Qualora i figli siano già sradicati dal luogo in cui si svolgeva l'esistenza della famiglia, allora viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto.
Il Tribunale di Padova pronunciava lo scioglimento del matrimonio tra l'attuale ricorrente e l'allora marito, assegnando la casa coniugale di proprietà di quest'ultimo alla prima, in ragione del fatto che ella era il genitore collocatario del figlio minore.
L'ex marito impugna la pronuncia dinanzi al Tribunale, il quale revocava l'assegnazione della casa familiare poiché la madre svolgeva la sua attività lavorativa ad Udine, ove disponeva di un immobile, e il figlio frequentava la scuola sempre ad Udine, mentre la casa coniugale si trovava a Padova, dove essi si recavano solo sporadicamente.
La madre proponeva reclamo avverso la suddetta decisione, ma la Corte d'Appello lo respingeva, dunque la stessa propone ricorso per cassazione.
Con l'ordinanza n. 10453 del 31 marzo 2022, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, ribadendo l'orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo il quale «in materia di divorzio, l'assegnazione della casa familiare dell'ex coniuge affidatario prevista dall'
In tal senso, la Corte territoriale aveva chiaramente spiegato le ragioni per le quali era venuta meno l'esigenza abitativa, facendo riferimento ai seguenti fatti (accertati): il minore aveva frequentato circa 3 anni una scuola elementare sita in Udine e la madre lavorava, già nelle more del giudizio di primo grado, ad Udine, mentre aveva fatto ritorno a Padova a partire dal 2018 solo saltuariamente.
Per queste ragioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27.2.18 il Tribunale di Padova pronunciò lo scioglimento del matrimonio tra D.O. e K.M., assegnando la casa coniugale- di proprietà del Quintarelli all'ex coniuge quale genitore collocatario del figlio minore. Con decreto dell'8.3.21, su ricorso del O., il Tribunale di Padova ha revocato l'assegnazione della casa familiare, osservando che: dal 2018 la madre svolgeva attività lavorativa come medico presso struttura universitaria di Udine, disponendo ivi di un immobile; il figlio frequentava la scuola a Udine e i loro rientri in Padova erano stati sporadici, come documentato, a nulla rilevando che la stessa madre avesse un progetto professionale a Verona, ipotizzando di tornare ad abitare a Padova; i documenti sulla frequenza scolastica in Padova riguardavano fatti successivi al ricorso. K.M. li ha proposto reclamo, assumendo che: dal settembre 2020 il figlio era stato iscritto in una scuola di Udine; la revoca dell'assegnazione della casa familiare non era automatica conseguenza del fatto che il genitore affidatario non la abiti stabilmente. Con decreto del 12.5.21 la Corte d'appello ha respinto il reclamo, osservando che: l'impugnazione non conteneva una ricostruzione dei fatti documentata e alternativa a quella descritta nel decreto reclamato; a prescindere dalla residenza anagrafica, era certo che il minore avesse frequentato il secondo e terzo anno della scuola elementare e il quarto, fino alle festività natalizie, in un istituto di Udine, nonché che la madre, ancora nel giudizio di primo grado, lavorasse a Udine e che dal 2008 avesse fatto ritorno solo saltuariamente e per poco tempo a Padova; non era stato chiaramente allegato quale potesse essere la sperata nuova sede di lavoro della madre; solo in data 7-5-21 è stato depositato un contratto di lavoro datato 28.4.21 con l'ULSS n.5 Polesana, dovendo dunque presumersi che la madre avesse di recente cessato il rapporto con la struttura sanitaria di Udine e iniziato a lavorare altrove; l'abitazione familiare di Padova aveva ormai perso la funzione di abitazione principale per la madre e il minore, il quale vi aveva soggiornato solo dal 2018 al natale 2020; pertanto, il trasferimento avvenuto nel 2018 a Udine aveva comportato la definitiva perdita per l'immobile di Padova della qualità di casa familiare, avendo il figlio vissuto per un periodo continuativo e in modo stabile in altra città, figlio al quale non occorreva assicurare l'ambiente domestico dove aveva vissuto fino alla separazione dei genitori; non era altresì prospettabile che, a seguito delle recenti decisioni della madre, l'ex casa familiare potesse tornare ad assumere la funzione avuta in passato, ma persa nel 2018, non essendo essa suscettibile di reviviscenza per effetto del trasferimento di scuola del gennaio 2021 e della più recente modifica della sede lavorativa della madre. La M. ricorre in cassazione con unico motivo. D.O. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
L'unico motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 155quater c.c., 156, c.c., 709, 740, c.p.c:., 9 I. n. 898/70, per aver la Corte d'appello, sulla premessa dell'irrevocabilità della pronuncia di revoca dell'assegnazione della casa familiare in quanto coperta dal giudicato, ritenuto ininfluenti su tale statuizione i fatti sopravvenuti al decreto del Tribunale, non considerando che dal gennaio 2021 il minore era tornato a scuola a Padova, abitando a pochi km dalla città, e per aver la stessa Corte territoriale omesso la valutazione della carenza di stabilità del trasferimento della madre ad Udine. Il ricorso è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte- cui il collegio intende dare continuità- in materia di divorzio, l'assegnazione della casa familiare all'ex coniuge affidatario prevista dall'art. 6, comma sesto, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art.11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. Ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia - indipendentemente dalla possibilità di una ipotetica riunione degli stessi al genitore già affidatario -, viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell'immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall'art. 1102 cod. civ. (Cass., n. 3030/06; n. 13065/02). E' stato altresì evidenziato il fatto che colui che agisca per la revoca dell'assegnazione della casa familiare ha l'onere di provare in modo inequivoco il venir meno dell'esigenza abitativa con carattere di stabilità, cioè di irreversibilità, prova che deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l'assegnatario; inoltre il giudice deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole (Cass., n. 11218/13; n. 14348/12). Nel caso concreto, la Corte d'appello ha esplicitato chiaramente le ragioni del venir meno dell'esigenza abitativa, essendo stato accertato che: il minore aveva frequentato il secondo e terzo anno della scuola elementare, nonché il quarto, sino alle festività natalizie, in un istituto di Udine; la madre lavorava a Udine, già nel giudizio di primo grado, e dal 2018 aveva fatto ritorno solo saltuariamente e per poco tempo a Padova. Né giova agli argomenti della ricorrente l'addotto trasferimento di scuola del minore dal gennaio 2021, oppure la recente modifica della sede lavorativa della stessa madre, in quanto è evidente che la misura in discorso non può assolvere alla funzione sua propria di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell'ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano in ogni caso in cui, a seguito della separazione, la casa familiare abbia cessato di essere tale, con conseguente preclusione della possibilità di reviviscenza del diritto all'assegnazione della casa familiare (v. Cass., n. 3030/06). Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 3200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma l quater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma lbis dello stesso articolo 13, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti in esso menzionati, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196/03.