Lo ricorda la Suprema Corte, evidenziando altresì la necessità di non confondere l'inderogabilità delle norme con l'indisponibilità del diritto controverso.
Il Tribunale di Roma dichiarava la propria incompetenza in favore di quella arbitrale in relazione alla causa instaurata dall'attore nei confronti dei convenuti volta all'annullamento della delibera assembleare avente ad oggetto la trasformazione di una società di persone in società di capitali. Nello specifico, il Tribunale faceva riferimento alla clausola statutaria...
Svolgimento del processo
Il tribunale di Roma, con sentenza del 4 gennaio 2021, ha dichiarato la propria incompetenza in favore di quella arbitrale relativamente alla causa instaurata da N.P. nei confronti di P.P. (senior), P.P. (junior), M., M.P. e A.M., finalizzata a ottenere l'annullamento (o anche la declaratoria di nullità) della deliberazione avente a oggetto la trasformazione in s.r.l. della R. di P.P. & c. s.a.s., per invalida costituzione dell'assemblea, per violazione del quorum costituivo e deliberativo e per omessa rituale convocazione, e comunque perché assunta sulla base di una situazione economica non rispondente al vero. Ha motivato la decisione richiamando la clausola statutaria come modificata in data 23-12- 2010 (art. 13), previdente che "qualsiasi controversia dovesse insorgere tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbia ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, ad eccezione di quelle nelle quali la legge prevede l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, dovrà essere risolta da un arbitro nominato dal presidente del tribunale competente avuto riguardo alla sede sociale il quale dovrà provvedere alla nomina entro 90 giorni dalla richiesta fatta dalla parte più diligente". A tale rilievo il tribunale ha aggiunto la considerazione che l'attore, rispetto alla costituzione dei convenuti, non aveva contestato puntualmente la loro eccezione, e che d'altronde egli aveva per l'appunto impugnato una delibera di esclusione dalla s.a.s. tramite il ricorso all'arbitrato, giustappunto in applicazione della clausola sopra riportata, così mostrando di riconoscerne la validità e l'applicabilità a questo tipo di controversie. La sentenza è stata impugnata da N.P. con regolamento di competenza. Ha resistito il solo P.P. (senior) con memoria ex art. 47 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
I. - A sostegno del regolamento il ricorrente, premessa una critica all'affermazione del tribunale circa la aspecifica contestazione dell'avversa eccezione di competenza, deduce tre motivi. Col primo assume la violazione o falsa applicazione degli artt. 806, 808, 819-ter cod. proc. civ. e 1362 e seg. cod. civ. in rapporto alle distinte versioni dell'art. 13 dello statuto applicabile al caso, stante l'ambiguità dell'eccezione proposta dai convenuti a tal riguardo. Col secondo assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 806, 808, 816 e 819-ter cod. proc. civ. e 1362 e seg. cod. civ. in quanto le controparti, eccependo l'incompetenza del giudice adito, si sarebbero limitate a rappresentare la semplice esistenza di clausole arbitrali, senza indicare quale fosse l'arbitro competente secondo l'onere stabilito dall'art. 38, secondo comma, cod. proc. civ. e senza considerare come "molti dei diritti ritenuti lesi (..) fossero indisponibili" Col terzo denunzia la violazione degli artt. 1418 cod. civ., 806, 809 e 816-quater cod. proc. civ. in ragione del carattere "binario" della clausola dalla quale il tribunale avrebbe fatto discendere la propria incompetenza.
II. Va confermata l'attribuzione della controversia alla competenza arbitrale.
III. La proposizione dell'eccezione di incompetenza del giudice ordinario, in ragione dell'esistenza di una clausola compromissoria, non richiede né formule sacramentali, né l'individuazione di specifici criteri di competenza, essendo sufficiente la deduzione della sussistenza della convenzione d' arbitrato (v. Cass. 15890-12). Trattasi di principio assolutamente pacifico, non per niente confermato anche a proposito dell'eccezione di arbitrato internazionale, determinativa del difetto di giurisdizione (Cass. Sez. U n. 8744-01 Cass. Sez. U n. 3029-02). Che nel caso concreto l'eccezione sia stata formulata in modo consono al principio risulta espressamente dall'impugnata sentenza, la quale ha ben specificato quale fosse la versione dello statuto applicabile ratione temporis alla controversia in rapporto all'eccezione stessa, così consentendo di comprendere che tale, per l'appunto, era stato anche il riferimento degli eccipienti. Minata da genericità è semmai la tesi del ricorrente, il quale ha omesso di indicare quale diverso contenuto avrebbe avuto - secondo la sua ottica la ripetuta clausola, onde sostenere l'inapplicabilità della stessa al caso.
IV. - La genericità del ricorso si rinviene anche nella non meglio argomentata allusione del secondo motivo all'indisponibilità dei diritti ritenuti lesi. La controversia attiene difatti all'impugnativa della decisione assembleare che ha disposto la trasformazione della società di persone in società di capitali. Un tale oggetto non implica affatto che la decisione sociale attenga a diritti indisponibili. In generale, le controversie sulla validità delle delibere assembleari, o (per le società a base personale) delle decisioni sociali, tipicamente riguardano i soci e la società in relazione ai rapporti sociali. Come tali sono compromettibili in arbitri ai sensi dell'art. 34, primo comma, del d.lgs. n. 5 del 2003. Laddove, infatti, il giudizio riguardi la validità di deliberazioni, l'art. 36 del citato d.lgs. n. 5 del 2003 prevede che gli arbitri decidano la controversia necessariamente secondo diritto. Il che rappresenta plasticamente la necessità di non confondere ai fini indicati l'area della inderogabilità delle norme, che gli arbitri devono applicare per risolvere la controversia, con l'area della indisponibilità del diritto controverso (v. anche Cass. n. 20462-20).
V. - Del tutto inconferente è infine il sottinteso richiamo del terzo motivo alla natura "binaria" della clausola compromissoria in relazione alla pluralità delle parti interessate dal giudizio. La struttura "binaria" di una clausola presuppone che questa sia architettata sull'assunto di una lite necessariamente bipolare, tale da dover essere devoluta alla decisione di almeno tre arbitri, due dei quali da nominare da ciascuna delle parti; sicché essa si dice tendenzialmente inadatta a dirimere questioni coinvolgenti più centri d'interesse, a fronte di una pluralità di soggetti interessati alla risoluzione della lite compromessa (Cass. n. 1090-14, Cass. n. 6924-16). Tutto questo non interessa affatto il caso concreto. La sopra riportata clausola prevede infatti la nomina di un solo arbitro da parte del presidente del tribunale competente avuto riguardo alla sede sociale, in coerenza con l'art. 34, secondo comma, del d.lgs. n. 5 del 2003.
VI. - Va quindi affermata la competenza arbitrale. Le spese seguono la soccombenza. La natura impugnatoria del regolamento di competenza implica per il soccombente l'obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 (v. Cass. n. 13636-20).
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza arbitrale e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 4.300,00 EUR, di cui 100,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.