non potrà essere ravvisata nella prevedibilità in astratto dell'evento morte, desunta dalla presunta frequenza, o dalla notorietà, o dalla ordinarietà di tale evento in seguito alla assunzione di sostanza stupefacente, o in un pericolo che sarebbe presuntivamente insito in qualsiasi cessione della sostanza, ovvero nella natura di talune sostanze più pericolose di altre. La colpa andrà accertata sempre e soltanto in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che dimostravano il concreto pericolo di un evento letale a seguito dell'assunzione di una determinata dose di droga da parte dello specifico soggetto. Ciò premesso, ritiene questa Corte che il Giudice di appello non abbia fatto, nel caso di specie, buon governo degli anzidetti principi, avendo del tutto trascurato di valutare la sussistenza del coefficiente di concreta prevedibilità (e, dunque, di evitabilità), in capo all'imputato, del rischio connesso all'assunzione di stupefacente - peraltro, con così elevato principio attivo - da parte di un soggetto della cui recente scarcerazione e relativa disintossicazione forzata egli non poteva non essere a conoscenza. Il conseguente stato di fragilità in cui si trovava il R. fondava in concreto, la prevedibilità, da parte dell'imputato, del rischio di morte per overdose dell'assuntore della sostanza, tenuto altresì conto delle precedenti assunzioni di sostanza stupefacente di cui si è detto in narrativa.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello.