La Cassazione ribadisce i criteri da accertare affinchè un accordo possa essere qualificato alla stregua di un patto sulla futura successione.
L'attore proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, ottenuto nei suoi confronti dalla controparte, per il pagamento di una somma di denaro sulla base di due promesse di pagamento. A sostegno della sua tesi, l'opponente sosteneva che non si trattava di promesse di pagamento, bensì dell'assunzione di obbligazioni contenute in un patto sulla futura...
Svolgimento del processo
1.-L.R. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti da M.E., per il pagamento della somma di 232.405,00 € sulla base di due promesse di pagamento: la prima del 2001, la seconda del 2002. Il R., nella sua opposizione, ha sostenuto la tesi che non si trattava di promesse di pagamento, bensì dell'assunzione di obbligazioni contenute all'interno di una più ampia pattuizione costituente un patto sulla successione futura, come tale da ritenersi nullo.
2.-Sia il Tribunale di Trento in primo grado, che la Corte d'appello, hanno rigettato l'opposizione confermando il decreto ingiuntivo.
3.-il R. ricorre con due motivi, mentre non si è costituita l'intimata a cui il ricorso risulta regolarmente notificato.
Motivi della decisione
4.-Il primo motivo denuncia violazione dell'articolo 458 codice civile, in relazione altresì agli articoli 1362 e 1371 del codice civile: la tesi del ricorrente è che la scrittura privata contenente la prima delle due promesse di pagamento è stata erroneamente qualificata dalla Corte d'appello, che ha errato nel rigettare la tesi secondo cui si sarebbe trattato di un patto successorio vietato dall'articolo 458 del codice civile e pertanto nullo. La ragione di tale qualificazione stava nel fatto che al punto 9 di tale scrittura il R. si obbligava a pagare, dopo la successione, agli eredi E.M. ed E.E. una certa somma di danaro, e che tale promessa andava interpretata prevalentemente alla luce del senso letterale delle parole, quale principale criterio tra quelli indicati dal codice civile nella interpretazione del contratto. Fa notare altresì il ricorrente che la qualificazione offerta dal giudice di secondo grado, in termini di contratto a favore di terzo, non poteva essere sostenuta in quanto il terzo era in realtà parte formale dell'accordo, e dunque era da considerarsi parte tout court.
6.-Il motivo è infondato. Vero è che il ricorrente denuncia non già l'erronea ricostruzione della volontà delle parti, che di per sé costituisce giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, ma denuncia erronea qualificazione di quella volontà: dunque un giudizio di sussunzione censurabile in Cassazione. E tuttavia, la censura si dimostra infondata in quanto correttamente la Corte d'appello ha escluso che l'accordo in cui era contenuta la promessa di pagamento potesse ritenersi come un patto vietato su una successione futura. Va ricordato infatti che, per potersi parlare di patto sulla futura successione, quest'ultima deve rilevare quale causa, ossia quale ragione dell'attribuzione patrimoniale (Cass. 18198/ 2020), e non quale criterio temporale di efficacia della dichiarazione di volontà, ed oltre a ciò, per poter qualificare un accordo alla stregua di un patto successorio occorre "accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello "jus poenitendi"; 4) se l'acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo "mortis causa", ossia a titolo di eredità o di legato." (Cass. 14110/ 2020). Ed è evidente che nel caso presente, innanzitutto, le obbligazioni assunte non hanno la loro causa nella morte di uno dei due soggetti, bensì mirano a regolare rapporti patrimoniali in vita, ed è del tutto irrilevante che una di queste obbligazioni debba essere eseguita in favore degli eredi di una delle parti stipulanti: la ragione delle attribuzioni patrimoniali, in altri termini, non è la morte (futura) di una delle parti, ma è nello scopo di regolare una situazione patrimoniale in essere, i cui effetti vengono differiti al momento della morte di uno dei soggetti interessati a vantaggio dei suoi eredi; ed è altrettanto evidente che nessuna delle parti si è spogliata del proprio diritto di testare successivamente a quest'atto, né che il R. ha partecipato alla stipulazione in qualità di erede o di avente di diritto all'eredità. Che poi quell'accordo non costituisca un contratto a favore di terzo poco rileva, poiché sempre di atto inter vivos si tratta, al di là della circostanza che ne benefici o meno un terzo: va peraltro comunque osservato che ben può il terzo aderire alla stipulazione in suo favore prendendo direttamente parte al negozio che mira a beneficiarlo, ossia con dichiarazione contestuale alla attribuzione che lo avvantaggia.
7.-Il secondo motivo denuncia violazione dell'articolo 1988 del codice civile e contesta alla Corte di Appello di avere erroneamente ritenuto valida la seconda promessa di pagamento in quanto avente fonte nella prima, ed in quanto avente ad oggetto un aggiornamento delle condizioni previste nella prima. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, pur preso atto della regola per cui la promessa di pagamento non è efficace se è provata l'inesistenza o la nullità del rapporto sottostante, ha comunque ritenuto valida quella promessa in quanto basata sul precedente accordo, ma senza tener conto del fatto che quest'ultimo doveva dirsi nullo proprio perché, come rilevato al motivo precedente, costituiva un patto sulle successioni future vietato dalla legge.
8.-Il motivo è infondato. La sua infondatezza deriva infatti da quella del motivo precedente: una volta ritenuto che il primo accordo è valido, in quanto non costituisce violazione del divieto dei patti successori, viene meno la ragione di ritenere nullo il secondo, ossia la seconda promessa di pagamento, che altro non è se non una modifica del contenuto della prima, o meglio dell'obbligazione in questa contenuta. Il ricorso va dunque rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.