In alcuni casi la disciplina sopravvenuta può risultare più favorevole, consentendo la nuova costruzione nel rispetto delle distanze previgenti se non è possibile osservare quella vigente modificando l'area di sedime.
Parte attrice adiva dinanzi al Tribunale di Massa una società esponendo che quest'ultima, sebbene munita di autorizzazione ad eseguire una ristrutturazione con ampliamento di una preesistente costruzione, aveva realizzato un manufatto totalmente diverso da quello assentito, violando in tal modo la normativa urbanistica locale anche in tema di...
Svolgimento del processo
1. R.R. ha adito il tribunale di Massa, esponendo che la Immobiliare T. s.r.l., sebbene munita di autorizzazione ad eseguire una ristrutturazione con ampliamento di una preesistente costruzione, ubicata sul fondo distinto in catasto al fl. 79, mappale 144, aveva in realtà realizzato un manufatto totalmente diverso da quello assentito, in violazione della normativa urbanistica locale anche in tema di distanze. Ha chiesto la riduzione in pristino della costruzione, con condanna della convenuta al risarcimento del danno e con attribuzione delle spese di lite. La società convenuta si è costituita in giudizio, chiedendo di respingere le domande e, in via riconvenzionale, di accertare il suo diritto a mantenere la costruzione all'attuale distanza dagli immobili della R. e dai confini. Espletata c.t.u. ed acquisita documentazione, il tribunale ha accolto la domanda dell'attrice, ordinando la demolizione di parte dell'edificio, individuata nelle planimetrie elaborate dal c.t.u., regolando le spese. L'ordine di arretramento ha attinto i primi due piani del manufatto, edificati in sostituzione di un precedente corpo di fabbrica, con esclusione dei piani superiori, realizzati in arretramento rispetto alla collocazione originaria dell'immobile, conformemente alle previsioni locali vigenti al momento della costruzione. La pronuncia, impugnata in via principale dalla Immobiliare T. e in via incidentale dalla R., è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova. Secondo il giudice distrettuale era sufficiente raffrontare le consistenze, le altezze e le volumetrie tra il fabbricato preesistente ed il fabbricato sorto "al posto" del primo, per constatare che era stato realizzato un "organismo edilizio totalmente nuovo", dato che il preesistente edificio era a due piani e con un volume di circa mc. 315 ed il nuovo era costituito da quattro piani fuori terra ed aveva un volume di oltre mc. 1560". Si configurava invece un fabbricato radicalmente diverso e ben maggiore per superfici, altezze, volumi, destinazione funzionale (da un assai modesto edificio a due piani integrante un'unica unità residenziale si era difatti passati ad uno modernissimo, molto più grande del precedente a quattro piani fuori terra ed uno interrato, composto da tre unità residenziali ed una quarta ad uso commerciale e con scala esterna in acciaio a vista), con integrale demolizione dell'immobile preesistente, essendo stati conservati solo pochi metri quadrati di un vecchio muro, ma "'affogati" all'interno di nuove murature dell'edificio, che aveva "perso ogni parentela con quello esistente prima dell'intervento edificatorio". La Corte di merito ha ritenuto legittimo anche la demolizione della porzione asseritamente ricostruita, non essendovi stato alcun "recupero" del preesistente edificio, ma la sua soppressione e "sostituzione" con nuovo edificio totalmente diverso. Ha infine respinto l'appello incidentale, volto ad ottenere la demolizione degli ultimi due piani, essendo essi posti in arretramento rispetto alla precedente costruzione nel rispetto delle distanze poste dagli strumenti urbanistici locali al momento della loro realizzazione. La cassazione della sentenza è chiesta dall'Immobiliare T. con ricorso in tre motivi, cui resiste R.R. con controricorso e con ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. L'Immobiliare T. ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale. Le altre parti sono rimaste intimate. In prossimità dell'adunanza camerale le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso principale lamenta la violazione degli artt. 872, 873, 1158 e ss. c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., esponendo che la nuova costruzione costituiva una ristrutturazione in ampliamento di un precedente manufatto insistente in loco da epoca anteriore al 1962, avendo la società acquisito per usucapione una servitù che le consentiva di mantenere (o ricostruire) l'immobile alla distanza originaria, non essendo il diritto venuto meno per effetto della demolizione dell'edificio e della ricostruzione di un diverso manufatto. Di conseguenza, non era consentito disporre l'arretramento dell'intera costruzione, ma solo delle parti realizzate ex novo, in difformità rispetto alla costruzione preesistente, avendo la ricorrente titolo a mantenere l'immobile - nella parte corrispondente a quella originaria - alla distanza che aveva prima della nuova edificazione. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha precisato - in punto di fatto - che la nuova costruzione presentava dimensioni, volumetria, collocazione del tutto differenti da quelle originarie. Il manufatto preesistente era costituito da un'unica unità abitativa su due piani, con un volume di mc. 3.50. Al suo posto la ricorrente ha realizzato un edificio di quattro piani, con volumetria quasi quintuplicata, composto da quattro unità abitative separate. Anche riguardo alla conservazione di elementi originari, la pronuncia ha evidenziato come la demolizione fosse stata totale e come il mantenimento di una porzione del preesistente edificio (previsto dall'originario progetto costruttivo autorizzato dal Comune) non fosse stato realmente attuato, essendo rimasti in piedi pochi metri quadrati dl un vecchio muro, "affogati" all'interno di nuove murature, per cui l'edificio aveva "perso ogni "parentela" con quello esistente prima dell'intervento edificatorio. Si insiste in ricorso sul fatto che le parti strutturali dell'edificio originario sarebbero state conservate e che, riguardo a tali elementi - e alle parti costruttive che le completavano - permarrebbe il diritto a conservarle nella posizione originaria anche per effetto dell'intervenuta usucapione di una vera e propria servitù a carico del fondo della R., tema che però non risulta oggetto della sentenza impugnata sicché il suo esame è precluso in cassazione. Non possono sollevarsi in questa sede temi che non risultano esaminati nel giudizio di merito e che richiederebbero nuovi accertamenti in fatto, preclusi in sede di legittimità (Cass. 2443/2016; Cass. 10319/2016). Per altro verso, già in primo grado la ricorrente era risultata soccombente ed era stata condannata ad arretrare i primi due piani del manufatto. Era quindi tenuta a riproporre la questione (sollevata in comparsa di costituzione e risposta dinanzi al tribunale) anche in appello in termini specifici e con esplicita deduzione dell'intervenuta usucapione (non potendo valere il generico riferimento alle servitù preesistenti, contenuto nell'atto di appello: cfr. ricorso pag. 17), dovendo altrimenti ritenersi preclusa.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 872, 873, 9 D.M. 1444/1968 e 3 D.P.R. 380/2001, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sostenendo che, in caso di demolizione con ricostruzione di un nuovo manufatto, quest'ultimo deve considerarsi nuova costruzione solo per le parti che eccedono dalla volumetria originaria. L'applicazione del regime delle distanze vigente per le nuove costruzioni può aver luogo solo ove la disciplina di queste ultime sia espressamente esteso anche alle ristrutturazioni dalla normativa locale, per cui, mancando una specifica previsione in tal senso negli strumenti urbanistici, non poteva disporsi l'arretran1ento dei primi due piani, ossia delle porzioni corrispondenti al fabbricato preesistente. Il terzo motivo denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c., rilevando che, con ordine di servizio 2751/1992., il Comune aveva parificato gli interventi di demolizione e fedele ricostruzione alla fattispecie della ristrutturazione, a conferma dell'impossibilità di disporre la demolizione integrale dei primi piani della costruzione. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta relazione, sono fondati nei limiti che si espongono.
2.1. Come detto, la Corte di merito ha l'arretramento dei primi due piani dell'edificio - corrispondenti a quelli originari - per violazione delle distanze in vigore al momento della demolizione e ricostruzione, qualificando il manufatto - in parte qua - come nuova costruzione. Non ha però considerato che, in caso di demolizione e successiva ricostruzione, la "nuova costruzione" è sottoposta nel suo complesso alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della sua edificazione solo ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese alle ricostruzioni. In caso contrario, ove una siffatta norma non esista, il manufatto va considerato come nuova costruzione solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell'edificio originario" (cfr., per tutte, Cass. s.u. 21578/2011) e la demolizione va disposta non integralmente ma per i volumi eccedenti, da accertare in concreto. Anche nel caso in esame 1 l'integrale riduzione in pristino dei primi due piani andava disposta solo ove lo strumento urbanistico locale avesse unificato il regime delle ristrutturazioni a quelle delle nuove costruzioni, profilo su cui la Corte ha omesso ogni approfondimento, incorrendo nella violazione denunciata, non potendosi tuttavia ritenersi decisiva la nota del Comune che aveva parificato alla ristrutturazione edilizia anche la demolizione con fedele ricostruzione del preesistente, ciò perché tale nota non ha - di per sé- valenza integrativa del disposto dell'art. 873 c.c., sia per l'assenza di una ricostruzione fedele del manufatto originario. Il giudice del rinvio dovrà verificare se la normativa urbanistica locale prevedesse - al momento della realizzazione del nuovo manufatto - l'estensione alle ricostruzioni delle disposizioni riguardanti le nuove costruzioni, tenendo altresì conto delle novità normative nel frattempo sopravvenute. A tal riguardo si deve considerare che l'art. 31, comma primo, lettera d), L. 457/1978 qualificava come interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare i manufatti mediante un insieme sistematico di opere idonee a condurre ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con formula idonea ad includere non soltanto le opere che riguardassero un fabbricato ancora esistente (e, cioè, un'entità dotata quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura), ma anche la demolizione con fedele ricostruzione di un precedente manufatto, nel rispetto della sagoma, del volume e delle superfici preesistenti (cfr., in motivazione, Cass. 14786/2017; Cass. s.u. 21578/2011; Cass. 22688/2009; Cass. 2009/3391). La ricostruzione previa demolizione è stata, di seguito, espressamente contemplata dal successivo l'art. 3, comma primo, lett. d) del D.P.R. 380/2001, lasciando inalterato, con previsione in parte qua non innovativa, l'obbligo di conservare la sagoma e la volumetria dell'edificio demolito (cfr. art. 1, D.LGS. 301/2002, in vigore dal 5.2.2003: Cass. 22688/2009). Per effetto delle successive disposizioni del d.l. 69/2013, la ricostruzione doveva invece conservare la sola volumetria originaria, essendo progressivamente caduto il requisito dell'identità di sagoma - ad eccezione che per gli immobili vincolati ai sensi del D.LGS. 42/2004 - area di sedime e caratteristiche dei materiali (cfr. Consiglio di Stato 6666/2019; Consiglio di Stato 5106/2016). Con l'art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto "sblocca cantieri"), era stato inserito il comma 1-ter all'art. 2-bis D.P.R. 380/2001, così reintroducendo sia il vincolo volumetrico che quello della precedente area di sedime, ma più di recente il legislatore - con l'art. 10, comma 1, lettera b), d.l. 76/2020, convertito con L. 120/2020 - ha ampliato la formula dell'art. 3, comma 1, lettera d), TUE, prevedendo che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, siano ricompresi gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria per promuovere interventi di rigenerazione urbana. La disciplina è infine completata dall'attuale formulazione dell'art. 2, comma 1 ter, D.P.R. 380/2001, che:, a seguito della sostituzione adottata con l'art. 10, comma 1, lettera a), del già citato d.l. 76/2020, dispone che in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Tirando le somme, attualmente in ogni caso di demolizione con ricostruzione - e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall'art. 3 lettera d) TUE - la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti, sempre che non sia possibile la modifica dell'originaria area di sedime in modo da osservare quelle in vigore al momento della realizzazione del manufatto che sostituisce quello originario, ove legittimamente realizzato secondo i criteri individuati dall'art. 9 bis TUE. La disciplina sopravvenuta può risultare - in singoli casi - più favorevole, consentendo la nuova costruzione nel rispetto delle distanze previgenti ove non sia possibile il rispetto di quella vigente al momento della costruzione mediante la modifica dell'area di sedime (sempre che ricorrano tutte le altre condizioni di legge). Come chiarito dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (d.l. 76/2020), l'art. 2 comma 1-ter ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma, stabilendo che, per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, la ricostruzione sia comunque consentita con la sola osservanza delle distanze legittimamente preesistenti, qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano lo scivolamento dell'area di sedime ai tini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini stabiliti dal DM n. 1444 del 1968". In conclusione, il giudice del rinvio, oltre a dover verificare se, in base alla disciplina locale, il regime delle ricostruzioni in vigore al momento della costruzione, si applicasse anche alle nuove costruzioni, dovrà valutare se la disciplina sopravvenuta in tema di distanze di cui all'art. 2, comma 1 ter, D.P.R. 380/2001, risulti in concreto eventualmente più favorevole per la ricorrente, sempre che ne ricorrano le condizioni applicative: la nuova disciplina, se meno restrittiva, opera difatti anche per le costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, onde non può disporsi la demolizione degli edifici, originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta, non essendosi formato - sul punto - il giudicato interno (Cass. 1565/2000; Cass. 4980/2007; Cass. 14446/2010; Cass. 15298/2016).
3. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, denunciando la violazione dell'artt. 18 del PRG del Comune di Massa e dell'art. 31 del regolamento edilizio comunale ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., la ricorrente incidentale sostiene che la Corte distrettuale abbia ritenuto legittime le sopraelevazioni del terzo e quarto piano, collocate a distanza di mt. 6.10 e 5, 10, mal interpretando le norme locali, che invece prevedevano per la zona B-6 un distacco risultante dalla somma tra la metà dell'altezza e di mt. 5 dal confine, dimodoché la distanza da rispettare era pari a mt. 11,03 per il quarto piano e di 9,59 per il terzo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, la disciplina locale non concederebbe l’''alternativa tra osservare il distacco assoluto di mt. 5 dal confine o tenere l'immobile ad una distanza pari alla metà dell'altezza, né poteva ritenersi che, nella tavola sinottica del regolamento, l'indicazione del segno grafico ivi presente fosse frutto di un refuso, deponendo invece per l'imposizione di un distacco pari alla somma di mt. 5 e della metà dell'altezza della costruzione, tale dia giustificare la demolizione anche dei piani superiori dell'edificio. Il motivo è infondato. In punto di fatto non è in discussione che il terzo ed il quarto piano dell'edificio siano collocati a distanza superiore alla metà dell'altezza del fabbricato e che quindi, ove la normativa locale possa intendersi nel senso di imporre una distanza pari alla metà dell'altezza degli edifici (in quanto superiore a mt. 5), la costruzione sarebbe regolare. La ricorrente sostiene che il regolamento edilizio imponeva un distacco pari alla somma tra la metà dell'altezza e il distacco assoluto di mt. 5 dal confine, dovendosi arretrare il terzo ed il quarto piano rispettivamente fino a mt. 9.69 e a mt. 11.03. Tale tesi non può condivisa. A prescindere dalla corretta interpretazione del segno grafico presente sulla tavola sinottica delle NTA del piano regolatore generale (- per la zona B6, in cui ricadono gli immobili di cui si discute), è la stessa ricorrente incidentale a sottolineare, che, a norma dell'art. 3 del PRG, l'attuazione del medesimo piano doveva avvenire anche nell'osservanza del regolamento edilizio, per quanto non in contrasto con le disposizioni generali, dovendo perciò considerarsi che già il suddetto regolamento imponeva, per la zona in considerazione, una distanza tra le costruzioni pari alla metà dell'altezza, con un minimo assoluto cli 5 metri. L'art. 18 delle NTA e l'art. 31 del re9olamento non contenevano - quindi - disposizioni divergenti, prevedendo entrambi il medesimo distacco inderogabile. La conclusione appare confortata non solo dal dato letterale, ma anche dall'interpretazione logico-sistematica, non avendo senso prescrivere una distanza minima assoluta dal confine ove tale distacco fosse destinato automaticamente a sommarsi a quello parametrato sull'altezza del nuovo manufatto. Sono quindi accolti il secondo e terzo motivo del ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, mentre è respinto il primo motivo unitamente al ricorso incidentale. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. Si dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, respinge il primo motivo del suddetto ricorso e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Genova, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.