Svolgimento del processo
Con sentenza n. 2123 del 9. 10. 2018 la Corte di appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò la nullità del contratto di compravendita immobiliare intercorso tra la R.B. s.r.l., poi I. s.r.l., e B.M. con scrittura privata autenticata in data 31. 3. 2004 per dolo della società venditrice, che condannò, unitamente al notaio R.A. che aveva provveduto ad autenticare le sottoscrizioni dell’atto contrattuale, al risarcimento dei danni per le spese sostenute da B. per la stipula, quantificati in euro 12.997,00; dispose altresì l’integrale compensazione degli obblighi di restituzione delle prestazioni in capo alle parti. In particolare, la Corte territoriale motivò la declaratoria di nullità del contratto affermando, sulla base di una serie di elementi di fatto che avevano connotato la vicenda contrattuale, che la società venditrice aveva agito nella consapevolezza dei gravi vizi di cui era affetto l’appartamento, tali da non renderlo abitabile se non con notevoli lavori, occultandoli alla controparte ed avvalendosi, per la sottoscrizione, della complicità del notaio, titolare insieme alla moglie di partecipazioni nella stessa società venditrice. Quanto agli obblighi di restituzione conseguenti alla nullità della vendita, ne dispose la compensazione rilevando che l’immobile compravenduto era stato sottoposto a procedura esecutiva per il mancato pagamento delle rate del mutuo acceso dall’acquirente B. e che la perdita del bene in favore dell’istituto di credito mutuante dovesse essere considerata pari, per valore, alla somma percepita dalla venditrice e che essa avrebbe dovuto restituire. Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato l’1. 2. 2019, ricorre, affidandosi a tre motivi, B.M.. La s.r.l. I., già R.B., resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo. R.A. ha notificato controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria. Il procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe riportate. La trattazione del ricorso si è svolta, ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, d.l. 28. 10. 2010, n. 137, convertito con la legge 18. 12. 2010, n.176, in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
Motivi della decisione
Va esaminato per primo il ricorso incidentale avanzato dalla società I., che investe il tema della nullità del contratto intervenuto tra le parti, preliminare rispetto alla questione sollevata con il ricorso principale. Con un unico motivo la società I. deduce che la pronuncia di nullità del contratto di compravendita per dolo della parte venditrice è viziata per non avere la Corte di appello esaminato, a tal fine, una serie di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, che, se considerati, avrebbero dovuto portare ad escludere la ricorrenza del dolo della venditrice. In particolare, si assume che, nel compiere il relativo accertamento, la Corte non ha considerato che la vendita avvenne tramite un’agenzia di mediazione, che il prezzo dell’immobile era molto conveniente ed era stato determinato proprio in ragione del suo stato manutentivo, che esso era stato acquistato all’asta dalla R.B. come immobile ad uso abitativo e come tale era stato rivenduto, che la società aveva preliminarmente compiuto lavori di ristrutturazione idonei ad ovviare ai vizi dovuti all’umidità esistente, che nel 2006 era stato rilasciato il certificato di idoneità alloggiativa e che, infine, l’immobile era stato posto in vendita nella procedura esecutiva in corso come appartamento di civile abitazione e per un prezzo iniziale superiore a quello pagato dalla controparte. Il motivo è inammissibile. La ricorrente omette di illustrare le ragioni per cui i fatti indicati, se fossero stati presi in considerazione, avrebbero portato ad una conclusione diversa da quella accolta dal giudice di appello, conseguenza che non appare affatto di immediata evidenza logica, se si tiene conto delle ragioni della decisione impugnata, che ha ravvisato nella condotta posta in essere dalla società venditrice il consapevole “mascheramento“, mediante interventi edili, dei vizi dell’immobile, ritenuti, sulla scorta della consulenza tecnica d’ufficio, non condonabili e tali da non poter ritenere l’appartamento abitabile, ed ha sostenuto tale conclusione richiamando le stesse vicende fattuali di conclusione del contratto ed il comportamento non imparziale del notaio, che ha ritenuto concorrente nella produzione del danno subìto dalla parte acquirente. Proprio alla luce di tale motivazione deve ritenersi che i fatti che si assumono non esaminati non risultino decisivi. Sotto altri profili il mezzo è inammissibile in quanto, in relazione ad alcune delle circostanze indicate, non indica gli atti del giudizio e le altre fonti di prova da cui essi emergerebbero e perché, nella sostanza, si traduce in censure che attengono alla valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito, sollecitandone una diversa lettura ed apprezzamento, non consentita in sede di giudizio di legittimità. Passando all’esame del ricorso principale proposto da B.M., esso investe il capo della decisione che ha dichiarato compensati tra le parti gli obblighi restitutori conseguenti alla accertata nullità del contratto, per sostanziale equivalenza del loro valore. Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 2033 cod. civ. e dei principi in materia di provvedimenti restitutori, lamentando che la Corte di appello, invece di accogliere la domanda, ritualmente avanzata dall’attore, di restituzione della somma di euro 80.000,00 pagata a titolo di prezzo dell’immobile, abbia dichiarato tale credito compensato con quello di restituzione del bene, nonostante che il prezzo fosse stato ottenuto dalla società venditrice illegittimamente con artifici e raggiri, così vanificando il diritto della parte danneggiata a ripetere la somma estorta, lasciandogli un bene non vendibile e sottoposto ad esecuzione. Si assume inoltre che tale pronuncia è viziata anche perché la controparte si era limitata, nel giudizio di primo grado, a richiedere il solo rigetto della domanda, senza avanzare domanda di restituzione dell’immobile compravenduto, limitandosi solo in comparsa conclusionale a rappresentare l’obbligo di parte acquirente di restituire il bene. La suddetta comparsa, peraltro, risulta redatta da un nuovo avvocato, dopo la rinuncia al mandato del difensore originario, che però è intervenuto nel processo senza mai allegare l’atto di conferimento della nomina. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello disposto la contestata compensazione delle restituzioni in mancanza di una specifica e rituale domanda di restituzione dell’immobile della convenuta, dovendosi considerare inammissibile la richiesta in tal senso formulata nella comparsa conclusionale di primo grado e con l’appello incidentale. Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello che eccepiva la nullità della decisione di primo grado che, disposta la risoluzione del contratto per colpa della venditrice, aveva dichiarato l’obbligo di entrambe le parti alla restituzione delle prestazioni ricevute, e per violazione degli artt. 83 e 84 cod. proc. civ. e 111 Cost. per non avere la Corte di appello dichiarato nulli gli scritti difensivi depositati dall’avv. Perrone, che si era costituito in giudizio al posto del precedente difensore della controparte senza depositare la procura alle liti. I primi due motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione oggettiva, sono fondati. Risulta dagli atti di causa, esaminabili da questa Corte in ragione della natura processuale del vizio denunziato, che sia nella comparsa di risposta che nella memoria istruttoria depositata nel giudizio di primo grado la società R.B., oggi I., si era limitata a chiedere il rigetto delle domande di risoluzione e di annullamento del contratto di compravendita proposte da B., senza avanzare, in via subordinata e condizionata, nel caso di loro accoglimento, domanda di restituzione del bene. La circostanza non risulta del resto smentita e contestata dalla società controricorrente. Ne consegue che la Corte di appello, in quanto non investita da apposita domanda, non poteva pronunciarsi sulla restituzione dell’immobile, quale conseguenza della dichiarata nullità del contratto di compravendita, e quindi disporre la contestata compensazione tra le parti degli obblighi restitutori. Questa Corte ha più volte affermato che, nel caso in cui il contratto sia dichiarato risolto, è necessario che la parte formuli specifica domanda al fine di ottenere la restituzione della prestazione eseguita, non potendo il giudice adottare la relativa statuizione d’ufficio, atteso che, pur trattandosi di una conseguenza della pronuncia sul negozio, non si tratta di un effetto automatico, rientrando nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo o meno la restituzione della prestazione rimasta senza causa (Cass. 3578 del 2013; Cass. n. 2075 del 2013; Cass. n. 2439 del 2006). La società I. nel proprio controricorso ha obiettato che l’orientamento suindicato, pur condivisibile, non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, sia perché il tema delle restituzioni era già stato dedotto in giudizio con la specifica domanda dell’attore di ripetizione del prezzo, sicché il giudice non avrebbe potuto disporre la restituzione di una prestazione senza provvedere anche sull’altra, sia in quanto nella fattispecie la Corte di appello non ha disposto la restituzione, ma ha compensato i rispettivi crediti tra le parti, ritenendo il loro valore equivalente, procedendo quindi ad una compensazione atecnica o impropria, a cui il giudice può provvedere anche d’ufficio nel caso in cui i crediti contrapposti derivino dal medesimo titolo. Queste argomentazioni non meritano adesione. La prima perché si risolve in una sostanziale disapplicazione del principio sopra enunciato, secondo cui la condanna alla restituzione, non rappresentando una conseguenza automatica della pronuncia di nullità, annullamento o risoluzione del contratto, esige sempre, per il principio della domanda, la richiesta della parte interessata, rientrando nella sua autonomia chiederla o meno, sicché il giudice non può disporla d’ufficio. La seconda in quanto l’istituto della compensazione c.d. impropria o atecnica, configurabile nel caso in cui i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, opera a condizione che la valutazione delle reciproche pretese importi soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, per cui il giudice può procedervi anche in assenza di eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale (Cass. n. 10798 del 2018; Cass. n. 7624 del 2010), risolvendosi in sostanza in una operazione di quantificazione del saldo del credito fatto valere in giudizio, mentre nel caso di specie la compensazione, avendo ad oggetto prestazioni di natura diversa e quindi non omogenee, l’una di restituzione di una somma di denaro e l’altra di un immobile, non si risolveva affatto in un’operazione meramente contabile, ma presupponeva valutazioni ed accertamenti che richiedevano una apposita domanda di parte. Il terzo motivo del ricorso principale va invece dichiarato assorbito. In conclusione vanno accolti il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, mentre il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società I., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.
P.Q.M.
accoglie il primo e secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio. Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.