Numerose le questioni rimesse all'Adunanza Plenaria, tra le altre: se il termine «non lavoratrice dipendente» si riferisca anche alle madri casalinghe e, in tal caso, se il diritto del padre di fruire dei riposi giornalieri per la cura del figlio minore di anni uno abbia portata generale.
Con l'ordinanza di rimessione all'Adunanza Plenaria n. 2649 dell'11 aprile 2022, il Consiglio di Stato ha preso atto delle incertezze nel sistema legislativo in relazione ai diritti del padre di fruire dei riposi giornalieri per la cura del figlio che ha meno di un anno nell'ipotesi in cui la madre sia casalinga.
Partendo dall'elemento incontroverso per cui la natura e la finalità dei riposi giornalieri non rispondono soltanto all'esigenza di allattare il neonato e ad altre esigenze biologiche, bensì anche a qualsiasi altra forma di assistenza del piccolo nel suo primo anno di vita, il Consiglio di Stato osserva come la mancata univoca formulazione degli
Partendo dal dato normativo, l'alternatività nella fruizione dei suddetti riposi è richiamata solo alla lett. b) dell'art. 40 cit., indicando che qualora entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti si preferisce accordare alla madre i riposi (art. 39). Il padre, dunque, potrà fruirne esclusivamente quando sia l'unico affidatario del piccolo oppure l'unico genitore superstite o in grado di prendersene cura in caso di morte o grave infermità della madre, oppure, ancora, se la madre non sia lavoratrice dipendente, poiché in tal caso il beneficio non può esserle riconosciuto.
Salta subito all'occhio il concetto di lavoratore/lavoratrice per individuare il perimetro di applicabilità del Testo Unico, tenendo conto delle numerose casistiche nelle quali le madri non sono lavoratrici dipendenti nell'accezione dello stesso.
Il Consiglio di Stato svolge allora una lunga disamina dei diversi indirizzi giurisprudenziali sul tema, a partire da quello che considera la nozione di lavoratore diversa a seconda che si tratti di materie pubblicistiche o privatistiche, prevedendo che è alla prima che occorre fare riferimento, indirizzo al quale se ne sono contrapposti altri. Non manca poi la tesi intermedia per la quale il padre, per poter usufruire dei riposi giornalieri, dovrebbe dimostrare l'esistenza dei concreti impedimenti per la madre casalinga, e dunque lavoratrice non dipendente, di occuparsi della cura del bambino.
Di recente, invece, ha trovato spazio la tesi rigorista, per la quale vige il principio di tassatività rigorosa dell'elenco delle fattispecie, così da escludere una possibile estensione alla casalinga della nozione di «non lavoratrice dipendente».
Da ultimo, il riferimento all'art. 41 della Legge citata sul parto gemellare, che ha creato non pochi problemi interpretativi, considerando che le necessità familiari in tal caso giustificano il riconoscimento al padre dei periodi di riposo e delle ore aggiuntive quando la madre sia lavoratrice dipendente, senza però specificare cosa accade in caso contrario.
Preso atto di tutto ciò, il Consiglio di Stato rimette all'Adunanza Plenaria le seguenti questioni:
- Se il termine «non lavoratrice dipendente» si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e dunque anche alla casalinga, oppure solo alla libera professionista o lavoratrice autonoma;
- Qualora la risposta al suddetto quesito sia affermativa, se il diritto del padre di fruire dei riposi giornalieri abbia una portata generale oppure debba essere subordinata alla prova che la madre casalinga sia impegnata in attività che non le consentono di curare il neonato, oppure sia affetta da un'infermità temporanea e/o non grave;
- L'esatta accezione della nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare nel caso in cui la madre sia casalinga.
Consiglio di Stato, sez. II, ordinanza (ud. 23 febbraio 2022) 11 aprile 2022, n. 2649
Svolgimento del processo
I.1. Il signor -omissis-, assistente della Polizia di Stato presso il Commissariato di - omissis -, ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la - omissis - il provvedimento del Questore di - omissis -, notificatogli in data 18 maggio 2016, di rigetto dell’istanza di fruizione dei riposi giornalieri di cui agli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001, chiedendo anche l’accertamento del suo diritto a fruirne sino al compimento di un anno di età della figlia.
I.2. Hanno resistito le intimate amministrazioni, Ministero dell’Interno e Questura di - omissis -, secondo cui il ricorso era da rigettare in quanto, nel bilanciamento tra diritti connessi alla genitorialità e il sacrificio imposto al datore di lavoro, era da ritenersi prevalente (e da tutelare) quest’ultimo, tanto più che nel caso di specie la presenza della madre casalinga (il cui impegno esclusivo nell’attività domestica poteva essere organizzato e svolto, con la doverosa collaborazione del coniuge nel tempo in cui lo stesso non lavorava, con modalità tali riservare uno spazio adeguato alle esigenze di cura diretta del bambino nel primo anno di vita); ciò costituiva ragionevole motivo ostativo alla concessione del beneficio al genitore ricorrente. Del resto secondo l’amministrazione il carattere eccezionale della misura prevista dalla norma invocata non ne avrebbe consentito un’interpretazione estensiva, rendendola applicabile a casi diversi rispetto a quelli espressamente presi in esame dal legislatore: la corretta accezione da attribuire al termine “lavoratrice”, ovvero, in negativo, “non lavoratrice” andrebbe desunta esclusivamente dall’art. 2 del medesimo Testo unico, che la riferisce a «dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro» nonché «soci lavoratori di cooperative». Diversamente opinando, si addiverrebbe ad un’ingiustificata disparità di trattamento tra i nuclei familiari con madri casalinghe e quelli con madri lavoratrici, in favore delle prime, atteso che il dipendente coniugato con una casalinga avrebbe sempre e comunque la possibilità di fruire dei riposi giornalieri, mentre il dipendente coniugato con una lavoratrice dipendente, potrebbe fruirne solo a condizione che vi rinunci la madre.
I. 3. Con la sentenza richiamata in epigrafe l’adito tribunale ha accolto il ricorso ed annullato il provvedimento impugnato. In particolare:
a) dato atto del contrasto giurisprudenziale sussistente in materia, ha dichiarato di aderire all’orientamento ermeneutico favorevole alla concessione, in quanto «più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi all’educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31»;
b) tenuto poi conto della mancata tempestiva ottemperanza da parte dell’amministrazione alla decisione cautelare favorevole (ordinanza n. - omissis -, confermata con ordinanza della sez. IV di questo Consiglio di Stato, n. - omissis -) e del fatto che la bambina avrebbe compiuto un anno di lì a breve, ha demandato alle parti l’accordo sulla fruizione dei permessi oltre il periodo individuato dal legislatore, in assenza del quale l’amministrazione avrebbe dovuto corrispondere al ricorrente una somma pari al trattamento economico per le ore di riposo spettanti e non fruite.
I. 4. Il Ministero dell’Interno ha impugnato tale sentenza, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma alla stregua di un unico articolato motivo di gravame, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli art. 39 e 40 del t.u. 151/2001”.
Secondo l’amministrazione appellante la soluzione raggiunta dal giudice di prime cure costituirebbe una macroscopica ed inammissibile forzatura del tenore letterale delle indicate norme e determinerebbe effetti paradossali ovvero una disparità di trattamento tra le famiglie in cui
entrambi i coniugi lavorano e quelle ove la madre, in quanto casalinga, può comunque
attendere alle cure del minore. Ha al riguardo richiamato uno specifico precedente favorevole ai suoi interessi (Cons. Stato, sez. IV, 30 ottobre 2017, n.4993). Ha poi aggiunto che l’interpretazione prospettata dal primo giudice sarebbe foriera di discriminazione anche nei confronti dei nuclei familiari con madre lavoratrice autonoma o libero professionista, che può fruire della sola misura indennitaria prevista, rispettivamente, dagli artt. 66-69 e 70-73 del d.lgs. n. 151 del 2001. Ha ancora evidenziato le conseguenze sul piano pratico di un’opzione ermeneutica più ampia ove coinvolga dipendenti pubblici investiti di funzioni di polizia, giusta le previsioni contrattuali (nello specifico, art. 14 del d.P.R. n. 170 del 2007) che, onde evitare intuibili problematiche organizzative e gestionali, vietano l’impiego in turni continuativi sulle 24 ore del personale che fruisca dei riposi giornalieri ai sensi degli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001. Ha infine ribadito la natura eccezionale della norma, in quanto attributiva di un beneficio, evocando i limiti rivenienti dalla tassatività della sua formulazione avuto riguardo al principio di alternatività tra i genitori nell’assistenza del neonato.
In ogni caso, considerato anche l’obiettivo contrasto giurisprudenziale esistente in merito (di cui la sentenza della Sez. IV, 30 ottobre 2017, n. 4993, costituisce esemplificazione, in quanto revirement interpretativo in senso nuovamente restrittivo) ha reiterato la richiesta (peraltro già avanzata in sede di appello cautelare) di rimettere la questione al vaglio definitivo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
I.5. Il signor - omissis -, benché ritualmente evocato in giudizio, non si è costituito.
I.6. Alla camera di consiglio del 25 gennaio 2018, fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza impugnata, l’amministrazione appellante ha rinunciato alla stessa.
I.7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 febbraio 2022.
II. Il substrato normativo su cui insiste la controversia.
II.1. Il genitore lavoratore dipendente gode di una serie di misure che gli consentono di assentarsi dal luogo di lavoro o di avere una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro per la necessità di prendersi cura della propria prole: tali misure non sono fisse, ma si modificano in base all’età dei figli (sul naturale assunto che più sono piccoli, maggiori sono i loro bisogni) o in considerazione della condizione patologica.
Malgrado la progressiva evoluzione del trattamento del dipendente genitore, la normativa di riferimento è data ancora oggi dal Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità di cui al d.lgs. n. 151/2001, da ultimo modificato dalla l. n. 238 del 2021.
La condivisione del ruolo genitoriale ha costantemente ispirato le riforme del settore, pure nella fase emergenziale legata alla pandemia, valorizzando il più possibile la compartecipazione del padre alla cura dei figli anche quale espressione di un diritto spettante allo stesso, seppure senza alterare la preferenza di regola accordata alla madre. Emblematica al riguardo la “messa a sistema” dell’allungamento del congedo di paternità obbligatorio, pari a 10 giorni, per i lavoratori dipendenti: l’art. 1, comma 134, della legge n. 234 del 2021, modificando l’art. 1, comma 354, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha reso infatti strutturale la misura di tale congedo, introdotto in via sperimentale dall’art. 4, comma 24, lettera a), della l. 28 giugno 2012, n. 92, peraltro cumulabile con la fruizione dell’analoga misura da parte della donna, confermandola in dieci giorni, siccome previsto, per il 2021, dall’art. 1, comma 363, lettera b), della legge 30 dicembre 2020, n. 178.
Ciò non toglie che, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, soprattutto nei primi anni di vita del bambino la madre riveste un ruolo centrale e sotto vari spetti assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del figlio.
II.2. Il citato Testo unico stabilisce inter alia, e per quanto di interesse nella fattispecie in esame, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40), lavoratori dipendenti, alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.
Si tratta di misure che incidono sull’orario di lavoro, non sulla presenza giornaliera in servizio, e per tale ragione nella sistematica del d.lgs. n. 151 del 2011 si collocano dopo la disciplina dei congedi parentali, con i quali attingono alla matrice comune di garantire in condizioni tendenzialmente paritarie al padre e alla madre, indipendentemente dall’essere genitori naturali o adottivi, il diritto a prendersi cura del figlio (al riguardo vedasi Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001 laddove non consente al padre libero professionista di usufruire al posto della madre dell’indennità di maternità, giusta la funzione della norma di tutela del nascituro, ma anche della salute della madre, prima e dopo il parto).
II.3. Come noto, i diritti al riposo a tutela del bambino, per la prima volta riconosciuti alle lavoratrici madri con l’art. 10 della legge del 30 dicembre 1971, n. 1204, non furono inizialmente accordati al padre lavoratore al quale soltanto con l’art. 7 della legge del 9 dicembre 1977, n. 903, intesa a realizzare la parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro, si incominciò a riconoscere il diritto di assentarsi dal lavoro in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli erano affidati solo a lui.
Da tali disposizioni di legge ha tratto origine la (poi continua) evoluzione di tale peculiare profilo del diritto di famiglia nel senso della valorizzazione del prevalente interesse del bambino, riconosciuto autonomo titolare di interessi da salvaguardare, e del conseguente riconoscimento di paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e della loro reciproca integrazione nella cura dello sviluppo psico-fisico del figlio. E’ stato così progressivamente riconosciuto in via generale che (anche) il padre è idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore.
In tale prospettiva va ricordata la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 14 gennaio 1987, che ha esteso il principio sulla parità di trattamento fra uomini e donne, previsto dall’art. 7 della legge n. 903 del 1977, ritenendo che il diritto ai riposi giornalieri retribuiti, previsti per la lavoratrice dall’art. 10 della legge n. 1204/1971, dovesse essere riconosciuto al padre lavoratore nel caso (che era quello esaminato dalla Corte) in cui l’assistenza della madre al minore fosse diventata impossibile per decesso o grave infermità. E’ stato così chiarito che la natura e la finalità dei riposi giornalieri non risponde soltanto all’allattamento del neonato e altre sue esigenze biologiche, ma é finalizzata a qualsiasi forma di assistenza del bambino nel primo anno di vita.
Nella stessa scia si pone la successiva sentenza della Corte Costituzionale del 2 aprile1993, n. 179, che, riesaminando la questione in termini più generali, ha ritenuto ormai superata la concezione di una rigida distinzione dei ruoli fra i genitori nell’assistenza del bambino, dichiarando incostituzionale il menzionato art. 7 della legge n. 903/1977 nella ulteriore parte in cui non estendeva in ogni ipotesi (e non in limitati casi) al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, purché consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per assistere il figlio nel suo primo anno di vita: secondo il giudice delle leggi, i due genitori nello spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio devono di volta in volta decidere quale di essi, assentandosi dal lavoro, possa meglio provvedere alla sua assistenza.
II.4. Non può ragionevolmente dubitarsi che l’istituto dei permessi orari - de jure condito scissi dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la relativa concessione - non si può considerare volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità, ma si estende invero a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre).
II.5. Ciò posto, si passa all’esame delle disposizioni di cui agli artt. 39 e 40 del D. Lgs. n. 151/2001 (la cui violazione e falsa applicazione costituisce in definitiva l’oggetto del gravame in trattazione), la cui non univoca formulazione è alla base dei contrastanti indirizzi giurisprudenziali di cui ha dato atto il giudice di prime cure e che sono stati riconosciuti anche dall’amministrazione appellante.
II.5.1. L’art. 39 dispone: «1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda.
3. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa».
II.5.2.L’art. 40 stabilisce: «1. I periodi di riposo di cui all’articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre».
II.5.3. L’art. 41 poi, con riferimento ai parti plurimi, recita testualmente: «1. In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dall’articolo 39, comma 1, possono essere utilizzate anche dal padre».
II.6. La serena e non preconcetta lettura del ricordato art. 40 fa emergere significativi elementi di ambiguità espressiva che sono alla base delle non irragionevoli interpretazioni giurisprudenziali scaturitene.
L’alternatività nella fruizione infatti, intrinseca nel fatto che il legislatore ha in primis disciplinato l’istituto con riferimento alla lavoratrice madre (art. 39), è espressamente richiamata solo alla lettera b) dell’articolo 40, ad indicare che, ove entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, si preferisce accordare i riposi alla madre, salvo che la stessa non intenda avvalersene. Per contro ne può fruire (esclusivamente) il padre, qualora sia unico affidatario dei figli (lettera a) o unico genitore superstite o in grado di prendersene cura (lettera d), nel caso di morte o grave infermità della madre); ne può fruire il padre altresì «nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente», per l’evidente ragione che in tali ipotesi la misura (impropriamente qualificata “beneficio” dalla difesa erariale, laddove si tratta più propriamente di un istituto contrattuale a tutela della genitorialità) non può essere riconosciuta alla stessa.
Occorre al riguardo subito evidenziare che l’argomento testuale in forza del quale il concetto di lavoratore/lavoratrice dovrebbe essere tratto comunque dalla definizione contenuta, al fine di individuare il perimetro di applicabilità del Testo unico, nell’art.2 dello stesso, non risulta pienamente conferente, venendo in rilievo non la relativa nozione (“lavoratrice”), ma la variegata platea delle madri che lavoratrici (dipendenti) nell’accezione dello stesso non sono. D’altro canto - per completezza - non può sottacersi che anche la formulazione dell’art. 41, concernente il parto gemellare, contribuisce ad incrementare le zone chiaroscurali della possibile lettura delle norme, da effettuare ovviamente in combinato disposto tra di loro: i presupposti di applicabilità infatti non cambiano, ma le ore di riposo sono raddoppiate e quelle “aggiuntive” possono essere fruite dal padre, in alternativa alla madre, ove la stessa sia lavoratrice dipendente, senza tuttavia chiarire cosa accada ove la stessa non lo sia.
II.7. Il sistema così delineato in definitiva risulta finalizzato a trovare il giusto bilanciamento di interessi tra datori di lavoro e genitori, ove entrambi siano dipendenti, e lo risolva col criterio della alternatività, con preferenza per la madre: ma non è egualmente chiaro al di fuori di tale ipotesi quale sia il regime giuridico applicabile al padre, unico lavoratore dipendente.
III. Il contrasto giurisprudenziale.
III.1. Le contrapposte possibili letture del quadro normativo sopra indicato sono emerse immediatamente nelle sentenze dei giudici amministrativi, e si sono riproposte, sia pur con alcune varianti, nei successivi sviluppi giurisprudenziali.
III.1.1. Inizialmente la Sez. VI di questo Consiglio di Stato con la sentenza 9 settembre 2008, n. 4293, confermando la decisione del T.A.R. per la Toscana n. 2478 del 25 novembre 2002, si è orientata per la tesi positiva, in quanto «posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione».
III.1.2. In sede consultiva la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto una lettura diametralmente opposta.
Infatti, dopo aver riconosciuto espressamente «che la formulazione letterale della disposizione non appare del tutto perspicua» e dopo aver delineato un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha declinato in termini assoluti il principio di alternatività nella cura del minore. Ha così sostenuto che la scelta del legislatore, conseguita alle richiamate sentenze della Corte costituzionale n. 1 del 19 gennaio 1987, e n. 179 del 21 aprile 1993, non consentirebbe di ricondurre alla dizione di “non lavoratrice dipendente” la casalinga, posto che «la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali»; d’altronde, «l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali». In definitiva, la scelta fatta dal legislatore, interpretata nel senso anzidetto, costituirebbe il necessario punto di equilibrio tra contrapposte esigenze, «garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)».
III.1.3. Con la sentenza 10 settembre 2014, n. 4618, la Sez. III del Consiglio di Stato è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali, sia sistematici.
Sul crinale testuale ha osservato che il tenore letterale della disposizione («nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente») include, «secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa».
Sul crinale sistematico-teleologico ha affermato che «Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all’educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31».
III.1.4. Su una posizione per così dire intermedia si è posto il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con la sentenza 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che il padre, cui la legge non riconosce «un diritto proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre alla fruizione dei riposi giornalieri, «deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino».
III.1.5. La tesi rigorista ha trovato spazio di recente anche in una pronuncia di questa Sezione che ha invocato il principio di tassatività rigorosa non delle singole fattispecie, ma del loro elenco, al fine di escludere la possibile estensione in via interpretativa alla casalinga della nozione di “non lavoratrice dipendente” (Cons. Stato, sez. II, 4 marzo 2021, n. 1851, che ha considerato ininfluente addirittura la situazione della madre, affetta da depressione post partum, in verità addotta solo in sede di richieste cautelari nel giudizio di primo grado, ove la stessa non sfoci in una vera e propria “grave infermità”, dizione pure questa foriera di possibili equivoci in quanto non ancorata a precise definizioni normative).
III.2. Non può tuttavia sottacersi che più frequentemente, accanto all’affermazione del principio generale in senso restrittivo, sono state prospettate letture ed interpretazioni della normativa in esame in senso per così dire intermedio (cfr. III.1.4)
A partire infatti da una prima sentenza del 2017, successivamente richiamata talvolta in maniera acritica, giusta la mancata disamina delle evidenti sfumature interpretative sottese alla stessa, la giurisprudenza si è “aperta” ad una valutazione del caso singolo, che pur affermando in linea generale la non spettanza del relativo diritto al padre coniugato con una casalinga, non ne ha escluso la concedibilità ove si dimostri l’impossibilità in concreto della madre di attendere alla cura del bambino, per particolari situazioni contingenti, non necessariamente riconducibili al suo stato di salute (Cons. Stato, sez. IV, n. 4993 del 30 ottobre 2017; id., n. 628 del 30 gennaio 2018 e n. 5686 del 3 ottobre 2018; sez. II, 1 settembre 2021, n. 6172).
Da un lato si è pertanto ribadito che la casalinga, in quanto “strutturalmente” presente in casa, è comunque in grado di soddisfare le esigenze di cura del bambino che la noma intende presidiare, seppure « contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia», stante che «pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche»; dall’altro si è riconosciuto che « se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma» (Cons. Stato, sez. IV, n. 4993/2017, cit. supra).
In alcuni casi poi ha finito per assumere rilievo la peculiarità del rapporto di pubblico impiego concernente un appartenente a forza di polizia, sicché nella comparazione degli interessi in gioco si impone di dare «rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall'Amministrazione della pubblica sicurezza» (ancora Cons. Stato, sez. IV, n. 628 del 2018).
III.3. In tale quadro giurisprudenziale si pone in posizione del tutto particolare la sentenza del Consiglio di Giustizia della Regione Siciliana (sez. I, 19 febbraio 2019, n. 153) che, dopo avere analiticamente ricostruito i termini del dibattito giurisprudenziale, non ha ritenuto di prendere posizione, rivendicando totale specialità alla norma sul parto gemellare (art. 41), che di per sé legittimerebbe sempre la concessione dei permessi (anche) al padre coniugato con una casalinga: «Il Legislatore è ben consapevole che nel caso di parto plurimo, le necessità familiari sono tali da giustificare il riconoscimento nei confronti del padre anche militare dei periodi di riposo e delle ore aggiuntive richieste al Comando di appartenenza», quale che sia la condizione professionale della moglie.
In tal modo però non risulta neppure chiarito come operi in concreto il concetto di “ore aggiuntive” richiamato dalla norma, che sembrerebbe presupporre proprio ed esclusivamente la situazione di madre dipendente pubblica che non intenda fruire dei periodi di riposo nella misura raddoppiata, in toto, ovvero, appunto, in relazione alla sola entità del raddoppio.
III.4. Analoghe oscillazioni si riscontrano nella giurisprudenza di primo grado, nella quale tuttavia prevale una lettura/interpretazione non rigorosa, ma al contrario possibilista, in quanto ritenuta più conforme all’ordito costituzionale a tutela della famiglia e del lavoro.
III.4.1. Molteplici e risalenti decisioni danno risalto al ruolo della casalinga nell’economia della vita familiare, assimilandone l’attività a quella lavorativa tout court, alla luce dei principi di cui agli artt. 4, 33, 36 e 37 (T.A.R. per la -OMISSIS-, sez. I, 23 novembre 2013, n. 745); ovvero agli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione (T.A.R. per la Calabria, Catanzaro, sez. I, 14 ottobre 2019, n. 1670, che richiama Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104; T.A.R. per l’Emilia Romagna, sez. I, Bologna, 109 ottobre 2020, n. 643, che monetizza ex art. 1226 c.c. i permessi spettanti ed indebitamente negati). Secondo tale indirizzo ammettere il padre a beneficiare dei permessi per la cura del figlio, anche allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto non lavoratrice dipendente e pur tuttavia impegnata in attività - quella di casalinga - che la distolga dalla cura del neonato, appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all’educazione della prole. I riposi giornalieri non vanno ricondotti solo al soddisfacimento delle esigenze fisiologiche del bambino (il “vecchio” allattamento), ma anche a quello dei suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità, cui i genitori devono concorrere in eguale misura.
III.4.2. Non mancano anche nel panorama di questo indirizzo decisioni in cui si dà spazio alla valutazione del caso singolo, quale mezzo logico per derubricare a mera apparenza i contrasti della normativa sopra evidenziati.
III.4.2.1. In tal senso si trova affermato che « Il descritto, composito, panorama giurisprudenziale (che di per sé nega l’esistenza di automatismi di sorta in presenza di istanze di permesso ex art. 40) è, tuttavia, più apparente che reale laddove si consideri che le decisioni in questione sono frutto di un apprezzamento di situazioni personali e familiari, ciascuna caratterizzata da proprie peculiarità, che mal si prestano ad essere classificate secondo rigidi schemi predefiniti richiedendo, di volta in volta, un approfondito e puntuale esame della singola e concreta fattispecie che valorizza e qualifica (e non svilisce o vincola), l’esercizio del potere attribuito all’Amministrazione» (T.A.R. per la Calabria, n. 1679/2019, cit. supra).; così che sussisterebbe in definitiva sempre l’obbligo di una ponderata, specifica e completa valutazione congiunta e globale di tutti gli elementi informativi che valgono a connotare le peculiarità del singolo caso, nella loro intima connessione.
Il che tuttavia, com’è intuitivo, è soluzione del tutto antitetica ed incompatibile con la conclamata tassatività dell’elenco e dei suoi contenuti.
III.4.2.2. L’utilizzo strumentale della “valvola di sfogo” della valutazione del caso singolo, seppure non prevista dalla norma, è ben esemplificato dalla sentenza del T.A.R. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222. Trattasi, peraltro, della pronuncia di prime cure riformata dal Consiglio di Stato con quella, n. 4618 del 2014, ritenuta il manifesto delle tesi favorevoli al padre richiedente il permesso orario. In tale occasione, pur aderendo ad approccio restrittivo, il Tribunale, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, dopo aver affermato che «con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre», finisce poi per riconoscere che «ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza».
III.4.3. A conferma della lacunosità e della equivocità della normativa si deve segnalare la recente sentenza del T.A.R. per il Lazio (sez. I, 8 gennaio 2020, n. 125), nella quale viene affermato, quasi come un obiter, assertivo quanto scontato, il principio in forza del quale nella categoria della «madre che non sia lavoratrice dipendente» rientra anche la figura della lavoratrice casalinga, oltre a quella della lavoratrice che svolga un’attività non dipendente e cioè “autonoma” (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, colona, mezzadra, imprenditrice agricola professionale, parasubordinata e libera professionista), come esplicitato da apposita circolare I.N.P.S. n. 95-bis del 6 settembre 2006, richiamata in motivazione; salvo poi escludere che possa rientrarvi il caso in cui la madre sia “coadiuvante” nell’impresa artigiana del padre, in quanto il collaboratore familiare, in virtù della sua particolare posizione, «non assume la veste di lavoratore subordinato, non è tenuto al rispetto di un orario predeterminato di lavoro, ancorché la sua attività deve essere svolta con carattere di abitualità e prevalenza, e ha diritto al sostentamento/mantenimento da parte del proprio parente artigiano, senza possibilità di percepire alcun tipo di compenso per l’attività prestata nell’impresa artigiana; così come, d’altra parte, per la sua particolare condizione, non può ricondursi alla figura del lavoratore autonomo o in proprio, non possedendone i requisiti previsti».
IV. L’avviso della Sezione remittente
IV. 1. La Sezione è dell’avviso che la sentenza impugnata sia corretta e condivisibile.
Essa ha riconosciuto all’appellato il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri per la cura del proprio figlio, minore di anni uno, la cui madre è casalinga, in base al seguente iter logico motivazionale:
a) gli articoli 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001 sono rivolti a dare sostegno alla famiglia e alla maternità in attuazione delle finalità generali di cui all’art. 31 della Costituzione;
b) la cura del minore è garantita in maniera paritetica da entrambi i genitori, cui deve essere data la possibilità di conciliare tale ruolo di genitore con quello di lavoratore;
c) non esistono elementi testuali ostativi nelle norme de quibus alla ricostruzione prospettata.
IV.2. Tale decisione è coerente con la giurisprudenza ordinaria che da un lato è orientata ai richiamati principi paritari nella responsabilità genitoriale, dall’altro tende ad una progressiva valorizzazione della figura della casalinga.
IV.2.1. Sotto il primo profilo si è affermato che tutti gli istituti a tutela della genitorialità rappresentano il momento di sintesi tra le esigenze di tutela della salute della donna prima e dopo il parto, quelle puramente fisiologiche, ma anche affettive e relazionali del minore, funzionali a realizzare il pieno sviluppo della sua personalità, e quelle di non discriminazione nei confronti del padre che intenda essere parte attiva e responsabile nella cura del figlio (Cass., sez. lavoro, 28 novembre 2019, n. 31137).
Con riferimento alla (diversa) ipotesi della madre lavoratrice autonoma, che al pari della casalinga non è “costretta” - in un caso, per assenza di disposizioni normative che lo impongano, nell’altro, per così dire naturaliter- ad alcun periodo di astensione obbligatoria, anche subito dopo il parto, si è addirittura di recente negato che operi un qualche divieto di cumulo tra godimento dell’indennità di maternità e fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre (Cass., sez. Lavoro, 12 settembre 2018, n. 22177, le cui argomentazioni ben evidenziano il diverso regime giuridico delle tutele, che trovano la loro giustificazione nelle modalità di svolgimento di attività lavorativa rimesse alla sola determinazione volitiva della donna). Ciò in quanto «è anzitutto evidente sulla scorta della previsione normativa di cui all’art. 40 cit. che l’alternatività nel godimento dei riposi giornalieri da parte del padre sia prevista solo in relazione “alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga”. Laddove invece la lettera della stessa norma contempli in maniera ampia il diritto del padre ai permessi “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, senza prevedere alcuna alternatività». Resta fermo, infatti, che la disciplina dei permessi orari attinge alla stessa matrice egualitaria di incentivo alla formazione familiare nel sostegno reciproco di quella dei congedi parentali, più volte enfatizzato dalla Corte costituzionale (Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285 che con riferimento sia ai congedi parentali -artt. 32 e 36 del d.lgs. n. 151 del 2001- che ai riposi giornalieri, li riconosce, appunto, «in condizioni di parità, al padre e alla madre»).
IV.2.2. Sotto il secondo profilo assume particolare pregnanza l’affermazione che «chi svolge attività domestica (attività tradizionalmente attribuita alla “casalinga”), benché non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un’attività suscettibile di valutazione economica» (Cass., 20 ottobre 2005, n. 20324; sui compiti esercitati dalla casalinga v. anche Cass. civ., Sez. III, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; 13 dicembre 2012, n. 22909).
IV.3. I fautori delle delineate contrapposte interpretazioni della normativa in questione attingono peraltro a tale ultima affermazione in senso diametralmente opposto: per la sezione VI del Consiglio di Stato (sentenza del 9 settembre 2008, n. 4293 ), ad esempio, il fatto che altri settori dell’ordinamento considerino la figura della casalinga come lavoratrice, non può che indurre a valorizzare la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto casalinga; all’opposto, nel ricordato parere n. 2732 dell’anno 2009, la sez. I ha rimarcato la portata settoriale delle affermazioni della Cassazione, correlate solo alla problematica della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro e come tali non suscettibili di assurgere a livello di principio generale (v. per entrambi sub § 12.1).
IV.4. E’ da aggiungere per dare completezza al panorama giurisprudenziale che il giudice del lavoro ha da tempo riconosciuto il diritto ai permessi orari, oltre che al congedo di malattia del figlio ex art. 47 del d.lgs. n. 151/2001, al padre lavoratore dipendente, seppure la madre svolga attività di casalinga, proprio sull’assunto che questa attività è equiparabile a quella di lavoro non dipendente. Ogni diversa soluzione, a suo avviso, si risolverebbe infatti in «una evidente discriminazione nei confronti del medesimo lavoratore rispetto alla generalità dei lavoratori padri» (Tribunale di Venezia, sezione lavoro, 9 febbraio 2012, n. 192; anche Tribunale di Roma, ordinanza del 10 dicembre 2015, che aderisce dichiaratamente all’orientamento espresso dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4618/2014).
IV.5. Altro argomento valorizzato nelle pronunce dei contrapposti indirizzi giurisprudenziali, cui è opportuno far cenno per completezza ricostruttiva, si rinviene nella prassi amministrativa.
Le originarie – e tutto sommato uniche – circolari emanate sulla materia, mutuano le risultanze del primo orientamento favorevole affermato dal Consiglio di Stato: sia il Ministero del Lavoro (n. 8497 del 12 maggio 2009), che l’Inps (n. 112 del 15 ottobre 2009) e l’Inpdap (n. 23 del 21 ottobre 2011) riconoscono che «analogamente a quanto avviene in caso di madre lavoratrice autonoma, anche nell’ipotesi di madre casalinga, il padre dipendente può utilizzare i riposi a partire dal giorno successivo ai 3 mesi dopo il parto», con ciò ritenendo applicabile anche il divieto di cumulo tra riposi giornalieri e indennità di maternità, sostenuto in relazione alla posizione delle lavoratrici autonome, e in verità non confacente all’ipotesi delle casalinghe (sulla inapplicabilità anche di tale divieto di cumulo, v. ancora Cass. n.. 22177 del 2018, cit. supra); salvo richiedere (INPDAP e INPS), almeno in prima battuta, documentazione aggiuntiva a comprova delle condizioni in forza delle quali la madre casalinga sia impossibilitata a prendersi cura del neonato perché impegnata in altre attività, quali ad esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche ed altre simili. Impostazione successivamente rivista, riconoscendo in generale il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri, ex art. 40 del T.U. 151/2001, quando la madre svolga lavoro casalingo, senza eccezioni ed indipendentemente dalla sussistenza di comprovate situazioni che determinano l’oggettiva impossibilità di accudire il bambino, in quanto non supportata da alcuna disposizione normativa in tal senso.
IV.6. Deve ancora evidenziarsi che la tematica non può essere affrontata in maniera avulsa da un più generale quadro di policy a tutela delle famiglie, che ne impone una lettura teleologicamente orientata in senso evolutivo, con uno sguardo allargato all’orizzonte eurounitario.
IV.6.1. A tale proposito va ricordato come già con la decisione del 16 luglio 2015, n. C-222/14, la Corte europea aveva interpretato l’Accordo quadro di cui alla direttiva 96/34/CE nel senso che un genitore non può essere privato del diritto al congedo parentale e che pertanto la situazione professionale del coniuge non può ostare all’esercizio di tale diritto.
IV.6.2. La successiva direttiva 2010/18/EU, contenente il nuovo accordo quadro in materia di congedi parentali, al considerando n. 8 ricorda come « le politiche familiari dovrebbero contribuire al conseguimento della parità di genere e che andrebbero considerate alla luce dell’evoluzione demografica, delle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, del superamento del divario generazionale, della promozione della partecipazione delle donne al mondo del lavoro e della ripartizione delle responsabilità familiari tra donne e uomini»; al n. 12 rileva come «in numerosi Stati membri l’invito agli uomini ad accettare un’equa ripartizione delle responsabilità familiari non ha apportato risultati sufficienti; e che pertanto andrebbero prese misure più efficaci per incoraggiare una più equa ripartizione delle responsabilità familiari tra uomini e donne». Nell’accordo quadro iniziale, un considerando analogo evocava la necessità di incoraggiare gli uomini ad assumere maggiori responsabilità familiari, in particolare con il ricorso al congedo parentale, e che tale “incoraggiamento” poteva avvenire tramite campagne di sensibilizzazione.
IV.6.3. In termini ancor più generali la direttiva n. 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, c.d. “Work-life Balance”, che abroga la precedente direttiva 2018/18/UE, i cui termini di recepimento vengono a scadenza a breve, nel disciplinare il congedo di paternità obbligatorio, mette a fuoco titolarità e modalità di fruizione dello stesso e degli strumenti per assicurarne il godimento effettivo, ivi compresa la maggior copertura economica, con la finalità di incentivarne l’uso anche da parte dei padri, nel contempo riconoscendo il diritto di richiedere formule flessibili del tempo e del rapporto di lavoro.
Uno dei principali profili, insieme a quello relativo all’indispensabile presenza dei servizi pubblici di sostegno alle diverse attività di care da assumere come priorità nella gestione dei fondi concessi nell’ambito del Next Generation EU, riguarda proprio la necessità di sviluppare politiche di effettiva condivisione dei compiti di cura anche all’interno della coppia fin dalla nascita o dall’adozione o affidamento del minore.
IV.7. Sotto tale ulteriore profilo non può ritenersi neutra rispetto alla materia in controversia l’evoluzione nell’interpretazione dell’art.37, comma 1, della Costituzione, laddove declina la «essenziale funzione familiare», nonché, sotto altro profilo, una lettura delle norme armonica al diritto europeo e alla sempre maggiore sensibilità dello stesso verso la tematica della parità di contributi della coppia genitoriale nelle dinamiche della vita familiare.
In tale contesto infatti risulta chiaro che incentivare il ruolo paterno significa creare una dimensione familiare equilibrata e ispirata all’eguaglianza di genere in senso sostanziale, superando il modello del cosiddetto male bread – winner, oramai inadeguato anche sotto il profilo economico, in modo da determinare indirettamente anche maggiori probabilità per la madre di accedere o conservare il lavoro extradomestico.
V. Le questioni sottoposte all’Adunanza Plenaria.
VI. Tutto ciò precisato, in considerazione delle divergenze esegetiche desumibili dagli indirizzi giurisprudenziali evidenziati e delle osservazioni fin qui svolte, la Sezione ritiene di dover rimettere all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 5, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni:
a) se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre, in caso di richiesta di permesso da parte del padre, lavoratore dipendente, del minore di anni uno, si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla casalinga, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero-professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;
b) in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;
c) quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.
Valuterà l’Adunanza Plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’adunanza plenaria.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di riproduzione e diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità dell’appellato, esercente la responsabilità genitoriale e di ogni altro dato idoneo ad identificare il minore.