A nulla rileva, inoltre, l'aver espletato alcune attività ulteriori, come la ricerca giurisprudenziale sul caso, su spontanea iniziativa e senza previa richiesta del dominus.
Svolgimento del processo
1. L'avv. MT ha convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di pace di Venezia l'avv. LN e RF chiedendone la condanna, in via solidale, al pagamento di € 1.862,40, oltre interessi dal 24 novembre 2009 al saldo, a titolo di compensi professionali. Ha dedotto di essere stato incaricato dall'avv. N affinché presenziasse all'udienza del 13/02/2009, nella causa promossa dal F contro il Ministero della Giustizia, di aver avuto contatti diretti con la parte, di aver approfondito i temi dibattuti anche con una ricerca giurisprudenziale e di aver discusso oralmente la causa in udienza. I convenuti si sono costituiti in giudizio, eccependo di aver richiesto all'avv. T una semplice sostituzione in udienza, per cui nessun compenso poteva essere riconosciuto a titolo di onorario. Il giudice di pace ha respinto la domanda, ritenendo che all'attore competesse la somma complessiva di€ 298,96 a titolo di diritti, oltre accessori, ma che nulla gli spettasse per onorari, per cui, avendo già percepito € 500,00, non residuava alcun credito. La sentenza, appellata dal T è stata confermata in appello. Secondo il tribunale, la figura del sostituto d'udienza può essere qualificata come di esecutore autonomo: non trattasi di un mero "ausiliario", ma un soggetto dotato di professionalità distinta che tuttavia si esprime e si esaurisce, nell'esecuzione della prestazione principale cui è tenuto il dominus (cfr. art. 2232 c.c.). Nello specifico, l'attività preparatoria (consistita nel ricevimento del cliente e nello svolgimento di una ricerca giurisprudenziale) e la discussione all'udienza "erano state spontaneamente intraprese dall'appellante ma non erano state richieste, essendo comunque riconducibili alla diligenza del delegato nell'adempimento dell'incarico, senza arricchire il contenuto di prestazioni ulteriori e distinte, meritevoli di autonoma remunerazione". Riguardo ai diritti già riconosciuti dal primo giudice, la sentenza ne ha ritenuta corretta la quantificazione, "in difetto di elementi da cui desumere una prestazione più articolata della pura e semplice sostituzione (che già di per sé trattandosi di professionisti intellettuali - non può risolversi nella mera presenza) in udienza". La cassazione della sentenza è chiesta dall'Avv. T con ricorso in tre motivi. LN e RF non hanno svolto difese.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo denuncia - genericamente - la violazione di norme di diritto, lamentando che il tribunale abbia respinto la richiesta di liquidazione del compenso per la discussione della causa, benché tale prestazione fosse stata effettivamente svolta, anche perché prevista obbligatoriamente nei procedimenti sottoposti al rito lavoro. Il motivo è infondato. Il tribunale, esaminando l'ampiezza e i contenuti della delega conferita al ricorrente, ha chiaramente evidenziato che l'incarico si era esaurito in una mera sostituzione in udienza, senza il conferimento di più ampi compiti di studio e senza l'adozione di scelte processuali e difensive diverse da quelle già predisposte dall'avv. N In sostanza, secondo il motivato convincimento del giudice di merito, il ricorrente era stato officiato di una semplice attività procuratoria, da remunerare con l'attribuzione dei diritti per le prestazioni svolte in sostituzione del difensore, in coerenza con il principio secondo cui al sostituto del professionista compete il compenso per l'opera effettivamente svolta, il quale, ove trattasi di attività di natura professionale per la quale è prevista l'iscrizione in appositi albi, va quantificato in base ai parametri indicati dall'art. 2223 c.c. (Cass. 1929/1976). La pronuncia ha inoltre evidenziato che l'approfondimento giurisprudenziale dei temi dibattuti e la discussione orale non erano stati richiesti e non davano diritto all'onorario - inteso quale compenso per l'opera intellettuale del difensore e per l'assistenza della parte (art. 82, comma secondo, c.p.c.): il sostituto di udienza si era limitato a riproporre le difese predisposte dall'avv. N Erroneamente il ricorrente sostiene che la discussione in udienza era attività che egli era tenuto comunque a svolgere, trattandosi di processo sottoposto al rito lavoro: la sostituzione aveva riguardato - in realtà - un procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. in materia del lavoro, sottratto agli artt. 409 e ss. e invece disciplinato dalle regole deformalizzate degli artt. 669 bis e ss. c.p.c.. Ai sensi della Tabella B - par. III (procedimenti speciali) D.M. 127/2004 spettavano i diritti e gli onorari corrispondenti a quelli previsti dal par. I per i giudizi ordinari, ma sempre con riferimento alle attività effettivamente svolte o richieste.
2. Il secondo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, addebitando al tribunale di non aver esaminato le molteplici contestazioni sollevate nell'atto di appello circa la spettanza dei diritti esposti in parcella. Anche tale motivo è infondato. Nel respingere le contestazioni sollevate in proposito dal ricorrente, il tribunale, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, ha chiaramente evidenziato che le richieste del difensore si riferivano ad attività non effettivamente compiute o non richieste dall'avv. N e che non era consentito "ampliare il novero delle prestazioni oltre quanto già ritenuto dalla sentenza appellata per infondatezza in fatto delle relative richieste ed in assenza di prova di una prestazione più articolata delle pura e semplice sostituzione, la quale, non poteva comunque risolversi nella mera presenza in udienza. Come detto, la pronuncia ha esplicitamente riconosciuto che la quantificazione del corrispettivo era stata correttamente effettuata sulla base della analitica ricognizione delle attività svolte, respingendo la domanda solo con riferimento alle voci tariffarie relative ad attività che ha ritenuto indimostrate. Sul punto la motivazione, per quanto sintetica, consente di individuare il percorso logico seguito dal giudice, senza palesare contraddizioni o illogicità manifeste o insuperabili, giustificando sul piano argomentativo la decisione assunta, considerato che lo scrutinio sulla motivazione è consentito, quale violazione dell'art. 132 c.p.c. ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., nei limiti di garanzia del minimo costituzionale e con esclusione del controllo sulla sufficienza della motivazione stessa (cfr., per tutte, Cass. s.u. 8053/2014). Le deduzioni del ricorrente circa lo svolgimento di un'attività ben più complessa o articolata si risolvono in una censura di merito, preclusa in cassazione.
3. Il terzo motivo denuncia - genericamente - violazione di legge per aver la sentenza liquidato le spese processuali in un importo superiore a quello oggetto della domanda. Il motivo è infondato. Il tribunale, disposta la compensazione delle spese di secondo grado in misura di ¼, ha quantificato l'importo residuo (pari a ¾), in € 2.095,88. Con la domanda riproposta in appello era stato chiesto il pagamento di un importo superiore ad € 1100,00, e quindi, ai sensi del D.M. 55/2014, correttamente il tribunale ha quantificato le spese in base ai valori tabellari medi dello scaglione per le cause di valore compreso tra€ 1100,01e 5200,00 (come si evince dai singoli importi riportati in sentenza), per attività di studio, introduzione, istruzione e discussione, con piena osservanza dei criteri legali, pur avendo riconosciuto un importo superiore al credito azionato. Tale importo non funge da limite inderogabile per la liquidazione delle spese, come si desume a contrario dall'art. 91, ultimo comma, c.p.c., norma invocabile solo nelle cause proposte dinanzi al giudice di pace nelle quali le parti possono stare in giudizio personalmente in considerazione del valore della domanda e, comunque, in nessun caso nei giudizi di appello (cfr. Cass. 9059/2021; Cass. 9556/2014; Cass. 29145/2017). In definitiva, al di fuori delle ipotesi cui si applica l'ultimo comma dell'art. 91 c.p.c., non sussiste il divieto di liquidare, a titolo di spese processuali, un importo superiore a quello oggetto di domanda, se giustificato dalla complessità della lite e delle questioni dibattute o dalla gravosità dell'impegno profuso dal difensore. Il ricorso è quindi respinto. Nulla sulle spese, non avendo i resistenti svolto difese. Si dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.