Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza in commento, dichiarando inammissibile il ricorso con cui era stata sollevata l'eccezione di illegittimità costituzionale delle interdittive antimafia adottate dall'autorità amministrativa.
Il Consiglio di Stato confermava l'ordinanza del TAR Abruzzo che aveva rigettato la domanda cautelare di sospensione dell'esecuzione di un provvedimento concernente l'informazione antimafia avente ad oggetto le infiltrazioni della malavita organizzata nell'ambito di una società di costruzioni, disponendo l'interruzione dei lavori.
La società propone...
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato il Consiglio di Stato confermava l'ordinanza del TAR Abruzzo, che aveva rigettato la domanda cautelare di sospensione dell'esecuzione del provvedimento emesso in data 15/07/2020 n. 367070 dalla Prefettura de L'Aquila, Ufficio Territoriale del Governo, concernente l'informazione antimafia avente ad oggetto le infiltrazioni della malavita organizzata nell'ambito della W. Costruzioni Generali s.r.l., a seguito della quale l'ATER L'Aquila aveva esercitato il diritto di recesso dal contratto di appalto stipulato in data 17/12/2019, disponendo l'interruzione dei lavori.
2. W. Costruzioni Generali s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. N.M., ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to A.C. ed avv.to M.L., articolando sette motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
2.1 eccezione di illegittimità costituzionale delle interdittive antimafia adottate dall'autorità amministrativa, ex art. 84, comma 3, d. lgs. 159/2011, in riferimento agli artt. 13 e 111 della Costituzione: va considerato il carattere immediatamente precettivo dell'art. 111 Costituzione e la competenza assoluta ed esclusiva della Cassazione in tema di libertà personale, rilevando come le interdittive antimafia colpiscano la libertà negoziale di un soggetto a seguito di un giudizio di disvalore, con conseguente perdita della capacità negoziale nei confronti della P.A., il che determina una compromissione della dignità personale, della sfera patrimoniale del soggetto e della sua attività imprenditoriale, con conseguente applicabilità degli artt. 311 e 325 cod. proc. pen.; peraltro, la previsione di cui all'art. 84, comma 3, d. lgs. 159/2011 risulta del tutto generica ed indeterminata, in violazione del principio della riserva di legge, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n 57 del 2020; inoltre, la violazione dell'art. 13 della Costituzione si apprezza anche per il mancato intervento dell'Autorità giurisdizionale nell'emanazione di tali misure, in violazione del principio del contraddittorio;
2.2 eccezione di illegittimità costituzionale delle interdittive antimafia adottate dall'autorità amministrativa, ex art. 84, comma 3, d. lgs. 159/2011, con l'art.103 della Costituzione in relazione all'assetto giurisdizionale a seguito dell'assegnazione ad un'autorità amministrativa del potere di incidere su valori quali la dignità sociale e la libertà di iniziativa economica, che non possono essere degradati ad interessi legittimi, come peraltro confermato dall’art. 6 CEDU e dall'art. 47 CDFUE, oltre che dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale;
2.3 eccezione di illegittimità costituzionale delle interdittive antimafia adottate dall'autorità amministrativa, ex art. 84, comma 3, d. lgs. 159/2011, con l'art. 3 della Costituzione, in quanto l'assetto della disciplina effettuato dal d. lgs. 159 del 2011 ha giurisdizionalizzato anche le misure di prevenzione patrimoniali, rispetto alle quali il procedimento amministrativo di cui agli artt. 84 e 91 d. lgs. citato, nonché i provvedimenti di cui all'art. 32 d.l. n. 90/2014, convertito in I. 114/2014, raggiungono risultati assai simili al sequestro di un'azienda, senza le garanzie del processo;
2.4 violazione di legge, in relazione agli artt. 111 Costituzione, 2, 7, 8 I. 241/1990, 41 CDFUE, 93, commi 4 e 7, d l.gs. 159/2011, e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione alla violazione del diritto al contraddittorio nell'ambito del procedimento svoltosi innanzi al TAR ed al Consiglio di Stato, in violazione anche dei principi comunitari (art. 6 CEDU), in assenza di cause di particolare celerità, posto che il procedimento in questione è cominciato agli inizi del 2020; che anche le misure patrimoniali di prevenzione, analoghe, quanto agli effetti, alla misura in esame, vengono applicate all'esito del contraddittorio; che la stessa Corte EDU ha ribadito il principio della pubblicità delle udienze; peraltro, la disapplicazione dell'art. 93 d. lgs. 159/2011 è stato stigmatizzato dallo stesso Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4979 del 10/08/2020, apparendo decisiva la partecipazione dell'interessato ad un procedimento volto alla preservazione dell'attività economica da infiltrazioni mafiose, proprio per raccogliere tutti gli elementi necessari; su tali aspetti il provvedimento del TAR e quello del Consiglio di Stato non hanno in alcun modo argomentato;
2.5 violazione di legge, in relazione agli artt. 93 d l.gs. 159/2011 e 3 I. 241/1990, ai sensi dell'art. 606, lett. b) cod. proc. pen., in relazione alle censure avverso l'informazione antimafia interdittiva impugnata e poste a base del ricorso introduttivo, delle successive memorie e dell'appello cautelare; si era, in particolare, lamentata la violazione degli artt. 84, 91 e 93 d. lgs. 15/2011, essendo stato il provvedimento adottato senza alcuna cognizione, da parte del ricorrente, dei documenti citati nell'informativa antimafia ed avendo il GIA di L'Aquila utilizzato informazioni incomplete; l'intero provvedimento, inoltre, è meramente assertivo, privo di spiegazione circa il contenuto della affermata contiguità mafiosa - come analiticamente illustrato in ricorso alla luce dell'analisi degli elementi a carico della C. Costruzioni s.r.l., dell'ing. M.S. e del sig. D.B. -, oltre che affetto da travisamento del fatto ed adottato, quindi, in maniera arbitraria;
2.6 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., avendo l'ordinanza del TAR eluso ogni controllo sull'attività amministrativa, omettendo anche di rispondere alle richieste istruttorie;
2.7 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., avendo l'ordinanza del Consiglio di Stato motivato in maniera del tutto apparente.
Motivi della decisione
Il ricorso di W. Costruzioni Generali s.r.l. è inammissibile. Come condivisibilmente osservato dal Procuratore Generale, questa Corte regolatrice ha più volte evidenziato che la valutazione circa l'illegittimità delle misure interdittive antimafia adottate dal Prefetto sia riservata alla competenza della giustizia amministrativa in sede di ricorso giurisdizionale (Sez. 2, n. 18564 del 13/02/2019, Consorzio Sociale C. società cooperativa sociale, Rv. 275419, in cui è stato affermato che "In materia di misure di prevenzione, il provvedimento di rigetto della richiesta di controllo giudiziario formulata dall'impresa destinataria dell'informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n.159 del 2011, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 127, comma 7, cod. proc. pen., il cui oggetto può concernere esclusivamente la ricorrenza di eventuali illegittimità del procedimento ex art. 34-bis d.lgs. citato, ovvero l'errata valutazione dei presupposti di legge per ammettere il controllo giudiziario, e non anche l'illegittimità delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto, la cui valutazione resta riservata alla competenza della giustizia amministrativa in sede di ricorso giurisdizionale"). Detto orientamento ermeneutico ha trovato conferma nella sentenza n. 57 del 2020 della Corte costituzionale, la quale, seppur in tema di questione diversa da quella in esame, ha espresso considerazioni significative anche per il caso che occupa, ribadendo la piena legittimità costituzionale di un sistema - quale quello dell'informativa antimafia, di cui agli artt. 84 e 91 d.lgs. 159/2011 - affidato alla giustizia amministrativa. In particolare, osserva la Consulta, il fenomeno mafioso è stato oggetto - specie negli ultimi tempi - di una ricca e sistematica giurisprudenza amministrativa, da cui è emerso un quadro preoccupante, "non solo per le dimensioni, ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e, in particolare ed in primo luogo, per la sua pericolosità connessa alla costante e crescente capacità di penetrazione della criminalità organizzata nell'economia." Difatti "la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell'attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana". Ed è proprio alla luce di questi rilievi - prosegue la Corte costituzionale - che va valutata la scelta di affidare all'autorità amministrativa questa misura, che pure si caratterizza per la sua particolare gravità: "quello che si chiede alle autorità amministrative non è di 'colpire' pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori affidati all'autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento. Èin questa prospettiva anticipatoria che si colloca il provvedimento interdittivo, al quale, infatti, viene riconosciuta dalla giurisprudenza natura «cautelare e preventiva» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3) perché comporta un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa". Sulla base di tali premesse ed alla luce di un articolato excursus, la Consulta ha escluso che possano sussistere profili di incostituzionalità laddove il "pericolo di infiltrazione mafiosa" emerga "da una motivazione accurata", che ne offra un "quadro chiaro, completo e convincente"; ciò anche in ragione del fatto che dette valutazioni sono "sì, discrezionali, ma dalla forte componente tecnica" e sono comunque "soggette ad un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo", all'esito di "un esame sostanzia/e degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza". Pertanto, la Corte Costituzionale ha escluso la sussistenza di dubbi di costituzionalità "in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà di impresa che ne deriva". In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, ha affermato che "la risposta amministrativa non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo il fenomeno mafioso", osservando pure come "in questa valutazione complessiva dell'istituto un ruolo particolarmente rilevante assume il carattere provvisorio della misura (...) secondo il quale l'informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, cosicché alla scadenza del termine occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell'interdittiva, con l'effetto, in caso di conclusione positiva, della reiscrizione nell'albo delle imprese artigiane, nella specie, e in generale del recupero dell'impresa al mercato". Quanto, poi, alle altre caratteristiche del provvedimento, esse neppure sono state ritenute tali da pregiudicarne la costituzionalità: "non anzitutto la sua efficacia immediata, che, all'evidenza, è connaturata ai provvedimenti amministrativi, e a cui comunque si può porre rimedio in sede giurisdizionale con una pressoché immediata sospensione nella fase cautelare." Ne discende come la Corte costituzionale abbia riconosciutola la piena legittimità dell'azione amministrativa nel sistema dell'informazione antimafia, dal che non può che conseguire, in questa sede, un giudizio di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, oltre che di inammissibilità del ricorso, rispetto al quale non ricorrono i presupposti di azionabilità dell'art. 111, comma settimo, Costituzione. Sotto tale ultimo profilo, occorre dare atto, altresì, dell'interpretazione estensiva che questa Corte, in sede civile, ha più volte attribuito all'art. 111 comma 7 Costituzione, per cui "il ricorso straordinario è dato non già avverso le sole sentenze, intendendo con ciò i provvedimenti ai quali il legislatore attribuisce detta forma, bensì contro tutti i provvedimenti, ivi compresi le ordinanze ed i decreti, simultaneamente caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (c.d. sentenze in senso sostanziale)" (Cass. civ, Sez. 1, n. 22122 del 11/09/2018, Rv. 650401); decisorietà intesa nel senso dell'incidenza su diritti o status; definitività, in quanto viga, all'esito, la regola del giudicato, quale situazione in cui l'accertamento giudiziale e l'attribuzione dei beni della vita non possano più essere rimessi in discussione in nessun modo ed a nessuna condizione, o, più in generale, quando manchi un rimedio impugnatorio ed il provvedimento non sia modificabile/revocabile ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso. Nondimeno, alla stregua di quanto evidenziato dalla pronuncia della Corte costituzionale in precedenza richiamata, appare di tutta evidenza come difetti, nel caso di specie, il requisito della "definitività", stante il "carattere provvisorio" dell'informativa antimafia. Anche sotto tale profilo, dunque, il ricorso si rivela manifestamente infondato. Dall'inammissibilità del ricorso discende la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.