Il momento in cui il soggetto ha prestato la garanzia coincide con quello in cui egli acquista la qualità di debitore e dunque va considerato per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito.
Una banca proponeva azione revocatoria chiedendo al Tribunale di Viterbo di dichiarare inefficace l'atto con cui il convenuto aveva conferito in fondo patrimoniale le quote di alcuni beni immobili di sua proprietà per far fronte ai bisogni della famiglia. A sostegno della domanda, parte attrice esponeva di aver ottenuto un'ingiunzione nei...
Svolgimento del processo
1. L'U. Banca di Roma convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Viterbo, i coniugi A.S. e A.P. chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ., l'atto del 19 giugno 2008 col quale il marito aveva conferito in fondo patrimoniale, per fare fronte ai bisogni della loro famiglia, le quote di alcuni beni immobili di sua proprietà. A sostegno della domanda la Banca espose di essere creditrice della s.r.l. S. Elettrici, poi fallita, e di aver ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo (nel 2009) nei confronti del S., fideiussore della società, per la somma di euro 166.363,06. Si costituirono in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l'inefficacia dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale e condannò i convenuti al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dai coniugi soccombenti e la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 29 maggio 2019, ha dichiarato inammissibile il gravame, confermando la decisione del Tribunale e condannando gli appellanti al pagamento delle ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte di merito che l'unica censura contenuta nell'atto di appello era da ritenere inammissibile in quanto aveva introdotto un'eccezione mai avanzata in primo grado, e cioè se al momento del rilascio della fideiussione da parte del S. esistesse o meno l'apertura di credito in favore della società debitrice principale o se, viceversa, l'accreditamento fosse intervenuto 1n un momento successivo. Tale questione era da considerare nuova, in quanto dalla comparsa di risposta rinvenuta nel fascicolo d'ufficio di primo grado - unico atto disponibile, stante il mancato deposito, da parte degli appellanti, del fascicolo di parte relativo al giudizio di primo grado - emergeva che la sola contestazione era relativa alla sussistenza o meno del credito della Banca, sul presupposto che nel contratto di apertura di credito la banca diventi creditrice solo nel momento del passaggio ad insolvenza del contratto. D'altra parte, ha aggiunto la Corte d'appello, doveva ritenersi dimostrata la consapevolezza, da parte del S., del pregiudizio che l'atto di costituzione del fondo patrimoniale arrecava ai danni della parte creditrice.
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Roma ricorrono A.S. e A.P. con unico atto affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Fino S. s.r.l., la quale si era già costituita nel giudizio di appello in qualità di successore a titolo particolare nel credito della Banca attrice. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e la controricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 99 e 112 cod. proc. civ., sul rilievo che la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere il gravame inammissibile. Hanno osservato i ricorrenti di aver già dedotto in primo grado la questione del mancato accertamento dell'insorgenza del credito bancario anteriormente alla stipulazione dell'atto dispositivo, tanto che il Tribunale aveva fornito una sua risposta su questo punto. Essendo, quindi, a carico di chi agisce in revocatoria l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per il suo esercizio, la sentenza sarebbe errata nella parte in cui non ha compiuto tale accertamento.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo relativo al momento di insorgenza del credito e della sàentia damni. Sostengono i ricorrenti che la sentenza non avrebbe considerato un punto decisivo, e cioè la contestazione della sentenza di primo grado che aveva fatto coincidere il momento di rilascio della garanzia fideiussoria con l'insorgenza del credito, da ciò deducendo in modo arbitrario l'esistenza della sàentia damni. La decisione di inammissibilità avrebbe lasciato intatta l'omissione contenuta nella sentenza di primo grado, ossia non avrebbe stabilito in quale momento fosse sorto il credito garantito, «se prima o dopo l'atto dispositivo oggetto di revocatoria».
3. I due motivi, da trattare congiuntamente 1n considerazione dell'evidente connessione tra loro esistente, non sono fondati.
3.1. Giova premettere che questa Corte, con insegnamento costante, ha affermato che l'azione revocatoria ordinaria (rimedio funzionale alla ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore) presuppone, per la sua legittima esperibilità, la sola esistenza di un debito, e non anche la concreta esigibilità di esso (potendo essere esperita, nel concorso con gli altri requisiti di legge, anche per crediti condizionali, non scaduti o soltanto eventuali). Ne consegue che, con riguardo alla posizione del fideiussore (i cui atti dispositivi sono senz'altro assoggettabili, al pari di quelli del debitore principale, al rimedio de quo), l'acquisto della qualità del debitore nei confronti del creditore risale al momento della nascita stessa del credito (e non anche a quello della scadenza dell'obbligazione del debitore principale), sì che è a tale momento che occorre far riferimento al fine di stabilire se l'atto pregiudizievole (nella specie, costituzione di un fondo patrimoniale) sia anteriore o successivo al sorgere del credito, onde predicare, conseguentemente, la necessità o meno della prova della c.d. dolosa preordinazione (sentenze 22 gennaio 1999, n. 591, 15 febbraio 2011, n. 3676, ordinanza 9 ottobre 2015, n. 20376). È stato parimenti affermato che, concessa fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale connesse all'apertura di credito regolata in conto corrente, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla detta apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti all'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901, n. 1), prima parte, cod. civ., in base al mero requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (sàentia damni) ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento, giacché l'insorgenza del credito deve essere apprezzata con riferimento al momento dell'accreditamento e non a quello, eventualmente successivo, dell'effettivo prelievo da parte del debitore principale della somma messa a sua disposizione (ordinanza 3 giugno 2020, n. 10522).
3.2. Ciò premesso, la Corte osserva che la sentenza impugnata, pur essendo formalmente una pronuncia di inammissibilità, è nella sostanza una pronuncia di rigetto, perché conferma la decisione di primo grado della quale riporta ampi passaggi, aggiungendo che nessun dubbio poteva sussistere 1n ordine all'esistenza del credito nel momento in cui fu costituito il fondo patrimoniale. Rileva il Collegio che il fulcro delle censure risiede nell'affermazione secondo cui la sentenza impugnata non avrebbe indicato se il credito esistesse o meno nel momento in cui avvenne la costituzione del fondo patrimoniale, con particolare riferimento al contratto di apertura di credito. Dagli atti di causa e dalla sentenza è peraltro pacifico che il S. era fideiussore della società debitrice, ma il ricorso non indica in quale data la fideiussione fu prestata. Consegue da ciò che, pacifica essendo la natura di atto a titolo gratuito in relazione alla costituzione del fondo patrimoniale, poiché non è in discussione che tale costituzione sia avvenuta dopo la sottoscrizione dell'atto di fideiussione, i rilievi dei quali i ricorrenti lamentano il mancato esame non sono comunque decisivi. Non ha importanza, infatti, stabilire se, data la natura del contratto di apertura di credito, esso fosse da considerare già "in sofferenza" o meno nel momento in cui fu costituito il fondo patrimoniale; la somma, infatti, era comunque a disposizione della società poi fallita, e nessuna contestazione c'è nel ricorso in ordine alla sicura presenza della consapevolezza dei ricorrenti di arrecare pregiudizio alle ragioni dei creditori. Non sussistono, perciò, né la lamentata violazione di legge né la presunta omissione.
4. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 1O marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 6.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.