La pena viene diminuita solo se l'imputato si presenta presso un istituto carcerario o, alternativamente, si consegna ad un'autorità che ha l'obbligo di condurlo in carcere.
L'imputato veniva condannato per il reato di evasione, nello specifico per essersi allontanato dal luogo presso il quale era agli arresti domiciliari.
Ricorre così in Cassazione l'avvocato di parte, censurando la pronuncia poiché il Giudice non avrebbe preso in considerazione l'attenuante ex...
Svolgimento del processo
1. R.S. ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Trieste, in data 17 febbraio 2021, ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Udine il 21 luglio 2017 per il reato di evasione.
2. Nel ricorso proposto a mezzo del difensore di fiducia, avv. F.C., viene articolato un unico motivo, di seguito sintetizzato nei limiti di cui all' art. 173 disp. att. cod. proc. pen. La difesa lamenta la violazione dell'art. 385, comma quarto, cod. pen. ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per avere la Corte ritenuto insussistenti presupposti applicativi dell'attenuante prevista dalla detta disposizione, pur essendo l'imputato rientrato spontaneamente presso l'abitazione ove era ristretto agli arresti domiciliari, da cui si era allontanato solo mezz'ora prima. La. Corte avrebbe errato nel ritenere che, ai fini dell'integrazione dell'attenuante detta, sia necessario che la persona - ancorché sottoposta alla misura degli arresti domiciliari - si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un'autorità di polizia che abbia l'obbligo di tradurla in carcere, senza considerare che, ove la cautela sia rafforzata - come nel caso che occupa - dal dispositivo di controllo del braccialetto elettronico, l'autorità è informata in tempo reale del rientro dell'evaso nel luogo di esecuzione. In tale ipotesi l'attivazione del dispositivo di allarme - che nel caso al vaglio è avvenuta alle ore 14.22, allorché S. fuoriusciva dal perimetro domiciliare, e, alle ore 14.55, in occasione del successivo rientro, peraltro de visu riscontrato dalla polizia giudiziaria in un accesso eseguito poco dopo, ha permesso all'autorità preposta alla vigilanza di avere conoscenza del rientro e ha conferito ufficialità alla costituzione spontanea.
3. Il procedimento e stato trattato nell'odierna udienza in carnera di consiglio.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. È principio consolidato che la speciale attenuante soggettiva di cui al comma quarto dell'art. 385 cod. pen. trovi applicazione anche con riferimento all'evasione dal luogo degli arresti domiciliari. In tal senso si sono espresse da tempo risalente le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 11343 del 12/11/1993 R., Rv. 195240), sul fondamentale rilievo che una disparità di trattamento in danno di soggetti per definizione meno pericolosi, quali gli arrestati al domicilio, sarebbe ingiustificata e renderebbe la norma non immune da dubbi di legittimità costituzionale. Tale linea esegetica, prevalsa a fronte di un pregresso contrasto di orientamenti di legittimità, ha ricevuto l'avallo della Corte costituzionale (sent. n. 87 del 1994). Da parte del soggetto sottoposto a misura autocustiodiale la diminuente è integrata non per il solo fatto che l'interessato rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione degli arresti, essendo piuttosto necessario che si presenti presso un istituto carcerario o, alternativamente, si consegni ad un'autorità che abbia l'obbligo di tradurlo in carcere (Sez. U, n. 11343 del 1993 R., cit., Sez. 6, n. 1560 del 27/10/2020, (dep. 2021), M., Rv. 280479; Sez. 6, n. 28112 del 05/07/2012, P., Rv. 253123; Sez. 6, 22 maggio 2008, n.25602, G.; Sez. 6, 18/02/2004, n. 19645, G.). Secondo la linea interpretativa tracciata dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la ratio della parificazione della presentazione spontanea ad un'autorità alla costituzione presso un istituto carcerario risiede nel fatto che, anche nella prima ipotesi, è individuabile una condotta di ravvedimento post delictum che, al tempo stesso, alleggerisce la pubblica autorità dall'obbligo di ricerca dell'evaso. È stato così affermato che, in rapporto alla funzione riconosciuta all'attenuante, risulta indifferente che l'evaso si costituisca in uno stabilimento carcerario o ad una autorità che abbia l'obbligo di farlo ivi tradurre. (Sez. 6, n. 42751 del 24/09/2014, R., Rv. 260433; Sez. 6, n. 28112 del 05/07/2012, dep. 13/07/2012, cit.).
2. Non appare di contro rilevante che, nella specie, fosse stato applicato il dispositivo di controllo del c.d. braccialetto elettronico. La difesa insiste in una lettura che rinviene la ratio dell'attenuante nella esigenza che sia certificato ed abbia crisma di ufficialità il ripristino della misura violata. A ragionare in tal modo la diminuente andrebbe concessa sempre, ogni volta che in soggetto in vinculis rientri di iniziativa, anche se nella sua condotta non sia individuabile quella componente di ravvedimento attuoso, che costituisce la ragion d'essere della ipotesi attenuata. La lettura difensiva non ha riscontro nel dato testuale, il quale connette l'applicazione dell'attenuante espressamente al "carcere"; e, del resto, le modalità di ripristino che danno diritto ad una valutazione meno severa del disvalore della condotta sono pensate nella prospettiva di scongiurare che dal luogo di detenzione agli arresti domiciliari si possa entrare e uscire a piacimento sol perché ne abbia contezza la autorità preposta alla vigilanza. Detto altrimenti, sarebbe irragionevole ritenere che si possa beneficiare di un trattamento più benevolo per il solo fatto, del tutto prescindente dalla volontà del soggetto, che i movimenti dello stesso siano monitorati per via telematica. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.