Il reato non si configura, infatti, quando il pubblico ufficiale agisce del tutto al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni oppure senza servirsi delle stesse o, ancora, quando la condotta sia soltanto occasionata dallo svolgimento delle sue funzioni.
La Corte d'Appello di Firenze confermava la sentenza con la quale il GUP aveva condannato l'imputato per il reato di abuso d'ufficio poiché egli, ricoprendo la carica di Presidente del Consiglio comunale, aveva violato il divieto di cui all'
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Prato, che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato G.R. per il reato di cui agli artt. 56, 110 e 323 cod. pen. Secondo l'ipotesi accusatoria, M.B., presidente del Consiglio comunale di Prato, violando l'art. 78, comma 5, d. lgs. n. 267 del 2000, che fa divieto ai consiglieri comunali di assumere consulenze presso enti o istituzioni dipendenti o sottoposti al controllo e alla vigilanza del Comune, e segnatamente assumendo l'incarico di consulente della ASM, società deputata alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti comunali, avrebbe, in concorso con il R., amministratore di fatto della società N. Consulting, e S.G., direttore generale della ASM, posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a procurarsi intenzionalmente un ingiusto vantaggio economico, consistito nella erogazione da parte della suddetta azienda di un compenso economico per l'attività di consulenza svolta (fatto commesso tra il febbraio e il luglio 2013). Era stato contestato in particolare al R. di aver concordato con il B. di emettere tre fatture intestate alla N. Consulting a titolo di compenso per l'attività di consulenza svolta, poi sostituite con altre, dopo i rilevi sollevati dalla azienda sulla regolarità dei titoli.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato di abuso di ufficio per la mancanza dell'elemento dello "svolgimento della funzione". Con l'appello la difesa aveva dedotto che non era riconducibile la condotta abusiva contestata all'intraneus (il B.) alla sfera delle sue funzioni pubbliche. Il solo fatto di aver accettato l'incarico di consulenza in violazione dell'art. 78, comma 5, d. lgs. n. 267 del 2000 non veniva ad integrare infatti per il pubblico ufficiale lo sfruttamento della sua carica pubblica. La sentenza di appello ha eluso questo tema, ritenendo sufficiente che il pubblico ufficiale tragga profitto dalla carica amministrativa ricoperta all'interno del Comune. Nella specie, il B. ha agito del tutto al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni e la norma violata presidia un'area esterna alla funzione pubblica svolta dal consigliere comunale e mira a prevenire potenziali conflitti di interessi e abuso della qualità di agente pubblico. Abuso della qualità che non è contemplato dalla norma incriminatrice.
3. La difesa ha presentato una memoria a sostegno del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato e va accolto.
2. La condotta di abuso di ufficio deve realizzarsi infatti necessariamente "nello svolgimento delle funzioni o del servizio", non essendo sufficiente la sola violazione di una norma che veda come destinatari i consiliari comunali. Con siffatta locuzione contenuta nell'art. 323 cod. pen. si è reso chiaro che per la configurabilità del reato non rileva l'abuso della qualità pubblica, ma è necessario che l'abuso si realizzi attraverso l'esercizio del potere pubblico. Si è affermato a tal riguardo che, ai fini della integrazione dell'elemento oggettivo del reato, è richiesto che l'abuso si realizzi attraverso l'esercizio da parte del pubblico ufficiale del potere pubblico allo stesso attribuito, con la conseguenza che il reato in questione non è configurabile quando il pubblico ufficiale agisca del tutto al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni (Sez. 6, n. 5118 del 25/02/1998, Rv. 211709; Sez. 2, n. 7600 del 09/02/2006, Rv. 233234; Sez. 3, n. 52053 del 03/10/2017, Rv. 271358, nel caso di atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione) ovvero senza servirsi in alcun modo dell'attività funzionale svolta (Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008, dep. 2009, Rv. 243051) ovvero quando la condotta sia soltanto occasionata dallo svolgimento delle sue funzioni (Sez. 6, n. 42836 del 02/10/2013, Rv. 256687). In tali casi, i comportamenti non correlati all'attività funzionale dell'agente possono integrare una mera violazione del dovere di correttezza, non rilevante tuttavia per integrare il reato di cui all'art. 323 cod. pen. (così Sez. 6, n. 6489 del 04/11/2008, dep. 2009, cit.), anche se realizzati in contrasto di interessi con l'attività istituzionale (Sez. 6, n. 1269 del 05/12/2012, dep. 2013, Rv. 254228, con riferimento ad attività di consulenza privata, praticata da un pubblico ufficiale al di fuori dell'ufficio).
3. Nel caso in esame, come dedotto dal ricorrente, la condotta di abuso dell'intraneus è stata contestata e accertata in sede di merito con riferimento alla sola violazione da parte del pubblico ufficiale di una norma comportamentale, posta a tutela del principio di imparzialità e di buona amministrazione, per prevenire conflitti di interessi tra l'attività istituzionale dei consiglieri comunali e quella privata che questi potrebbero svolgere con incarichi e consulenze affidati da enti o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza del relativo comune. Si trattava dunque di una condotta (l'assunzione di un incarico professionale presso un'azienda municipalizzata) che non coinvolgeva da parte dell'intraneus lo svolgimento della sua attività funzionale pubblica. Tale iniziativa pacificamente era stata infatti assunta dal B. nella veste di privato cittadino e non nell'ambito dell'esercizio funzionale dell'ufficio pubblico ricoperto in seno al consiglio comunale. La violazione del divieto, pertanto, come ha precisato la giurisprudenza di legittimità in sede civile, poteva incidere negativamente solo sull'incarico o sulla consulenza, determinandone l'invalidità (Sez. 1, n. 5076 del 24/05/1994, Rv. 486751, con riferimento L'art. 26 della legge 25 marzo 1993, n. 81).
4. Difettando quindi il presupposto della condotta di abuso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.