L'articolo 384 del Codice penale prevede esclusivamente la non punibilità dei reati commessi contro l'Amministrazione della giustizia al fine di non ledere l'onore e la libertà propria o di un prossimo congiunto, mentre il timore di eventuali ritorsioni è coperto dallo stato di necessità.
All'esito del rito abbreviato, il Tribunale assolveva l'imputata dalla falsa testimonianza, per aver reso, e poi ritrattato, una deposizione in qualità di persona offesa nel processo promosso nei confronti del coniuge per il delitto di maltrattamenti in famiglia.
Avverso tale decisione adisce la Corte Suprema il P.M.,...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Urbino, all'esito del giudizio abbreviato di primo grado, ha assolto S.D. dal reato di falsa testimonianza, posto in essere in Urbino in data 13 settembre 2018 nel corso della deposizione resa quale persona offesa nel giudizio dibattimentale intentato nei confronti del coniuge per il delitto di maltrattamenti in famiglia, per aver ritrattato quanto dichiarato in sede di querela.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Urbino ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo con unico motivo l'erronea applicazione dell'art. 384 cod. pen., in quanto il Giudice per le indagini preliminari avrebbe applicato la causa di non punibilità prevista da tale disposizione anche alla necessità di tutelare l'incolumità personale. Secondo il Pubblico Ministero ricorrente, tuttavia, questa esimente, come ribadito di recente anche dalla sentenza della Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione n. 7006 dell'8 gennaio 2021, non sarebbe applicabile alla necessità di tutelare l'incolumità personale bensì, come prevede la formulazione letterale dell'art. 384 cod. pen. solo alla costrizione derivante «dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore».
3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell'art.23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, conv. dalla legge n. 176 del 2020. Con requisitoria e conclusioni scritte del 22 febbraio 2022 il Procuratore generale ha chiesto l'accoglimento del ricorso e, dunque, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Con note e conclusioni del 25 febbraio 2022 il difensore dell'imputata ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere accolto in quanto è fondato.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Urbino deduce che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Urbino, assolvendo la D. dall'imputazione di falsa testimonianza in applicazione dell'art. 384 cod. pen., in ragione del timore di ritorsioni violente da parte del marito, avrebbe posto in essere una erronea applicazione della legge penale. Rileva, infatti, il ricorrente che, a prescindere dall'effettiva sussistenza della paura dell'imputata per la reazione violenta del marito, che, peraltro, non sarebbe evincibile da alcun atto processuale (e che, dunque, costituirebbe frutto di una supposizione del giudice), la causa di non punibilità di cui all'art. 384 cod. pen. non sarebbe applicabile alla necessità di tutelare la propria incolumità personale, bensì, come prevedere la formulazione letterale della disposizione, solo alla costrizione derivante «dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore».
3. Occorre rilevare, in via preliminare, che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Urbino ha assolto la D. in applicazione dell'art. 384 cod. pen., rilevando che l'imputata, che non conosce la lingua italiana né il significato, non tanto giuridico quanto pratico, di una misura cautelare quale gli arresti domiciliari, a distanza di pochi giorni dalla denuncia, avrebbe potuto essere stata fortemente condizionata dalla paura che il marito portasse a compimento le minacce reiterate nel corso degli anni in suo danno. Ad avviso del Giudice per le indagini preliminari, pertanto, si sarebbe stati in presenza di una situazione oggettiva in cui il procedimento motivazionale dell'imputata era risultato alterato e, dunque, si poteva escludere la colpevolezza della stessa, peraltro in un lasso di tempo così ristretto da non potersi nemmeno ipotizzare che la vittima avesse intrapreso un percorso psicologico volto a superare la paura nei confronti del marito.
4. L'art. 384 cod. proc. pen. sancisce la non punibilità di colui, che abbia commesso alcuno dei delitti previsti dagli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 371 ter, 372, 373, 374 e 378 cod. pen., «per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore». Secondo le Sezioni unite di questa Corte l'art. 384, primo comma, cod. pen. introduce una causa di esclusione della colpevolezza volta a escludere la punibilità di eh abbia posto in essere uno dei reati contro l'amministrazione della giustizia espressamente indicati al fine di non nuocere all'onore o alla libertà propri o di un prossimo congiunto (Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280574). L'esimente trova, infatti, la sua ragione d'essere nel principio nemo tenetur se detegere e nel riconoscimento della forza incoercibile dei vincoli di solidarietà familiare a fronte dell'obbligo di rendere testimonianza, secondo una ratio analoga a quella sottesa all'art. 199 cod. proc. pen., che riconosce la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dell'imputato dal rendere testimonianza (Sez. U, n. 7208 del 29/11/2007, G., Rv. 238384-01). La disposizione è considerata dalla giurisprudenza un'ipotesi speciale dello stato di necessità, riferita esclusivamente ai delitti contro l'amministrazione della giustizia, regolata con norma che deroga a quella generale dell'art. 54 cod. pen., perché, diversamente da quella stabilita in tale articolo, è applicabile anche se il pericolo sia stato volontariamente causato dal soggetto passivo (ex plurimis: Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, Q., Rv. 275320).
5. E', tuttavia, controverso nella giurisprudenza di legittimità se la causa di non punibilità prevista dall'art. 384, primo comma, cod. pen. sia applicabile anche qualora in cui il soggetto agisca per evitare un danno alla vita o all'integrità personale e, segnatamente, nel caso in cui un testimone violi l'obbligo di dire la verità solo perché si senta minacciato.
6. Secondo alcune pronunce, infatti, in tema di falsa testimonianza, ai fini della configurabilità dell'esimente di cui all'art. 384, comma primo, cod. pen., rileva non solo il pericolo di un nocumento alla libertà o all'onore dell'autore del reato o di un suo prossimo congiunto, ma altresì quello di un nocumento all'incolumità fisica (Sez. 6, n. 26061 del 08/03/2011, C., Rv. 250748 - 01; Sez. 6, n. 26606 del 09/04/2009, G., Rv. 244403 - 01; Sez. 6, n. 4239 del 03/10/2007, dep. 2008, P.g. in proc. Uran, Rv. 238581 - 01; Sez. 1, n. 5759 del 20/10/1998, M., Rv. 181053). In queste sentenze si rileva che il temuto danno alla vita e all'incolumità fisica conseguente a minacce si riverbera negativamente sulla stessa libertà morale del soggetto minacciato, che costituisce aspetto essenziale della libertà individuale (Sez. 6, n. 4239 del 03/10/2007, dep. 2008, P.g. in proc. Uran, Rv. 238581 - 01, fattispecie in cui l'atteggiamento reticente dell'imputato nel momento in cui ha assunto l'ufficio di testimone ai sensi dell'art. 197-bis, comma primo, cod. proc. pen., è stato determinato dalla volontà di proteggere il fratello, fatto oggetto di minacce di morte dagli emissari di un coimputato). Si aggiunge, inoltre, che sarebbe incongruo, non applicare l'esimente quando il soggetto agisca per tutelare il bene della vita, superiore a quello della propria libertà.
7. Secondo l'orientamento opposto, ampiamente prevalente, invece, la formulazione letterale dell'art. 384 cod. pen. limita l'ambito di applicazione dell'esimente esclusivamente alla necessità di tutelare non già la propria incolumità personale attraverso la falsa testimonianza, ma soltanto l'onore e la libertà personale. Pertanto, il timore di subire conseguenze pregiudizievoli per la propria vita o incolumità, a seguito della propria testimonianza, non rientra nella previsione dell'esimente di cui all'art. 384 cod. pen., che si applica solo ove il teste possa subire un inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore (Sez. 6, n. 7006 del 08/01/2021, S., Rv. 280840 - 01; Sez. n. 26560 del 08/04/2008, E., Rv. 241044 - 01; Sez. 6, n. 4895 del 21/10/2003, dep. 2004, P., Rv. 227845 - 01; Sez. 6, n. 12799 del 23/03/2006, D., Rv. 233739 - 01; Sez. 6, n. 5232 del 18/03/1988, F., Rv. 1782356 -01; Sez. 6, n. 2537 del 15/12/1982, T., Rv. 158031-01; Sez. 6, n. 4066 del 14/11/1979, dep. 1980, L., Rv. 144800). In queste sentenze la Corte di cassazione ha precisato che il timore per eventuali ritorsioni dipendenti dalla testimonianza (e, dunque, il timore per la propria incolumità) può rilevare ai fini del riconoscimento della scriminante dello stato di necessità di cui all'art. 54 cod. pen. sempre che ne ricorrano i relativi presupposti e, segnatamente, qualora sussista una situazione di pericolo concreto ed attuale, non essendo sufficiente che il teste si senta minacciato (Sez. 6, n. 13086 del 28/11/2013, dep. 2014, Z., Rv. 259496 - 01; Sez. 6, n. 26570 del 13/06/2008, M., Rv. 241050; Sez. 6, n. 1908 del 04/02/1997, B., Rv. 207525 - 01). Non potrebbe, infatti, essere riconosciuta l'esimente di cui all'art. 384, primo comma. cod. proc. pen. nel caso di un testimone che violi l'obbligo di deporre e di dire la verità solo perché si senta minacciato, anche in ragione della normativa di tutela prevista per la protezione dei testimoni (I. 11 gennaio 2018, n. 6), che prevede una gamma diversificata di misure di protezione secondo la situazione di pericolo e la condizione personale, familiare, sociale ed economica dei testimoni di giustizia, proprio nel presupposto che l'obbligo di testimoniare non possa subire deroghe di fronte al pericolo di intimidazioni (Sez. 6, n. 7006 del 08/01/2021, S., Rv. 280840 - 01).
8. Ritiene il Collegio di aderire a quest'ultima interpretazione e che, dunque, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Urbino non abbia fatto buon governo della legge penale. L'interpretazione della sentenza impugnata contrasta, infatti, con l'inequivoco tenore testuale del primo comma dell'art. 384 cod. pen. Il legislatore, infatti, introducendo tale esimente ha inteso riferirsi esclusivamente ai tipici beni (e, dunque, la libertà e l'onore) che possono essere pregiudicati da condotte rispettose degli obblighi vigenti in materia di amministrazione della giustizia e tali non sono i beni della vita e dell'integrità personale, tanto più che l'ordinamento non prevede più la pena di morte per effetto della I. 13 ottobre 1994, n. 589 (Abolizione della pena di morte nel codice penale militare di guerra). Non a caso la dottrina che in passato aveva prospettato l'estensione del primo comma dell'art. 384 cod. pen. ai casi di timore per la vita o di un nocumento all'integrità fisica aveva fatto riferimento alla necessità di deporre il falso per sottrarre sé o un prossimo congiunto ad una condanna alla pena capitale. Nell'assetto vigente ha, dunque, perso di validità l'argomento secondo il quale sarebbe incongruo non applicare la norma quando il soggetto agisca per tutelare il bene della propria vita, superiore a quello della propria libertà. Non sussistono, inoltre, i presupposti per procedere ad una interpretazione analogica in bonam partem di questa disposizione con riferimento alla necessità di evitare un danno all'integrità personale. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno, invero, recentemente affermato, in relazione all'ambito soggettivo dell'esimente di cui si controverte, che l'art. 384, comma primo, cod. pen., in quanto causa di esclusione della colpevolezza, è applicabile analogicamente anche a chi abbia commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, F., Rv. 280574-01). Quanto al presupposto applicativo della necessità di tutelarsi dal pericolo di offese all'integrità fisica non può, tuttavia, prospettarsi alcuna applicazione analogica dell'esimente, in quanto non sussiste alcuna lacuna nel sistema penale sul punto; infatti, il timore per eventuali ritorsioni dipendenti dalla testimonianza nella trama sistematica del codice penale rileva già ai fini del riconoscimento della scriminante dello stato di necessità ex art. 54 cod. pen., qualora sussista una situazione di pericolo concreto ed attuale.
9. Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per il giudizio alla Corte di appello di Ancona.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per il giudizio alla Corte di appello di Ancona.