Sono consentiti degli aggiustamenti alla quantificazione aritmetica dell'indennizzo quando emergono altri profili rispetto al danno da privazione della libertà personale, cioè quando la lesione sia stata più grave rispetto alle normali conseguenze dell'ingiusta detenzione.
La Corte d'Appello di Milano condannava il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento all'attuale ricorrente di un importo a titolo di equa riparazione.
Lo stesso impugna la decisione mediante ricorso per cassazione, poiché la Corte aveva liquidato una somma pari al triplo dell'importo indennitario pro die prendendo in considerazione solo gli...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 31 marzo 2020 la Corte di Appello di Milano ha condannato il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro, al pagamento in favore di R.P. della somma di euro 71.807,09 a titolo di equa riparazione, per essere il medesimo state, privato della libertà personale, in forza di provvedimento applicativo della misura cautelare in carcere, dal 2 marzo 2010 al 30 aprile 2010, ed indi agli arresti domiciliari sino al 26 luglio 2010, in quanto gravemente indiziato del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di esportazione di armamenti e dual use, verso l'Iran (Stato sottoposto ad embargo internazionale sulla base di accordi internazionali, recepiti dall'Italia) nonché di una serie di reati di esportazione in concorso degli stessi materiali, venendo prosciolto ex art. 425 cod. proc. pen. dai reati fine dal G.U.P. del Tribunale di Como, con sentenza in data 25 novembre 2013, e dalle restanti imputazioni dal Tribunale di Como, con sentenza del 19 giugno 2018.
2. Avverso l'ordinanza propone ricorso per cassazione R.P., a mezzo del suo difensore, formulando tre motivi di impugnazione.
3. Con la prima doglianza lamenta la falsa applicazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità e della carenza. Rileva che la Corte territoriale, liquidando una somma pari al triplo dell'importo indennitario pro die, ha omesso di valutare la documentazione reddituale prodotta dall'avv. R.P., professionista molto noto nel campo aereonautico, né ha tenuto in considerazione quella relativa alla rescissione di rapporti professionali a cagione delle vicissitudini giudiziarie, limitandosi a .valorizzare gli esiti di un incidente stradale, subito dal ricorrente nel 2008, ritenuto preponderante concausa della grave flessione reddituale temporalmente seguita all'ingiusta detenzione. Ricorda che l'avv. R.P. con il mod. Unico ha dichiarato di avere percepito nel 2006, euro 221.938,00, nel 2007 euro 313.319,00, nel 200B -anno del sinistro- euro 266.907,00; nel 2009, euro 194.169, nel 2010, euro 254.176,00. Mentre nel 2013 i redditi dichiarati sono pari ad euro 16.280,00, nel 2014«. sono pari ad euro 15.678,00 e nel 2015, (pari ad euro 6.935,00. Ricorda di avere messo a disposizione del giudice della riparazione anche la comunicazione del 2018 dell'avv. Allena, con cui si metteva a parte l'avv. R. P. dell'impossibilità di proseguire il rapporto professionale, a causa della vicenda giudiziaria che l'aveva coinvolto. Sottolinea che la riduzione reddituale del 2009, anno successivo all'incidente, era stato ampiamente recuperato l'anno successivo, mentre la grave flessione successiva alla detenzione appare senza riprese. Assume che la relazione tecnica della dott.ssa Z., era stata prodotta non per documentare l'incidente, ma per provare lo stato ansioso depressivo aggravatosi con la detenzione patita. Ritiene che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio di motivazione dando rilievo al sinistro stradale, che il medesimo non ha avuto, emergendo con chiarezza che la flessione reddituale si è prodotta a causa dell'ingiusta detenzione subita, anche per il clamore mediatico che ha determinato, senza tenere, peraltro1nel dovuto conto i danni psichici che la stessa ha cagionato al ricorrente.
4. Con il secondo motivo fa valere la falsa applicazione degli artt. 314 e 315 ed il vizio di motivazione. Sostiene, pur nella consapevolezza della non previsione del ristoro delle spese legali in favore dell'assolto, che l'ostacolo può essere superato da una restituzione parziale e forfettaria quantomeno nelle ipotesi di equa riparazione per l'ingiusta detenzione subita, in quanto se non\fosse stata la sottoposizione a cautela le spese non avrebbero dovuto essere sopportate da colui che è stato ingiustamente detenuto.
5. Con il terzo motivo si duole dell'erronea applicazione degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione, in relazione alla mancata liquidazione delle spese in favore del ricorrente. Assume che sebbene il Ministero dell'Economia e delle Finanze non sia costituito, nondimeno, non ha formulato alcuna offerta riparativa, non impedita dall'ordinamento e certamente espressione di uno Stato attento al cittadino. L'omissione siffatta offerta costringe colui che è stato ingiustamente detenuto ad adire il giudice, sopportando ulteriori spese legali. Chiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
6. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte ctr chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. Va preliminarmente ricordato che "In tema di ingiusta detenzione, il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo dli riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell'indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta" (Sez. 4, Sentenza n. 27474 del 02/07/2021, Rv. 281; 13; Sez. 4, Sentenza n. 24225 del 04/03/2015, Rv. 263721; Sez. 4, n. 10690 del 25/2/2010, Rv. 246424; conf. Sez. 4, n. 24225 del 04/03/2015, Sez. 4, n. 26388 del 18/4/2007, Rv. 236941; Sez. 4, n. 8144 del 20/01/2006, Rv. 233666).
3. Pur rammentata la natura indennitaria e non risarcitoria del ristoro per ingiusta detenzione, essendo il medesimo diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli (patrimoniali e non) procurate dalla ingiusta ed incolpevole privazione della libertà, attraverso un sistema commisurato alla sua durata ed intensità, deve ricordarsi che sono consentiti aggiustamenti alla quantificazione aritmetica allorquando emergano profili di ulteriori rispetto al "fisiologico" danno da privazione della libertà. (cfr. Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014 - dep. 23/05/2014, Silletti, Rv. 259237). Ed infatti, fermo restando il limite massimo previsto dall'art. 315, comma 2", cod. proc. pen. pari ad in Euro 516.456,90, l'ammontare della riparazione può discostarsi dal mero calcolo artimetico dell'ammontare giornaliero moltiplicato per il numero dei giorni di custodia cautelare subita, allorquando la lesione si palesi divergente e più grave rispetto alle normali conseguenze determinate di ingiusta ed incolpevole detenzione (cfr. ex multis Cass., Sez. 4", n. 10123 del 17/11/2011, Rv. 252026; n. 10690 del 25/2/2010, Rv. 246425; n. 23119 del 13/5/2008, Rv. 240302).
4. Con riferimento alle conseguenze personali, relative all'attività lavorativa ed al minore reddito derivato dalla privazione della libertà ed alla compromissione professionale, va rilevato che un discostamento dal parametro aritmetico si giustifica allorquando la situazione creatasi a seguito dell'ingiusta detenzione sia tale da implicare un grave superamento del criterio della medietà, quale un impoverimento tale da modificare uno stile complessivo di vita o lo scioglimento irrecuperabile di rapporti personali o ancora l'induzione di grave malattia, rientrando tutte le altre ipotesi nel concetto di fisiologia dell'incolpevole privazione della libertà.
5. Ciò premesso, deve affermarsi che qualora la parte istante alleghi la sussistenza di danni che travalichino la medietà della lesione -quali quelli derivanti da una grave compromissione dell'attività professionale e familiare e da particolari situazioni di pubblica esposizione, dovuti al clamore delle accuse e dell'applicazione della misura custodiale- la motivazione che si limita a determinare il quantum sulla base del criterio meramente aritmetico non può risolversi in una petizione di principio, peraltro basata sul richiamo e la condivisione della giurisprudenza di legittimità di segno completamente diverso.
6. Nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, il giudice della riparazione che -riconosciuta la parziale incidenza dell'ingiusta detenzione subita sulla disponibilità economica precedentemente goduta dell'interessato e le conseguenze pregiudizievoli derivanti dallo strepitus fori- liquida un indennizzo pari al triplo del calcolo aritmetico, prende specificamente in esame la documentazione prodotta dall'interessato per dimostrare la flessione reddituale successiva all'applicazione della misura cautelare, ma valuta che abbiano significativamente contribuito a determinare la riduzione delle entrate economiche del ricorrente, le conseguenze di un gravissimo sinistro stradale, nel quale il medesimo fu coinvolto nel 2008, e che comportò lesioni cerebrali gravi. Questa circostanza, risultante non solo dalla consulenza neuropsicologica allegata al ricorso, ma dalla stessa sentenza di assoluzione, induce la Corte territoriale a ritenere che la riduzione dell'elevato livello reddituale di cui R.P. godeva prima dell'applicazione della misura cautelare sia derivata anche da cause estranee agli effetti dell'ingiusta detenzione subita, non potendo ritenersi scontato e neppure altamente probabile che la precedente condizione reddituale fosse destinata a perdurare nel tempo. Si tratta di una motivazione che non presenta alcun elemento di illogicità, né di trascuratezza dell'ampia documentazione presentata, che appare essere stata compiutamente esaminata, e che, lungi dall'escludere la rilevanza della detenzione sull'impoverimento, triplica l'importo indennitario dovuto per il periodo di assoggettamento alla misura. D'altro canto deve considerarsi che il diritto all'indennizzo non costituisce la rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma - nel limite predeterminato - la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l'interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto.
7. Il secondo motivo è inammissibile. Il ricorrente introduce il tema del ristoro da parte dello Stato delle spese legali affrontate dall'assolto, che, pur certamente costituendo una questione che merita un approfondimento teorico ed eventualmente un intervento legislativo, è tuttavia estraneo alla disciplina dell'equa riparazione per l'ingiusta detenzione, essendo l'istituto regolato dall'art. 314 cod. proc. pen. di natura tipicamente indennitaria e non risarcitoria, sicché il relativo ammontare non può essere determinato comprendendovi anche le spese di difesa sostenute nel giudizio di merito e nella fase cautelare (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12297 del 11/02/2016, Rv. 266491; Sez. 4, n. 28082 del 02/04/2007, M., Rv. 236827Sez. 4, Sentenza n. 46267 del 14/10/2005, T., Rv. 232824; Sez. 4, Sentenza n. 2192 del 05/04/2000, Rv. 217127).
8. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Non va dimenticato che il procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione è a contraddittorio necessario, ma non a carattere contenzioso necessario, potendo il Ministero convenuto non costituirsi, costituirsi aderendo alla domanda formulata, oppure rimettendosi al giudice o, ancora, contestare la domanda. Laddove non vi sia sostanziale opposizione all'accoglimento del ricorso, non può formularsi alcun giudizio di soccombenza dell'Amministrazione, giustificato, invece, allorquando essa formuli qualsiasi difesa rivolta al rigetto della domanda alla riduzione della pretesa, e la medesima venga integralmente accolta. Del pari, è chiaro, il rigetto della domanda o il suo accoglimento solo parziale, quando l'Amministrazione si sia costituita formulando conclusioni non adesive, può comportare la soccombenza del ricorrente. E' sufficiente, allora, riprendere il principio recentemente formulato da questa Sezione secondo cui " Nel procedimento di riparazione per l'ingiusta detenzione la pubblica amministrazione, nel caso in cui non si opponga alla pretesa dell'interessato, non può essere considerata soccombente e non può pertanto essere condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte privata, mentre, qualora si costituisca opponendosi alla pretesa dell'istante, la regolamentazione delle spese va effettuata in applicazione dell'art. 92 cod. proc. civ. nell'attuale formulazione, introdotta dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, che consente la compensazione integrale o parziale solo in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni" (Sez. 4, n. 41307 del 02/10/2019, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Rv. 277357). L'assenza di costituzione del Ministero dell'Economia e delle Finanze non consentiva, dunque, la condanna alle spese del medesimo.
9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.