La Cassazione pone l'accento sulla prova della simulazione di una compravendita immobiliare e sul fatto che con la confessione non può ritenersi provato il valido perfezionamento del negozio dissimulato che esige la forma scritta ad substantiam.
L'attrice vendeva insieme al proprio coniuge un appartamento alla società cooperativa della quale quest'ultimo era stato amministratore, convenendo in giudizio l'acquirente poiché non aveva mai corrisposto il prezzo pattuito, rivelandosi la dichiarazione di quietanza contenuta nel rogito simulata. Per questa ragione, la donna chiedeva la risoluzione del contratto per...
Svolgimento del processo
N.G. ha adito il tribunale di La Spezia, esponendo, che unitamente al proprio coniuge L.B., aveva venduto alla T. s.c.r.l., l’appartamento sito in via (omissis) di La Spezia, con annesse cantina e autorimessa, per il corrispettivo di £. 300.000.000; che la dichiarazione di quietanza contenuta nel rogito era simulata, non avendo l’acquirente mai corrisposto il prezzo di vendita. Ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento, con condanna della convenuta alla restituzione di £. 150.000.000, al risarcimento del danno, con attribuzione delle spese processuali. Si è costituita la T. s.c.r.l., eccependo di non essere tenuta ad alcun pagamento in denaro, avendo le parti inteso concludere una datio in solutum, volendo che la proprietà dell’immobile si trasferisse alla società dietro rinuncia di quest’ultima a richiedere il rimborso di somme di cui L.B. si era illegittimamente appropriato nel periodo in cui aveva ricoperto la carica di amministratore della cooperativa (per un importo di £. 545.610.749). Ha chiesto di respingere la domanda e di regolare le spese. Il tribunale ha respinto la domanda, rilevando che nel rogito di vendita era stata rilasciata un’ampia quietanza liberatoria, con dichiarazione avente valore confessorio, impugnabile solo per violenza o errore di fatto. La pronuncia è stata confermata in appello. Successivamente, con sentenza n. 23971/2013, questa Corte ha cassato con rinvio la decisione di secondo grado, rilevando che “la Cooperativa aveva sempre ammesso che il pagamento della compravendita non era mai avvenuto, deducendo — senza però provarla - una simulazione relativa, ossia che l'atto pubblico in realtà dissimulava sotto l'apparenza della compravendita una datio in solutum di terzi”. La confessione stragiudiziale consistente nella dichiarazione di quietanza, pur non potendo essere superata con prove per testimoni o presunzioni, poteva esserlo per effetto di confessione e nella specie era stata superata da "un'altra confessione", in qualche modo di segno opposto: quella resa dal legale rappresentante della Cooperativa (in sede d'interrogatorio formale), che aveva ammesso che non era stata corrisposta alla G. la somma menzionata nell'atto di compravendita”. Non era lecito trascurare che la dichiarazione con cui il B. aveva precisato che la Cooperativa nulla aveva corrisposto alla sig.ra G. e l'intera difesa della cooperativa confermavano che la controparte aveva confessato e ribadito più volte che quanto si affermava nella quietanza, ossia che il prezzo dell'immobile era stato corrisposto, non corrispondeva a realtà". Il giudice del rinvio avrebbe dovuto – pertanto - valutare queste circostanze in modo unitario e globale (tenendo conto segnatamente, che il prezzo in realtà non era stato mai corrisposto), al fine di potere stabilire se il mancato pagamento del prezzo configurasse o meno inadempimento contrattuale della Cooperativa oppure datio in solutum. Il giudizio è stato riassunto dinanzi alla Corte territoriale di Genova che, all’esito, ha confermato la pronuncia di appello, ritenendo che le parti avessero perfezionato una datio in solutum. Non vi era dubbio, secondo la pronuncia, che la ricorrente aveva inteso trasferire l’immobile alla cooperativa per ottenere l'estinzione, seppure parziale, dei debiti del marito. Tale contratto solutorio si configurava come autonomo, seppure collegato al rapporto originario tra creditore e debitore, e si era perfezionato con il consenso della cooperativa e della G., consapevole degli ammanchi effettuati dal marito, avendolo coadiuvato nella tenuta della contabilità. Secondo il giudice distrettuale, le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società dell'epoca, B. G., dovevano esser lette nella loro completezza e quindi, non solo nella parte in cui questi aveva ammesso che nulla era stato corrisposto alla signora G., ma anche nella parte in cui aveva affermato che ciò era dipeso dal fatto che nessuna somma doveva essere corrisposta a titolo di prezzo, poiché la ricorrente si era resa “disponibile a rifondere il danno subito dalla cooperativa”. Quindi, configurandosi un datio in solutum e non uno scambio tra la proprietà dell’immobile ed un corrispettivo in denaro, la cooperativa non era tenuta ad alcun pagamento e non poteva considerarsi inadempiente, con conseguente infondatezza dell’azione di risoluzione contrattuale. La cassazione della sentenza è chiesta da N.G. con ricorso in sette motivi. La T. s.c.r.l. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. È precluso in questo giudizio ogni rilievo in merito all’integrità del contraddittorio (per la mancata partecipazione alla causa, in qualità di parte processuale, anche del coniuge della ricorrente, che ha stipulato il negozio di vendita oggetto della domanda di risoluzione), essendo impugnata una pronuncia del giudice del rinvio senza che la questione sia stata rilevata nel precedente giudizio di legittimità. Deve perciò presumersi che il contraddittorio sia stato ritenuto integro in quella sede, con la conseguenza che unici litisconsorti del giudizio di rinvio e del presente giudizio di legittimità sono coloro che erano stati parte nel primo giudizio davanti alla Corte di cassazione (Cass. 5061/2007; Cass. 6384/2001; Cass. 21096/2017).
2. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1414 c.c. , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto perfezionata una datio in solutum senza accertare e dichiarare la simulazione relativa della compravendita immobiliare, pur essendo tale accertamento un antecedente logico imprescindibile della decisione. Si sostiene che, non essendo provata la simulazione relativa della vendita la società risultava inadempiente, permanendo l’obbligo di pagamento del prezzo derivante dal contratto. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1417 c.c. e 2725 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 c.p.c., sostenendo che la prova che la vendita dissimulasse una datio in solutum doveva esser data per iscritto, non essendo ammissibile il ricorso alle testimonianze, l’impiego di presunzioni e la stessa confessione giudiziale, inidonea a supplire alla mancanza della forma scritta ad substantiam richiesta per la validità del negozio dissimulato. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c., per non aver la sentenza pronunciato sulla domanda di rimborso delle spese processuali di primo e secondo grado, formulata nel giudizio di rinvio. La Corte di merito avrebbe – in particolare - disposto il pagamento delle spese di appello che la G. aveva già corrisposto in ottemperanza alla sentenza del tribunale. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1197 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sostenendo che, per aversi datio in solutum occorreva uno specifico accordo tra debitore e creditore in ordine alla diversa prestazione dovuta, accordo che non si era mai perfezionato tra le parti, come era ampiamente emerso dalle acquisizioni processuali. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1180 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che – con il trasferimento dell’immobile – la ricorrente avesse inteso estinguere un debito del marito, occorrendo una specifica manifestazione di volontà del solvens diretta a tale scopo, dichiarazione di cui non vi era alcuna prova, non essendo emerso che la G. fosse effettivamente consapevole degli ammanchi effettuati dal coniuge. Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c.. Secondo la ricorrente, le dichiarazioni dell’amministratore della Cooperativa non potevano avere valenza confessoria riguardo alle circostanze non favorevoli al confitente (ed in particolare riguardo al fatto che la G. si fosse resa disponibile ad estinguere il debito del marito e a trasferire, a tale scopo, una quota del proprio immobile, nonché in ordine alla circostanza che la Cooperativa avesse inteso accettare il trasferimento, rinunciando parzialmente al rimborso degli ammanchi di cassa), non essendo stati presi in considerazione gli elementi documentali (quali le risultanze del bilancio della società) che comprovavano la volontà della società di acquistare la proprietà dell’immobile dietro versamento di un corrispettivo pecuniario. Il settimo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., lamentando che la Corte abbia ritenuto dimostrata la sussistenza del debito del B., coniuge della ricorrente, sulla base di una dichiarazione, resa da quest’ultimo, in data 3.7.1995, non proveniente dalla ricorrente e quindi priva di valenza probatoria, essendo comunque confutata dalle risultanze del bilancio e dal fatto che il B. non operava sui conti della società.
3. Per ragioni di ordine logico deve valutarsi preliminarmente il secondo motivo di ricorso, che è fondato per le ragioni che seguono. La censura va anzitutto dichiarata ammissibile, poiché solleva critiche puntuali ed argomentate alla sentenza di appello riguardo alla possibilità – in diritto - di ritenere provata la simulazione relativa del contratto di vendita immobiliare sulla base delle dichiarazioni confessorie dell’amministratore della controricorrente, pur in assenza di requisiti formali, imposti a pena di nullità, del contratto dissimulato.
3.1. Nel merito è indubbio che le parti avessero formalmente concluso un contratto di vendita immobiliare, fissando un prezzo complessivo di £. 300.000.000. L’atto conteneva una dichiarazione di quietanza che – secondo la G.- doveva reputarsi simulata, non avendo l’acquirente versato alcun corrispettivo. La domanda di risoluzione, basata sul mancato pagamento del prezzo, era stata respinta sul rilievo che la quietanza, avendo valore confessorio, era impugnabile solo per violenza o errore di fatto, assunto che però – come ha posto in luce la pronuncia di legittimità n. 23971/2013 – trascurava che la "confessione stragiudiziale", contenuta nel rogito, era stata superata da "un'altra confessione" in qualche modo di segno opposto: quella resa dal legale rappresentante della Cooperativa (in sede d'interrogatorio formale) che aveva ammesso che non era stata corrisposta alla G. la somma menzionata nell'atto di compravendita, poiché il trasferimento era stato disposto in cambio dell’estinzione di taluni debiti del coniuge della venditrice. Occorreva quindi valutare, nel successivo giudizio di rinvio, queste circostanze in modo unitario e globale (tenendo conto segnatamente, che il prezzo in realtà non era stato mai corrisposto), al fine di potere stabilire se il mancato pagamento del prezzo configurasse o meno inadempimento contrattuale della Cooperativa oppure datio in solutum”. La Corte distrettuale, stabilendo che le parti avevano inteso realizzare non lo scambio tra la proprietà ed un corrispettivo pecuniario, ma una datio in solutum e quindi un trasferimento con finalità solutoria (senza previsione di un corrispettivo pecuniario), non si è interrogato sulla possibilità di ritenere provata – e di conseguenza valida ed efficace tra le parti – tale fattispecie negoziale in base alle sole dichiarazioni confessorie dell’amministratore della cooperativa resistente. È opportuno premettere che la "datio in solutum", costituendo un contratto a titolo oneroso solutorio-liberatorio, che estingue l'obbligazione in modo satisfattivo, è assoggettata alla disciplina generale dei contratti, con la conseguenza che deve essere rispettata la forma che attiene alla natura della prestazione oggetto di dazione (Cass. 17810/2021, secondo cui è soggetto alla forma scritta ad substantiam anche il patto modificativo di un contratto di alienazione immobiliare con cui le parti abbiano sostituto ad un originario trasferimento immobiliare la consegna di somme di denaro; analogamente, nel senso che solo le modifiche dei contratti formali che non investano gli elementi essenziali del negozio, ma ad es. prevedano modifiche alle modalità di adempimento, non richiedano la formalizzazione scritta: Cass. 2268/1980; Cass. 5290/1982; Cass. 6990/1986; Cass. 13703/2005; Cass. 419/2006; 525/2020). È altresì noto che l’art. 1414 c.c. vuole che tra le parti non produca effetto il contratto simulato ma che abbia effetto il contratto dissimulato purché ne sussistano i requisiti di forma e di sostanza. Nella specie, quindi, essendo stato concepito un trasferimento immobiliare in funzione solutoria, la datio in solutum, quale negozio dissimulato, era sottoposto alla forma scritta a pena di invalidità (art. 1350 c.c.). Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di prova della simulazione di una compravendita immobiliare, la mancanza della controdichiarazione osta all'ammissibilità dell'interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non può supplire al difetto dell'atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto; viceversa, ove sia diretto a dimostrare la simulazione assoluta del contratto, l'interrogatorio formale è ammissibile, anche tra i contraenti, perché, in tal caso, oggetto del mezzo di prova è l'inesistenza stessa della compravendita (Cass. 6262/2017; Cass. 4071/2008). Più in particolare, per il disposto dell'art. 1417 c.c., le limitazioni di prova della simulazione per i contraenti concernono la prova per testimoni e quella per presunzioni (sempreché non si tratti di far valere l'illiceità del contratto dissimulato, nel qual caso la prova anzidetta è ammessa senza limiti). L'anzidetta limitazione probatoria non osta, invece, all'ammissibilità dell'interrogatorio formale, in quanto diretto a provocare la confessione giudiziale del soggetto cui è deferito, ad eccezione del caso in cui si tratti di contratto per il quale sia richiesta la forma scritta "ad substantiam" (e sempre che si tratti simulazione relativa, poiché quella assoluta non incontra limiti di prova: Cass. 13584/1991; Cass. 954/1995; Cass. 3869/2004; Cass. 19435/2008; Cass. 10240/2007; Cass.21822/2010). La confessione era quindi utilizzabile per superare la dichiarazione di quietanza, ma non anche per ritenere provato il valido perfezionamento del negozio dissimulato, che, in quanto sottoposto alla forma scritta a pena di validità, doveva risultare per iscritto, non potendo la confessione supplire alla carenza del requisito formale (Cass. 7861/1990; Cass. 13984/1991; Cass.2906/2001; Cass. 4071/2008). Né si può sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato, mancando la formalizzazione scritta di un elemento essenziale dello scambio (la controprestazione del trasferimento della proprietà immobiliare: sul punto Cass. s.u. 7246/2007). Il giudice del rinvio, pur dovendo stabilire se le dichiarazioni confessorie dessero prova della sussistenza di un mero inadempimento o di una datio in solutum (così come stabilito dalla pronuncia di legittimità n. 23971/2013), nel vagliare tale alternativa, non poteva prescindere dall’osservanza dei limiti - operanti nel caso concreto - per la prova della simulazione relativa, né trascurare la necessità che il contratto dissimulato risultasse per iscritto, essendo tale requisito imposto per la validità. Nessun giudicato sull’esistenza della simulazione poteva ritenersi formato nei precedenti gradi di merito, essendosi discusso – sia in primo grado che in appello - della simulazione della sola quietanza di pagamento e non dell’intero contratto di vendita, in quanto dissimulante una datio in solutum. È inoltre inconferente l’eccezione sollevata a pag. 18 del controricorso, riguardo al fatto che la G., non avendo sollevato alcuna eccezione di inammissibilità della prova per testi volta a dimostrare che la ricorrente fosse consapevole della sottrazione di denaro effettuata dal coniuge, non potrebbe censurare in questa sede l’accertamento della simulazione del contratto effettuata dal giudice del rinvio. Dallo stesso capitolo di prova trascritto in ricorso si evince che la prova testimoniale era finalizzata a provare solo che la G. fosse consapevole delle distrazioni di denaro poste in essere dal marito ai danni della società resistente, mentre è indiscutibile che la simulazione relativa del contratto – in quanto dissimulante un datio in solutum - sia stata accertata sulla base delle sole dichiarazioni confessorie dell’amministratore della T. s.c.r.l., valutate nel loro complesso (cfr. sentenza, pag. 8), tale essendo anche il compito che la sentenza di legittimità aveva devoluto al giudice del rinvio. Sussiste – per tali ragioni - l’errore denunciato. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta assorbimento di tutte le altre censure. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.