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31 marzo 2022
L’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario viene meno se non c’è più l’esigenza di conservare l’habitat domestico

Qualora i figli siano già sradicati dal luogo in cui si svolgeva l'esistenza della famiglia, allora viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto.

La Redazione

Il Tribunale di Padova pronunciava lo scioglimento del matrimonio tra l'attuale ricorrente e l'allora marito, assegnando la casa coniugale di proprietà di quest'ultimo alla prima, in ragione del fatto che ella era il genitore collocatario del figlio minore.
L'ex marito impugna la pronuncia dinanzi al Tribunale, il quale revocava l'assegnazione della casa familiare poiché la madre svolgeva la sua attività lavorativa ad Udine, ove disponeva di un immobile, e il figlio frequentava la scuola sempre ad Udine, mentre la casa coniugale si trovava a Padova, dove essi si recavano solo sporadicamente.
La madre proponeva reclamo avverso la suddetta decisione, ma la Corte d'Appello lo respingeva, dunque la stessa propone ricorso per cassazione.

Con l'ordinanza n. 10453 del 31 marzo 2022, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo l'orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale «in materia di divorzio, l'assegnazione della casa familiare dell'ex coniuge affidatario prevista dall'art. 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia, viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell'immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall'art. 1102 cod. civ.».
In tal senso, la Corte territoriale aveva chiaramente spiegato le ragioni per le quali era venuta meno l'esigenza abitativa, facendo riferimento ai seguenti fatti (accertati): il minore aveva frequentato circa 3 anni una scuola elementare sita in Udine e la madre lavorava, già nelle more del giudizio di primo grado, ad Udine, mentre aveva fatto ritorno a Padova a partire dal 2018 solo saltuariamente.
Per queste ragioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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