Svolgimento del processo
1. Secondo quanto riferito nel ricorso, nel 2006 A.A. conferì a J.N. l'incarico di "riattivazione della procedura di denazionalizzazione" della proprietà di un suo immobile sito a Lubiana, secondo la legislazione introdotta dalla Slovenia che prevedeva la restituzione agli aventi diritto dei beni espropriati alla fine del secondo conflitto mondiale, ovvero, per i beni andati persi, l'erogazione di indennità risarcitorie stabilite dalla legge. L'incarico prevedeva che J.N. avrebbe curato l'intera procedura, e si sarebbe fatta carico delle spese legali. Dopo questi fatti A.A. venne a mancare.
2. Nel 2013 gli eredi di A.A. (M.E. e R.E.) convennero dinanzi al Tribunale di Gorizia J.N., assumendo che, quando ricevettero dall'Autorità slovena l'indennizzo loro dovuto, l'avvocato incaricato di seguire la procedura aveva prelevato da esso, e trattenuto, l'importo dovutogli a titolo di spese legali. Dedussero che J.N., col contratto di cui sopra, a fronte del compenso ricevuto aveva garantito che si sarebbe accollata anche le spese legali della procedura, e chiesero la condanna della convenuta alla restituzione del relativo importo, pari a circa 20.000 euro.
3. J.N. si costituì sollevando varie eccezioni di merito e, in comparsa conclusionale, contestò che gli attori fossero eredi di A.A.. Nel corso del giudizio J.N. morì, e la sua domanda venne coltivata dall'erede P.C..
4. Con sentenza 27.6.2017 n. 240 il Tribunale di Gorizia accolse la domanda. La sentenza venne appellata dalla soccombente.
5. Con sentenza 29.7.2019 n. 555 la Corte d'appello di Trieste rigettò il gravame. La Corte d'appello ritenne che: -) l'eccezione di "difetto di legittimazione attiva" (rectius, difetto di titolarità attiva del credito in capo agli attori) non è rilevabile d'ufficio, e doveva essere sollevata a pena di decadenza venti giorni prima dell'udienza di prima comparizione, ex art. 167 c.p.c.; -) gli attori, invertendo nel corso del giudizio l'ordine delle domande da essi formulate (il risarcimento del danno in via principale, la restituzione dell'indebito in via subordinata) non fossero incorsi in alcuna inammissibile mutatio libelli; -) P.C., quale erede di J. N., doveva rispondere dei debiti di quest'ultima, ivi compreso quello scaturente dalla violazione dell'obbligo, contrattualmente assunto, di farsi carico delle spese della procedura di denazionalizzazione.
6. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.C. con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memona. Resistono M. e R.E..
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo la ricorrente deduce che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto tardiva l'eccezione di "difetto di legittimazione" da lei sollevata. Sostiene che: -) la costituzione in giudizio avvenne tempestivamente; -) l'eccezione di "difetto di legittimazione" venne formulata nella comparsa di costituzione e risposta; -) in ogni caso la titolarità del diritto in capo agli attori doveva essere accertata d'ufficio.
2. La censura con cui la ricorrente sostiene di avere tempestivamente sollevato l'eccezione di difetto di titolarità attiva del credito in capo agli attori è inammissibile per due ragioni: -) sia perché la ricorrente non trascrive o riassume il contenuto della propria comparsa di risposta, in violazione dell'onere prescritto a pena di inammissibilità d 'articolo 366, n. 6, c.p.c., così come costantemente interpretato da questa Corte; -) sia perché la suddetta censura è irrilevante, in quanto estranea alla ratio decidendi: la Corte d'appello infatti ha ritenuto tardiva la suddetta eccezione non già perché contenuta in una comparsa di costituzione tardivamente depositata, ma perché formulata per la prima volta solo nella comparsa conclusionale.
2.1. Quanto alla seconda censura, la ricorrente è nel vero quando sostiene che la titolarità attiva del credito va provata dall'attore, e che l'eccezione di difetto di titolarità attiva del diritto è rilevabile d'ufficio (Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016, Rv. 638371 - 01). Tuttavia è anche vero che la suddetta sentenza (§§ 55 e 56 dei "Motivi della decisione") ha chiarito che l'onere di allegazione e prova, da parte dell'attore, della titolarità del credito fato valere in giudizio si considera assolto (e quindi il convenuto non può più eccepire il difetto di titolarità attiva dell'obbligazione) in due casi: a) quando il convenuto svolge difese incompatibili con la contestazione della titolarità del credito; b) quando il convenuto non contesta (art. 115 c.p.c.) la titolarità del credito, salva però in quest'ultimo caso la facoltà del giudice di ritenerla comunque insussistente sulla base di altre e diverse prove.
2.2. L'applicazione dei suddetti principi al presente giudizio rende manifesta l'infondatezza del ricorso. Rileva infatti questa corte dall'esame degli atti - consentito dalla natura del vizio denunciato - che J.N., allorché si costituì in primo grado, lo fece con una comparsa di cinque pagine (datata 16.12.2013), suddivisa in una introduzione contenente una breve ricostruzione dei fatti, ed in cinque paragrafi. Nei paragrafi dal secondo al quinto la suddetta comparsa affronta questioni diverse dalla titolarità del credito in capo agli attori: ivi dedusse, infatti, di non essere lei la debitrice (§ 2); che non sussistevano i presupposti di cui all'art. 2033 c.c. per accogliere la domanda di indebito (§ 3); di non essere incorsa in alcun inadempimento contrattuale (§ 4); che la somma pretesa dagli attori era eccessiva (§ 5). Nel primo paragrafo (intitolato "In rito, nulla, inammissibile, illegittima e/ o invalida è l'azione avversa per carenza delle sue condizioni essenziali”) la dante causa dell'odierna ricorrente svolse le seguenti difese: "in via preliminare corre l'obbligo di evidenziare come, nel caso de quo, difettino entrambe le condizioni dell'azione esercitata. Non sussistono infatti né la legittimazione attiva né l'interesse ad agire in capo agli atton: con conseguente nullità, inammissibilità, illegittimità e/ o invalidità della domanda avanzata in ordine alla quale parte convenuta dichiara sin d'ora di non voler accettare il contraddittorio ': Ebbene, non può ammettersi che col passo sopra trascritto J.N. abbia validamente sollevato un'eccezione di "difetto di titolarità attiva dell'obbligazione" in capo agli attori: né quanto alla forma, né quanto al contenuto. Sul piano formale, quello sopra trascritto è un mero formulario bonne à tout faire, e neanche dei più precisi, posto che - ad esempio - non è in facoltà del convenuto "rifiutare il contraddittorio" rispetto alla domanda attorea. Sul piano contenutistico, quel che più rileva, questa Corte ha già ripetutamente affermato che qualsiasi eccezione, per ritenersi validamente sollevata, esige che ne sia esposto il fatto costitutivo; che le mere clausole di stile (del tipo, ad esempio, "si impugna e contesta”: cfr. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 29993 del 13/12/2017, Rv. 646981 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7775 del 03/04/2014, Rv. 629905 - 01) non hanno alcun reale valore processuale; che le eccezioni generiche si hanno per non sollevate (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26908 del 26/11/2020, Rv. 659902 - 01; Sez. 2 -, Ordinanza n. 22701 del 28/09/2017, Rv. 645436 - 01), con la conseguenza che il fatto genericamente contestato deve reputarsi non contestato, per i fini di cui all'art. 115 c.p.c., con la sola eccezione dei fatti noti alla sola parte che li allega (ad es., in tema di conseguenze del danno aquiliano).
2.3. Dire, pertanto, che "non sussiste la legittimazione attiva in capo agli attori", senza nulla aggiungere, è difesa irrilevante ed improduttiva di effetti. Da un lato, infatti, la "legittimazione attiva", intesa tale espressione nel suo senso giuridicamente corretto, dipende dalla prospettazione attorea, e nel caso di specie gli attori avevano per l'appunto prospettato di essere eredi della creditrice. Dall'altro lato, anche a volere ammettere che J.N. abbia usato l'espressione suddetta - come è prassi largamente diffusa nel gergo forense - quale sinonimo di "difetto di titolarità del credito", resterebbe il fatto che la mancanza in capo all'attore della qualità di creditore può teoricamente dipendere da infinite cause: ad esempio non avere mai acquistato il credito, averlo ceduto, averlo incassato, averlo rimesso, averlo perso per prescrizione o confusione.
2.4. In conclusione, J.N. nel costituirsi svolse una contestazione generica; la contestazione generica si ha per non compiuta; i fatti non contestati si dànno per ammessi ex art. 115 c.p.c.. Il fatto che gli attori fossero gli eredi di A.A., pertanto, non fu validamente contestato: e non risultando aliunde che essi non lo fossero, legittimamente tale circostanza si sarebbe dovuta ritenere vera, ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Il dispositivo della sentenza impugnata è dunque conforme a diritto, ancorché la motivazione di essa debba essere corretta nei sensi che precedono, ex art. 384, ultimo comma, c.p.c., in applicazione del seguente principio di diritto: "il convenuto, a fronte di una allegazione da parte dell'attore chiara e articolata in punto di fatto, ha l'onere ex art. 167 c.p.c. di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità, e se non lo fa i fatti dedotti dall'attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all'articolo 115 c.p.c.. E', pertanto, generica e come tale priva di effetti la contestazione con cui il convenuto eccepisca tout court 'l'inammissibilità della domanda per mancanza di legittimazione attiva' in capo all'attore, senza alcuna ulteriore precisazione".
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
(-) rigetta il ricorso; (-) condanna P.C. alla rifusione in favore di M.E. e R.E., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 3.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; (-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.