Irrilevante l'effettiva destinazione dell'immobile, ciò che conta è la zona in cui lo stesso è ubicato.
Due coniugi adiscono la Corte Suprema impugnando la pronuncia sul merito che li condanna ad arretrare il loro immobile, uno stabile ad uso abitativo in una zona rurale omogenea, a 7 metri dal confine con il fondo adiacente. Secondo i ricorrenti la decisione andrebbe censurata in quanto il regolamento comunale posto a base della decisione non prevederebbe...
Svolgimento del processo
1. I sigg. S e TM, in qualità di eredi del sig. NM, e la sig.ra AP, in proprio e quale erede del sig. NM, hanno proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria che ha respinto l'appello di NM e AP avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, in accoglimento della domanda del sig. NC, li aveva condannati ad arretrare una loro costruzione sino alla distanza minima di 7,00 mt. dal confine con il fondo del sig. C ed a pagare a quest'ultimo la somma di otto milioni di lire, equitativamente liquidata a titolo di risarcimento danni.
2. La Corte d'appello ha disatteso l'assunto degli appellanti MP secondo cui l'immobile da loro edificato non sarebbe stato soggetto al rispetto di alcuna distanza minima dal confine, insistendo esso nella zona omogenea E, per la quale le N .. del Piano Regolatore Generale del Comune di X non prevedevano distacchi delle costruzioni dai confini.
3. La Corte distrettuale, premesso che il CTU aveva accertato che l'immobile MP era situato nella zona omogenea E, sviluppava le seguenti argomentazioni.
3.1. A norma dell'articolo 22 delle suddette N, nella suddetta zona omogenea E potevano essere edificati solo "fabbricati rurali" (destinazione specifica per tale zona) o "abitazioni rurali" (destinazione consentita per tale zona) o, ancora, altre strutture, menzionate nel suddetto articolo 22, "consentite in deroga" («industrie estrattive e cave, attrezzature sportive, turistiche o ricreative pubbliche e private, impianti tecnologici o servizi di interesse pubblico che richiedano una localizzazioni isolate»).
3.2. Il fabbricato MP era una civile abitazione e, pertanto, la sua edificazione non era consentita nella zona omogenea E.
3.3. Il fatto che l'articolo 22 N non dettasse specifiche disposizioni per eventuali edificazioni non consentite non indicava «una piena libertà in tal caso de edificare senza dover rispettare né gli indici edilizi vincolistici specifici della zona né quelli del tipo di insediamento da attuarsi (anche aliunde individuabili)» (pag. 8, capoverso, della sentenza impugnata).
3.4. Ogni opera edificata nella zona E, infatti, doveva infatti risultare «compatibile con gli specifici indici edilizi propri della sua fisionomia strutturale e destinazione funzionale» (pag. 7, penultimo capoverso, della sentenza impugnata).
4. La Corte di appello, quindi, concludeva che l'opera edilizia realizzata dagli appellanti «doveva comunque risultare conforme agli indici specificamente previsti per essa qualora fosse stata correttamente allocata in zona Bo C ... tra cui era ed è espressamente dettato quello denominato con la sigla "DC", ossia "distanza dai confini", e fissato per l'intervento urbanisticamente rilevante de quo nella misura di metri 7» (pag. 9, terzultimo capoverso, della sentenza impugnata).
5. Infine, la Corte assumeva che l'intervenuta presentazione di una istanza di condono non valeva, in mancanza di definizione della procedura di condono, ad escludere l'illegittimità urbanistica del fabbricato degli appellanti.
6. Al ricorso per cassazione dei sigg.ri MP il sig. C, ha replicato con controricorso.
7. La causa è stata discussa una prima volta nell'adunanza camerale del 16 dicembre 2020 e - rinviata per la discussione in pubblica udienza con l'ordinanza interlocutoria n. 18552/2020 - è stata decisa all'esito della pubblica udienza del 25 novembre 2021, per la quale non sono state depositate memorie e il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta concludendo per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
8. Con il primo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 873 c.c. e dell'art. 22 delle N del P.R.G. del Comune X. I ricorrenti, premesso che detto articolo 22 non prescrive alcuna distanza minima dei fabbricati dal confine, sostengono che l'unica disciplina delle distanze applicabile nella fattispecie sarebbe quella delle distanze tra costruzioni prevista dall'art. 873 c.c.
9. Con il secondo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 872e 873 c.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto abusivo il loro fabbricato, sull'assunto della mancata definizione della procedura di condono edilizio, ancorché a pag. 4 della loro comparsa conclusionale nel giudizio di appello essi avessero testualmente dedotto che: <<la sentenza omette di rilevare che il fabbricato degli appellanti aveva ottenuto la sanatoria per il mutamento della destinazione d'uso»; nel mezzo di impugnazione si argomenta, inoltre, come la rilevanza giuridica della concessione edilizia si esaurisca nell'ambito del rapporto pubblicistico tra P.A. e privati, dovendosi distinguere, quanto agli effetti delle violazioni edilizie, il piano pubblicistico e quello privatistico.
10. Il primo motivo di ricorso pone, in sintesi, la questione se un fabbricato destinato a civile abitazione abusivamente realizzato in una zona omogenea nella quale possono essere legittimamente realizzati solo fabbricati agricoli (o assimilati), e per la quale non è prevista alcuna distanza minima delle costruzioni dal confini - sia soggetto, come ritenuto dalla corte territoriale in base alla disposizione di cui all'art. 22 N ., alla disciplina delle distanze delle costruzioni dai confini prevista per le zone omogenee dove possono essere realizzati fabbricati destinati a civile abitazione; o se, al contrario, la disciplina delle distanze delle costruzioni dai confini debba ritenersi legata alla zona in cui insiste la costruzione e non alla destinazione della medesima.
11. Ritiene il Collegio che la disciplina delle distanze delle costruzioni dai confini applicabile ai fabbricati situati in una determinata zona omogena vada individuata nella disciplina dettata dagli strumenti urbanistici per i fabbricati insistenti in tale zona, a prescindere dalla destinazione di tali fabbricati e dalla eventuale difformità della stessa rispetto alle destinazioni consentite dagli strumenti urbanistici per i fabbricati da realizzare in tale zona.
12. La tesi della Corte territoriale secondo cui la disciplina delle distanze dai confini applicabile ad un fabbricato andrebbe individuata in ragione della sua destinazione e non in ragione della sua ubicazione (cosicché ai fabbricati destinati a civile abitazione realizzati in una zona omogena dove tali fabbricati non sono consentiti si dovrebbe applicare la disciplina delle distanze dai confini dettata per le zone in cui tali fabbricati sono consentiti) contrasta con l'insegnamento di questa Corte secondo cui «ciascun proprietario di un suolo edificatorio nel momento in cui realizza su di esso una costruzione trova i propri diritti ed i propri doveri conformati nelle normativa applicabile alla zona in cui si sviluppa la propria attività costruttiva» (così Cass.17339/03, che da tale principio trae la conseguenza che «nel caso in cui le proprietà dei due confinanti si trovino [come nella specie] ai limiti di differenti zone territoriali omogenee [art. 2 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444], è chiaro che nessuno dei due potrà pretendere dall'altro il rispetto delle norme previste per la zona omogenea in cui sorge la propria costruzione o si trovi ubicato il proprio suolo poiché ciò farebbe ricadere la costruzione del vicino sotto un regime che non è quello proprio, creando una possibile, ed ingiustificata, disparità di trattamento con le altre costruzione ricadenti nella zona in cui essa sorge»).
13. La disciplina delle distanze di un fabbricato dal confine è dunque legata alla zona dove il fabbricato insiste, non alla destinazione del medesimo. L'eventuale difformità della destinazione del fabbricato rispetto alle destinazioni consentite dallo strumento urbanistico nella zona in cui il fabbricato medesimo insiste non incide, quindi, sulla disciplina delle distanze dai confini, giacché, come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 120 del 1996 (paragrafo 4), «la rilevanza giuridica della licenza e della concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privati; gli effetti delle violazioni edilizie si muovono su due piani distinti di rapporti giuridici: uno, pubblicistico, tra costruttore ed organi pubblici preposti alla vigilanza del territorio ed alla repressione degli illeciti, l'altro, privatistico, tra lo stesso costruttore o proprietario dell'opera ed i titolari di diritti soggettivi che possono rimanere lesi dall'attività edificatoria del primo».
14. Non può, infine, condividersi l'argomento dell'impugnata sentenza, cui si è fatto cenno nel precedente paragrafo 4, secondo cui il fabbricato degli odierni ricorrenti sarebbe soggetto al rispetto della distanza minima dal confine di mt. 7 perché tale distanza costituirebbe un indice edilizio il cui rispetto sarebbe imposto dall'ultimo comma dell'articolo 22 N.T.A..
14.1. Osserva al riguardo il Collegio che l'articolo 22 delle N del Comune di X - dopo aver indicato le destinazioni specifiche e le destinazioni consentite nella zona omogenea E (alle quali sopra si è fatto cenno nel precedente paragrafo 3.1.) - prevede, negli ultimi due commi: «L'edificazione nella zona omogenea E è assoggettata ai seguenti indici: Iff = mc/mq 0.03 per la residenza h = max mt 8.00 salvo costruzioni speciali quali silos, serbatoi, attrezzature tecnologiche; P = in area privata mq 5/100 mc di residenza.» «Altri indici edilizi e ogni ulteriore eventuale dotazione di spazi pubblici per insediamenti non agricoli ammessi nella zona omogenea E, sono disciplinati secondo il tipo di insediamenti stessi, dalle norme contenute negli articoli che li riguardano» Tali due commi disciplinano compiutamente gli indici edilizi applicabili alle costruzioni legittimamente realizzabili nella zona omogenea E, si tratti di «fabbricati rurali» o «di abitazioni rurali» o, ancora, di «industrie estrattive e cave, attrezzature sportive, turistiche o ricreative pubbliche e private, impianti tecnologici o servizi di interesse pubblico che richiedano una localizzazione isolate». Il primo di tali due commi detta specificamente l'indice di fabbricabilità fondiaria (Iff), l'altezza (h) e l'indice che esprime il rapporto tra metri quadri da destinare a parcheggio e metri cubi edificabili (P); il secondo rimanda, per gli altri indici edilizi (oltre che per quanto riguarda «ogni ulteriore eventuale dotazione di spazi pubblici») degli insediamenti non agricoli ammessi nella zona omogenea, alle norme contenute negli articoli che riguardano tali insediamenti.
14.2. I commi penultimo e ultimo dell'articolo 22 N, in sostanza, fissano gli indici prescritti per i fabbricati legittimamente realizzabili nella zona omogenea E, non gli indici prescritti per i fabbricati che non si possono realizzare in quella zona. Ciò è fatto palese, in primo luogo, dal rilievo esegetico che il sintagma «insediamenti non agricoli» contenuto nell'ultimo comma dell'articolo 22 N ., è seguito dall'aggettivo "ammessi"; aggettivo che l'esegesi operata dalla Corte d'appello oblitera con una non consentita interpretatio abrogans.
14.3. Ma, oltre al dato strettamente esegetico, non può non rilevarsi che l'argomentazione dell'impugnata sentenza - segnatamente là dove la Corte territoriale afferma di ritenere che «il fatto che dette opere non dovrebbero essere poste in essere in alcune specifiche zone del territorio non valga ad esimerle, sei ivi allocate, dal rispetto di quegli indici edilizi vincolistici che sono previsti per le zone in cui invece la loro realizzazione sia pienamente o in via di deroga ammessa o consentita» (pag. 9, righi 2 e segg. della sentenza) - finisce con l'assegnare al disposto dell'articolo 22 N il significato radicalmente contraddittorio - e, pertanto, palesemente illogico - di prescrivere caratteristiche di edificabilità (gli indici edilizi) di opere di cui esso stesso vieta l'edificazione.
14.4. La debolezza logica dell'argomentazione sviluppata nella sentenza impugnata emerge poi in piena evidenza ove si consideri che nelle N non è rinvenibile alcuna disposizione che disciplini univocamente la distanza dai confini delle civili abitazioni. La Corte territoriale fa riferimento alle zone omogenee B e C; ma, nella zona B ("aree di completamento, aree in cui sono permesse operazioni di trasformazione conservativa, area in cui sono consentite operazioni di ristrutturazione") sono consentiti interventi di «trasformazione conservativa», «completamento edilizio» e «ristrutturazione» senza alcuno specifico riferimento alla destinazione a civile abitazione dell'immobile risultante dall'intervento e, peraltro, la distanza dai confini prescritta in tale zona omogenea è diversa a seconda che si tratti di trasformazione conservativa (7 m) o di completamento edilizio (6 m); nella zona C ("zona di espansione residenziale, zona turistico residenziale, zona destinata ad accogliere interventi di edilizia economica e popolare"), dove è prescritta la distanza dal confine di 7 m, non vi è, del pari, alcuno specifico divieto di realizzazione di immobili con destinazioni diverse dalla civile abitazione. L'assunto della Corte territoriale secondo cui l'edificazione in zona E di un immobile destinato a civile abitazione sarebbe soggetta al rispetto di una distanza dal confine di 7 m risulta dunque, in definitiva, destituito di fondamento normativo. 15. il primo motivo del ricorso va pertanto accolto, con assorbimento del secondo, e l'impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria che si atterrà al seguente principio di diritto: "la disciplina del distacco delle costruzioni dal confine va individuata in quella fissata dalla disciplina regolamentare locale per la zona omogenea in cui sorge la costruzione".
16. Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.