Il trasferimento fraudolento di valori costituisce un reato di pericolo astratto per il quale è sufficiente ai fini della commissione che l'agente, sottoposto o sottoponibile a misura di prevenzione, compia un negozio giuridico allo scopo di eludere le norme sulle misure di prevenzione patrimoniali.
La Corte d'Appello di Palermo confermava la decisione con la quale il Giudice di prime cure aveva condannato l'imputato poiché, allo scopo di eludere le norme in tema di misure di prevenzione personale, aveva fittiziamente attribuito la titolarità di un'attività commerciale prima alla figlia della moglie e poi alla nuora, entrambe prive di risorse...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 17 settembre 2020 la Corte di appello di Palermo confermava la decisione con il quale il primo giudice, ad esito del giudizio abbreviato, aveva condannato G.B. (e S.R., non ricorrente) alla pena di due anni di reclusione per il reato previsto dagli art. 110, 81, secondo comma, cod. pen., 12-quinquies decreto-legge n. 8 giugno 1992, n.306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356 (ora art. 512-bis cod. pen.). Secondo l'ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito, G.B., al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione personale, aveva fittiziamente attribuito la titolarità di un'attività commerciale prima a S.R. (figlia della propria moglie) e poi a C.R. (nuora), prive di risorse finanziarie.
2. Ha proposto ricorso G.B., a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza per violazione di legge e vizio motivazionale sotto diversi profili.
2.1. Con il primo motivo la difesa lamenta violazione del diritto di difesa, non avendo il Procuratore generale concordato la pena in appello, disattendendo la proposta dell'imputato. La Corte territoriale, poi, non ha considerato una serie di circostanze, fra le quali assume particolare rilievo quella della mancata conoscenza da parte del ricorrente delle indagini a suo carico, quando fu effettuato il trasferimento dell'attività nel marzo del 2013: egli fu arrestato solo ad ottobre dello stesso anno e la proposta del Pubblico Ministero nel procedimento di prevenzione fu depositata il 13 ottobre 2014, in epoca lontana dalla cessione, circostanza che rileva anche sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale, in assenza di motivazione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici e manifestamente infondati.
2. Va rilevato, in primo luogo, che non si è verificata nel giudizio di appello alcuna lesione dei diritti della difesa, considerato che l'art. 599-bis, comma 1, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 1, comma 56, legge 23 giugno 2017, n. 103, stabilisce che la Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall'articolo 589, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull'accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l'accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l'imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d'accordo. Evidentemente, non vi è alcun obbligo in capo all'accusa di concordare sull'accoglimento di alcuni motivi di appello o sulla nuova determinazione della pena (peraltro, nel caso di specie, neppure sono stati indicati i termini della proposta sulla quale sarebbe stato espresso il dissenso).
3. Il ricorrente, poi, non si è confrontato con le ampie argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per confermare la sussistenza del reato ora previsto dall'art. 512-bis cod. pen., avuto riguardo a plurime circostanze: la ricorrenza dei presupposti della presunzione prevista dall'art. 26 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la totale assenza di risorse finanziarie in capo a S.R. e a C.R.; la diversa attività lavorativa svolta da S.R., in un negozio di calzature; la pendenza di un procedimento per il reato ex art. 416- bis cod. pen., sfociato nell'arresto di G.B. avvenuto nell'ottobre 2013, a distanza di pochi mesi dal formale trasferimento del supermercato. La fondamentale doglianza proposta nel ricorso, relativa alla mancata conoscenza in capo all'imputato delle indagini in corso nei suoi confronti e all'epoca posteriore in cui fu avviato il procedimento di prevenzione (nell'ambito del quale, nel novembre 2014, fu sottoposto a sequestro proprio la medesima azienda), contrasta con principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità. Infatti, il delitto di trasferimento fraudolento di valori è un reato di pericolo astratto, essendo sufficiente, per la sua commissione, che l'agente, sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione, compia un qualsiasi negozio giuridico al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali; ne consegue che la valutazione circa il pericolo di elusione della misura va compiuta ex ante, su base parziale, ovvero, alla stregua delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili da un uomo medio in quella determinata situazione spazio-temporale (Sez. 2, n. 11881 del 06/03/2018, S., Rv. 272903; Sez. 2, n. 12871 del 09/03/2016, M., Rv. 266661). Per integrare il reato de quo, inoltre, è sufficiente l'accertamento dell'attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, senza che al giudice sia anche richiesto l'apprezzamento della concreta capacità elusiva dell'operazione patrimoniale accertata, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato; inoltre la configurabilità del reato non è preclusa dal fatto che i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, per il quale l'art. 26, comma 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011, prevede presunzioni d'interposizione fittizia destinate a favorire l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali antimafia (Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, A., Rv. 270087; Sez. 6, n. 22568 del 22/04/2017, F., Rv. 270035; Sez. 2, n. 7999 del 01/02/2017, G., Rv. 269545; Sez. 5, n. 40278 del 06/04/2016, C., Rv. 268200; Sez. 2, n. 13915 del 09/12/2015, dep. 2016, S., Rv. 266386). Detti principi hanno riflessi anche in ordine alla verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, pacificamente connotato dal dolo specifico (ex plurimis cfr. Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, C., Rv. 276199 nonché Sez. 6, n. 49832 del 19/04/2018, M., Rv. 274286), correttamente effettuata dalla Corte territoriale. Il giudice di merito, infatti, si è attenuto al principio più volte affermato dalla Suprema Corte, obliterato dal ricorrente, secondo il quale, ai fini della integrazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori, «lo "scopo elusivo" che connota il dolo specifico prescinde dalla concreta possibilità dell'adozione di misure di prevenzione patrimoniali all'esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell'inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l'esito» (cosi Sez. 2, n. 2483 del 21/10/2014, dep. 2015, L., Rv. 261980; in senso conforme v., ad es., Sez. 2, n. 22954 del 28/03/2017, A., Rv. 270480; Sez. 5, n. 13083 del 28/02/2014, P., Rv. 262764; Sez. 6, n. 27666 del 04/07/2011, B.; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 38053 del 05/10/2021, V.R., Rv. 282129, in motivazione). Peraltro, la finalità elusiva delle misure di prevenzione patrimoniali, soprattutto laddove il relativo procedimento non sia stato ancora attivato, può essere accompagnata da finalità concorrenti, non necessariamente ed esclusivamente collegate alla impellente e urgente necessità di liberarsi dei beni in vista di una loro possibile ablazione (in questo senso v. Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, F., Rv. 277598 nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 4560 del 21/09/2021, dep. 2022, A., non mass.). In ogni caso, la Corte di appello ha espressamente evidenziato che sono "rimaste indimostrate le ragioni espresse dall'imputato B. per giustificare le cessioni del supermercato, ossia i suoi problemi economici e la necessità di ottenere crediti dalle banche, non essendo in alcun modo risultato né allegato che in ragione della titolarità acquisita, Rizzo Sabrina prima e Rizzo Caterina successivamente, avessero ottenuto dalla banche somme idonee a giustificare in capo alle stesse la prosecuzione dell'attivité1 economica in argomento" (pag. 6). Con queste precise argomentazioni il ricorrente non si è confrontato.
4. È privo di fondamento anche il motivo in ordine al trattamento sanzionatorio. La pena è già stata determinata in misura prossima al minimo edittale; inoltre, né nell'atto di appello - ove solo nelle conclusioni si fa un secco riferimento, quanto alle richieste subordinate, alle attenuanti generiche -né nel ricorso si allega un solo elemento idoneo a giustificare il riconoscimento delle suddette attenuanti, che non vanno intese come oggetto di benevola "concessione" da parte del giudice, nell'ambito del suo potere discrezionale, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell'art. 133 cod. pen.: «posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza» (così Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, L., Rv. 271315; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 35570 del 30/05/2017, D.L., Rv. 270694, nonché, di recente, Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, B., Rv. 276044, in motivazione).
5. Alla inammissibilità della impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di€ 3.000, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.