Salvo casi eccezionali di autotutela doverosa espressamente indicati dalla legge ovvero in presenza di esigenze evidenti e rilevanti di equità e giustizia.
Con la sentenza n. 2564 del 6 aprile 2022, il Consiglio di Stato ha affermato che non si configura alcun obbligo in capo alla P.A. di provvedere in caso di istanze di riesame di atti sfavorevoli emanati in precedenza. Ciò deriva dalla natura officiosa e discrezionale del potere di autotutela, oltre al fatto che, rispetto all'esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni.
Come spiega il Consiglio di Stato, l'esercizio del potere di autotutela non genera alcun obbligo giuridico di provvedere, non essendo prevista alcuna tutela contro i rifiuti, le inerzie ovvero i silenzi antigiuridici in caso di inadempimento. Ciò trova fondamento non solo nell'
Del resto, il Consiglio di Stato rammenta che le esigenze di giustizia che possono giustificare l'obbligo di esame dell'istanza di autotutela riguardano ipotesi con «tratti di peculiarità che giustificano la non operatività del principio generale della insussistenza di un obbligo di provvedere sulla domanda di ritiro in autotutela di un precedente provvedimento adottato dall'amministrazione».
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza (ud. 31 marzo 2022) 6 aprile 2022, n. 2564
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
La controversia origina da una richiesta di condono (prot. n. 6353 del 1° marzo 1995) presentata, ai sensi della l. n. 724/1994, dal dante causa dei ricorrenti relativa alla realizzazione di un fabbricato per civile abitazione su due livelli sito in Vico Equense,-omissis-.
Sulla detta istanza la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli ha espresso parere negativo (prot. n. 5359 - P del 20 aprile 2020, in quanto “l’intervento ricade in "zona 1b" (tutela dell’ambiente naturale di 2° grado) del P.U.T. e in "zona A2" (zona di rilevante interesse ambientale) del P.R.G. comunale”.
Nella nota prot. n. 17973 del 26 novembre 2019, della citata Sovrintendenza, ex articolo 10-bis l. 241/1990, si rilevava che:
- “ai sensi dell’art. 33 della L.47/85 e s.m.i. non sono suscettibili di sanatoria le opere di cui all’art. 1 della suddetta legge [che] siano in contrasto con i vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici di tutela di interessi paesaggistici e ambientali qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima delle opere stesse”;
- “l’intervento contrasta con le caratteristiche paesaggistiche del sito protetto, in quanto in contrasto con il vincolo di inedificabilità sia pubblica che privata, esistente per la "zona territoriale 1b" (tutela dell’ambiente naturale di 2° grado) L.R. 35/87 (P.U.T.)”.
Con nota del 17 giugno 2020, trasmessa rispettivamente il 15 e 17 luglio 2020 alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli ed al Comune di Vico Equense, i ricorrenti hanno chiesto “di accertare in autotutela e dichiarare l’illegittimità, la nullità e, comunque annullare il parere negativo vincolante in relazione al chiesto rilascio dell’autorizzazione paesaggistica protocollo n. 5359 - P del 20 aprile 2020”, facendo rilevare che:
- la Soprintendenza avrebbe erroneamente collocato il fabbricato in “zona A2 di PRG in luogo di 1b di PRG”; che il vincolo d’inedificabilità previsto dal PUT in zona 1b non sarebbe assoluto ma relativo; - sarebbero state violate le loro garanzie di partecipazione procedimentale per non avere la Soprintendenza tenuto conto delle osservazioni trasmesse in riscontro al preavviso di parere negativo, con nota del 20 dicembre 2019.
Nella citata nota del 17 giugno 2020 le parti ricorrenti hanno anche chiesto di essere preventivamente sentite “per la disamina partecipata del complesso caso di specie e per evitare che ulteriori ripetizioni di errori e gravi disparità di trattamento debbano condurre a costose e defatiganti iniziative giudiziarie”.
In mancanza di riscontro alla predetta istanza di annullamento in autotutela, i ricorrenti hanno adito il Tar Campania avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.
Il Tar Campania, sez. VII, del 23 agosto 2021, n. 5565/2021 ha respinto il ricorso sulla scorta di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, ivi richiamato, cui in questa fase il Consiglio non ritiene di discostarsi.
Va in primo luogo rilevato che non sussiste alcun obbligo per l'amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto (ex multis Cons. Stato, Sent. IV, 4 novembre 2020, n. 6809).
Ciò discende dalla inconfigurabilità di un obbligo della p.a. di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale - soprattutto nell’an - del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all’esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente (Cons. Stato, Sent. IV, 9 luglio 2020, n. 4405). La proposizione dell’esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare, un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l’attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici; questo principio trova non solo conferma testuale nella lettera dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 che prefigura l'iniziativa di annullamento dell’atto in termini di mera “possibilità”, ma si giustifica, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi, non tempestivamente contestati (Cons. Stato, Sent. V, 24 settembre 2019, n. 6420).
Parte appellante fonda, peraltro, una parte delle censure, sulle ipotesi individuate dalla giurisprudenza di doverosità dell’autotutela, nelle quali sussistono specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l'adozione di un provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2010, n. 3024; sez.VI, 11 maggio 2007, n. 2318; sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183); in particolare ritiene sussistente l’obbligo di procedere in sede di autotutela sulla scorta della ritenuta erroneità della collocazione dell’immobile ad opera della Sovrintendenza.
Va però evidenziato che un richiamo generalizzato alle esigenze di giustizia ed equità per ritenere doverosa l’autotutela, come quello ora proposto da parte ricorrente, comporterebbe l’introduzione di un ulteriore rimedio - giustificabile in casi particolari ove sussistano conclamate esigenze di giustizia di regola normativamente determinati ( CdS VI n. 8920 del 2019 secondo cui i casi normativi definiti d'autotutela doverosa, tra cui quello della decadenza ex tunc del beneficio qual conseguenza del generale principio contenuto nell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000 - in base al quale, ove emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione secondo una valutazione autonoma della p.A., il dichiarante decade dai benefici conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera - non sono affatto “eccezioni” alla regola “generale” ex art. 21-novies della l. 241/1990, ma costituiscono forme ben definite d'autotutela doverosa poste a garanzia di supremi valori ed interessi dell'ordinamento contro la consolidazione degli effetti d'un atto illegittimo ed ingiusto e non tempestivamente revocato o annullato, tant'è che l'art. 21-nonies, comma 2-bis, recato dalla novella ex art. 6, comma 1, lett. d), n. 2) della l. 7 agosto 2015 n. 124, ha fatto salve, tra le altre, le sanzioni previste dal capo VI del d.P.R. n. 445/2000, tra cui, appunto, quelle dettate dall'art. 75; ne consegue che sussiste in capo alla p.A. l'obbligo di provvedere a fronte di un'istanza di un terzo diretta all'applicazione del citato art. 75 (fattispecie relativa ad un'istanza con la quale si chiedeva alla p.A. di esercitare l'autotutela doverosa su un permesso di costruire rilasciato sulla base di una falsa dichiarazione della realtà con conseguente applicazione dell'art. 75 d.P.R. n. 445/2000). - rispetto al sistema di impugnativa degli atti ledendo il principio di inoppugnabilità degli stessi e quindi la definizione delle controversie.
A riprova dell’eccezionalità del richiamo alle esigenze di giustizia che giustificano l'esistenza di un obbligo di esame dell’istanza di autotutela va rilevato come nella fattispecie esaminata dalla più recente giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. VI, sent.n. 183/2020) si ha riguardo ad ipotesi con “tratti di peculiarità che giustificano la non operatività del principio generale della insussistenza di un obbligo di provvedere sulla domanda di ritiro in autotutela di un precedente provvedimento adottato dall'amministrazione”; nello specifico si trattava di un ordine di demolizione, adottato dal Comune sul presupposto di una sentenza di condanna penale risultando al contempo pendente, in detta sede, incidente di esecuzione diretto alla revoca del medesimo.
Appare evidente come invece, nell’ipotesi oggetto del presente gravame, manchi una peculiarità tale da giustificare una deroga al principio della insussistenza dell’obbligo di provvedere sulla domanda di ritiro in autotutela; piuttosto trattasi della prospettazione di “ordinari” vizi relativi alla ritenuta erronea collocazione dell’immobile ed al mancato richiamo nel provvedimento di diniego alle osservazioni proposte, ex art. 10 bis l. 241/1990, da far valere eventualmente con gli ordinari strumenti di tutela e non da esaminare in questa sede.
Va quindi ribadito l’insegnamento secondo cui per la consolidata giurisprudenza l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita su un istanza diretta a sollecitare l'esercizio del potere di autotutela (che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l'amministrazione per la tutela dell'interesse pubblico) e che il potere di autotutela è incoercibile dall'esterno attraverso l'istituto del silenzio-inadempimento ai sensi dell'art. 117 c.p.a. (cfr. ex multis, Cons. di Stato, V, 4 maggio 2015, n. 2237; Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4309; 7 luglio 2014, n. 3426; 24 settembre 2013, n. 4714; Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355; sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5199; sez. VI, 9 luglio 2013, n. 3634) salvo i casi normativamente stabiliti di autotutela doverosa e casi particolari legati ad esigenze conclamate di giustizia.
Per i motivi sin qui evidenziati il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi €.2.500,00#(euro duemilacinquecento/00#), oltre accessori come per legge.
Nulla per le spese nei confronti del Comune di Vico Equense, non costituito in giudizio.