Le Sezioni Unite ricordano che non si considera “incolpevole” la condotta di chi, pur avendo il diritto di chiedere al magistrato di sorveglianza l'autorizzazione ad allontanarsi dalla propria residenza, non lo abbia esercitato.
L'odierno ricorrente è un avvocato che era stato inizialmente arrestato con l'accusa di estorsione aggravata e poi sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere.
In seguito, il Tribunale di Imperia pronunciava sentenza di patteggiamento con la quale applicava nei suoi confronti la pena di 5 anni di reclusione, sentenza che veniva impugnata mediante ricorso per...
Svolgimento del processo
1. Il 19 dicembre 2016 l'avvocato R.V. venne tratto in arresto con l'accusa di estorsione aggravata, e sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere. Il 30 luglio 2017 il Tribunale di Imperia pronunziò nei suoi confronti sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., con la quale applicò la pena di cinque anni di reclusione. Il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso tale sentenza venne dichiarato inammissibile.
2. Sulla base di tali fatti il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Genova, che dopo l'arresto dell'avvocato R.V. ne aveva disposto la sospensione in via cautelare, con provvedimento del 17 dicembre 2019 gli comminò la sanzione disciplinare della radiazione. La sentenza venne appellata dall'incolpato.
3. Con sentenza 17 luglio 2021 n. 152 il Consiglio Nazionale Forense rigettò l'impugnazione. A fondamento della propria decisione il Consiglio Nazionale Forense osservò che: -) correttamente il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva celebrato il procedimento nonostante l'assenza dell'incolpato all'udienza di discussione, dal momento che quella assenza non era dipesa da un impedimento oggettivo ed insuperabile; -) correttamente il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva utilizzato, e posto a fondamento della decisione, gli atti e le prove raccolte nel corso del procedimento penale a carico dell'incolpato; -) non era sindacabile dinanzi al Consiglio Nazionale Forense il giudizio con cui il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva reputato superflua la prova testimoniale richiesta dall'avvocato R.V.; e in ogni caso la suddetta valutazione fu corretta, alla luce delle prove già acquisite; -) la condotta tenuta dall'avvocato R.V. (avere appiccato, o fatto appiccare, il fuoco ad un immobile di proprietà di terzi) era stata ammessa dallo stesso incolpato, e la circostanza che essa non fosse dettata da finalità estorsive non ne sminuiva la rilevanza disciplinare.
4. La sentenza del Consiglio Nazionale Forense è stata impugnata per cassazione da R.V. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria. Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente lamenta un errar in procedendo, consistito nella violazione dell'articolo 59 della legge 247/12. Nella illustrazione del motivo (pp. 9-13 del ricorso) si sostiene una tesi che può essere così sintetizzata: -) quando il Consiglio Distrettuale di Disciplina tenne l'udienza di discussione del procedimento disciplinare, il 5 novembre 2019, l'incolpato era impossibilitato a presenziare, in quanto già condannato in sede penale, affidato in prova al servizio sociale, e impossibilitato a lasciare la propria regione di residenza senza l'autorizzazione del giudice di sorveglianza; -) tali circostanze erano state rappresentate dal proprio difensore al Consiglio Distrettuale di Disciplina; -) il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva tuttavia disposto la prosecuzione del giudizio, senza rinviare l'udienza. L'esposizione del motivo prosegue affermando che il Consiglio Distrettuale avrebbe dovuto, anche d'ufficio, una volta apprese le suddette circostanze (ritualmente rappresentate dal difensore dell'incolpato), rinviare il procedimento. Il Consiglio Nazionale Forense, pertanto - conclude il ricorrente - ritenendo corretta la decisione con cui il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva ritenuto inesistente un legittimo impedimento, aveva violato il diritto difesa dell'incolpato.
1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Il ricorrente deduce che pochi giorni prima dell'udienza fissata per la discussione dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina (fissata per il 5 novembre 2019), il Tribunale di sorveglianza aveva disposto il suo affidamento in prova, con atto notificatogli il 15 ottobre 2019, nel quale era contenuta la prescrizione di non lasciare la provincia e la regione di residenza. Tuttavia è lo stesso ricorrente a riferire (p. 4, § 10, del ricorso) che il decreto di citazione a giudizio per l'udienza del 5 novembre 2019 dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina gli venne notificato il 23 settembre: e dunque in tempo utile quanto meno per chiedere le necessarie autorizzazioni. Sicché, in presenza di tale deduzione, ed in assenza di ulteriori precisazioni da parte del ricorrente, nessun vulnus è ravvisabile nella sentenza impugnata, là dove ha ritenuto che non fu incolpevole, né inevitabile, l'assenza dell'incolpato all'udienza di discussione dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina. "Incolpevole", infatti, per i fini che qui rilevano si sarebbe potuta ritenere solo la condotta di chi, avendo tempestivamente domandato al magistrato di sorveglianza un permesso di allontanarsi dalla propria residenza, non l'avesse ottenuto, ma non quella di chi, pur avendo il diritto di formulare la suddetta istanza, non l'abbia esercitato.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., deducendo che la motivazione adottata dal Consiglio Nazionale Forense sarebbe solo apparente e comunque contraddittoria. Nella illustrazione del motivo il ricorrente formula una tesi così riassumibile: -) il Consiglio Distrettuale di Disciplina ha fondato la sua decisione di condanna disciplinare unicamente sulla base della sentenza di patteggiamento, senza procedere ad alcuna autonoma valutazione delle prove e degli argomenti spesi dalla difesa dell'incolpato; -) il Consiglio Nazionale Forense, chiamato a valutare la correttezza della sentenza di primo grado, ha erroneamente ritenuto che il giudice di primo grado avesse "autonomamente valutato" le prove a sua disposizione; in realtà tale giudizio del Consiglio Nazionale Forense fu erroneo, perché quella "autonoma valutazione" delle prove non fu affatto compiuta dal Consiglio Distrettuale di Disciplina.
2.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata. Il Consiglio Nazionale Forense, infatti, dopo aver affermato che il Consiglio Distrettuale di Disciplina aveva compiuto una autonoma valutazione delle prove a carico dell'incolpato, ha comunque aggiunto che: -) i fatti addebitati all'incolpato erano stati da questi ammessi; -) quei fatti giustificavano di per sé l'irrogazione della sanzione della radiazione; -) appiccare il fuoco all'abitazione altrui è un atto di per sé incompatibile con l'esercizio della professione di avvocato, a prescindere dal fatto che sia stato compiuto per finalità estorsive o per qualunque altro scopo ( così la sentenza impugnata, p. 5, primo e secondo capoverso). Questa autonoma ratio decidendi non viene in alcun modo censurata dal ricorso, ed essendo di per sé idonea a sorreggere la sentenza impugnata, rende il ricorso stesso inammissibile.
3. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.
4. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
la Corte di cassazione: (-) dichiara inammissibile il ricorso; (-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.