Qui tutto ha avuto inizio con un...
Svolgimento del processo
In data 16-8-2019 L.P., a sostegno di un'azione di danni, ha chiesto al tribunale di Rieti di accertare che il cognato R.C. aveva illecitamente utilizzato, allegandoli a un esposto finalizzato alla revoca del porto d'armi, alcuni documenti contenenti dati sensibili a esso riferiti. Tali documenti lo stesso P. aveva anteriormente allegato a una perizia di parte in un giudizio civile di danni promosso sempre contro C., per condotte asseritamente diffamatorie, come base di un giudizio medico per "disagio esistenziale molto marcato, ad andamento cronico", con "riduzione dell'autostima e grave compromissione delle relazioni con il mondo esterno", quale discendente dalla diffamazione subita. Il convenuto, costituendosi, si è difeso affermando che alla lite giudiziaria il cognato aveva fatto seguire esplicite minacce nei propri confronti, determinative di forte preoccupazione essendo P. detentore di porto di fucile da caccia e di numerose armi da fuoco; donde a base dell'esposto vi era stato il timore di subire gravi danni alla vita o all'incolumità. Il tribunale ha respinto la domanda, in sintesi affermando che C. era venuto legittimamente in possesso della documentazione medica del P., essendo stato parte di quel medesimo giudizio nel quale detta documentazione era stata depositata, e che tale documentazione aveva sostenuto un giudizio medico di "diminuzione della capacità di controllo cognitivo e temporaneo disadattamento delle funzioni dell'io", quale base di possibili "reazioni difensivo-aggressive esagerate e scarsamente controllate". Il tribunale ha ritenuto che l'uso fatto dal C. della documentazione suddetta, con allegazione all'esposto all'autorità di polizia, fosse da considerare lecito, siccome funzionale alla necessità di salvaguardare un interesse vitale proprio e della propria famiglia, secondo le istituzionali forme predisposte a tale scopo, a prescindere dal consenso dell'interessato. Per la cassazione della sentenza P. ha proposto ricorso in tre motivi. L'intimato ha resistito con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
I. - Col primo mezzo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 6, 11, 24, 25 e 26 del cod. privacy, 4, 5, 6 e 9 del Regolamento 2016/679-UE (cd. GDPR), giacché, onde ritenere lecito l'utilizzo dei dati personali, la asserita necessità di salvaguardia di interessi vitali non escludeva la possibilità del C. di chiedere il consenso all'interessato. Col secondo mezzo deduce l'omesso esame di fatto decisivo a proposito della circostanza, sottoposta al tribunale con note scritte per l'udienza del 20-5-2020, relativa all'accertata idoneità psicofisica di esso ricorrente per il rilascio del porto d'armi. Col terzo denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del cod. privacy, 1 del GDPR, 3, 14, 15, 27, 29 e 41 cost., poiché il diritto alla protezione dei dati personali è strumentale alla tutela dell'autodeterminazione dell'individuo e della libera formazione della sua identità personale, sicché l'interessato non perde il controllo dei propri dati neppure quando codesti siano fuoriusciti dalla sua sfera giuridica. Ne desume che C. non avrebbe potuto intromettersi nella vita privata altrui trattando a suo piacimento informazioni personali e riservate, anche se legittimamente acquisite nel corso di un giudizio.
II. - Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati unitariamente per connessione, è in parte inammissibile e in parte comunque infondato.
III. - Il ricorrente assume che il Regolamento cd. GDPR farebbe da sostegno alla tesi opposta a quella ritenuta dal tribunale, poiché il trattamento dei dati non sarebbe comunque potuto avvenire senza consenso, stante la prevalenza da accordare alla tutela dell'autodeterminazione del titolare del dato sensibile. Questa tesi è errata nella sua assolutezza e sottende una revisione del giudizio di fatto, notoriamente inammissibile in cassazione. Già il Considerando 46 del citato testo legittima l'assunto del tribunale di Rieti, poiché vi si dice espressamente che "il trattamento di dati personali dovrebbe essere altresì considerato lecito quando è necessario per proteggere un interesse essenziale per la vita dell'interessato o di un'altra persona fisica". Vi si aggiunge che "il trattamento di dati personali fondato sull'interesse vitale di un'altra persona fisica dovrebbe avere luogo in principio unicamente quando il trattamento non può essere manifestamente fondato su un'altra base giuridica" (come per esempio il consenso), e che "alcuni tipi di trattamento dei dati personali possono rispondere sia a rilevanti motivi di interesse pubblico sia agli interessi vitali dell'interessato". A tale illustrazione fa da riscontro l'art. 6 del Regolamento, che compone il precetto in termini sostanzialmente analoghi.
IV. - Nella concreta fattispecie era addebitato al C. di aver divulgato illecitamente, e in questo modo "trattato", i dati sanitari del ricorrente, dei quali egli era venuto in legittimo possesso perché prodotti in un giudizio civile di cui era stato parte. La nozione di "trattamento" è da sempre volutamente ampia in questa materia. Vi corrisponde "qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la I comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione" (art. 4 del Regolamento). Cosicché la comunicazione dei dati all'autorità di polizia, da parte del medesimo C. che ne era in possesso, effettivamente è declinabile come "trattamento".
V. - Sennonché l'illiceità della comunicazione (e quindi per l'appunto del trattamento) è stata motivatamente esclusa dal tribunale in relazione alla necessità di C. di tutelare, mediante un esposto alla pubblica autorità, gli interessi vitali propri e della propria famiglia, in considerazione delle minacce ricevute e della rilevata instabilità della condizione sanitaria dell'autore come deducibile dalla documentazione medica dallo stesso esibita nell'anteriore giudizio. In ciò è da ravvisare una valutazione di merito, congruamente motivata e non sindacabile in questa sede poiché presidiata dall'accertamento della indispensabilità del trattamento come effettuato. Questa Corte ha recentemente stabilito, sebbene in ordine al testo del codice della privacy anteriore al GDPR, che in tema di tutela della riservatezza ogni trattamento dei dati personali deve essere effettuato nel rispetto del cd. "criterio di minimizzazione"; vale a dire limitatamente ai dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle relative finalità (v. Cass. n. 11020-21). Il principio, da mantenere anche in relazione al testo del Regolamento UE sopra citato, con cui è chiaramente sintonico, e non smentisce, ma anzi conforta, il criterio di giudizio seguito dal giudice a quo.
VI. - Ne può rilevare il distinto criterio comparativo sostenuto dalla difesa di P. nel terzo motivo di ricorso (al quale peraltro sembrerebbe funzionale anche il secondo motivo in nome dell'omesso esame di fatti asseritamente decisivi). Il Considerando 47 del GDPR, prendendo in considerazione legittimi interessi del titolare del trattamento, precisa che tali legittimi interessi, "compresi quelli di un titolare del trattamento a cui i dati personali possono essere comunicati, o di terzi", costituiscono base giuridica del trattamento "a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell'interessato, tenuto conto delle ragionevoli aspettative nutrite dall'interessato in base alla sua relazione con il titolare del trattamento". A tale Considerando si lega, in funzione precettiva, l'art. 6 del Regolamento, che stabilisce la liceità - appunto - del trattamento "se necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell'interessato che richiedono la protezione dei dati personali". Ebbene è risolutivo che, oltre al già visto giudizio di indispensabilità, anche quello di prevalenza, o di sub valenza, costituisce oggetto di una valutazione di merito. La quale valutazione ancora una volta il tribunale di Rieti ha svolto e motivato correttamente, sulla base degli elementi conoscitivi e di fatto a sua disposizione." Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.