Risposta affermativa della Cassazione. Nonostante la normativa Covid preveda che tale istanza debba essere presentata mediante difensore, la mera difformità dal modello legale non può determinare l'inammissibilità in assenza di una sanzione ad hoc.
L'imputato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza d'appello per aver la Corte dichiarato la sua assenza nonostante lo stesso avesse manifestato personalmente la volontà di essere presente in udienza.
La vicenda può essere così sintetizzata: a fronte...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza con cui Z.T. è stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, per il reato previsto dall'art. 73, comma 1, d.P.R., 9 ottobre 1990, n. 309.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando un unico motivo con cui deduce la nullità della sentenza d'appello per violazione dell'art. 420 ter cod. proc. pen. per avere la Corte dichiarato l'assenza dell'imputato, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, nonostante questi avesse manifestato personalmente la volontà di essere presente in udienza. Si assume che: - il 3.12.2020 era stato notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello all'imputato detenuto; - il 4.12.2020 l'imputato aveva chiesto di poter presenziare all'udienza fissata per il 21.12.2020; - il 7.12.2020 la Corte aveva comunicato al detenuto che la richiesta di presenziare avrebbe dovuto essere formulata tramite il difensore almeno 15 giorni prima dell'udienza; - all'udienza del 21.12.2020 l'imputato era stato dichiarato assente, non avendo presentato richiesta di presenziare tramite il difensore. In tale contesto, il ricorrente richiama gli artt. 23 - 23 bis d.l. 28 ottobre 2020 n.137, convertito nella legge 18.12.2020 n. 176, e 146 bis disp. att. cod. proc. pen. Ai sensi dell'art. 23, commi 1- 4, della legge indicata, la Corte di appello avrebbe dovuto assicurare la partecipazione dell'imputato detenuto mediante collegamento a distanza realizzato secondo le previsioni dell'art. 146 bis disp. att. cod. proc. pen.; si aggiunge che comunque, ai sensi dell'art. 23 bis del d.l. 137 del 28.10.2020, il giudice deve assicurare che l'imputato partecipi a distanza all'udienza anche nel caso in cui, come nella specie, la manifestazione di volontà provenga personalmente dallo stesso.
Motivi della decisione
1.11 ricorso è fondato.
2. Non è in contestazione la ricostruzione fattuale compiuta dal ricorrente, avendo la stessa Corte di appello affermato che l'imputato, detenuto in carcere per il reato per cui si procede, aveva tempestivamente manifestato personalmente la volontà di essere presente all'udienza del "suo" processo.
3. La questione attiene al modo con cui il diritto dell'imputato di partecipare all'udienza debba essere esercitato e, in particolare, a se la richiesta presentata, non tramite il difensore, ma personalmente e tempestivamente dallo stesso imputato detenuto renda inammissibile o irricevibile la domanda. Si tratta di una questione che involge un diritto fondamentale. Nell'ottica di un processo a carattere accusatorio, la partecipazione dell'imputato al "suo" processo è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione; essa afferisce al diritto di difesa e, perciò, non è "confiscabile", potendo al più essere oggetto di rinuncia da parte del titolare dello stesso, in presenza di una non equivoca manifestazione di volontà. Al diritto dell'imputato di partecipare al processo è riconosciuto rango costituzionale (art. 111 Cost.): un giudizio senza imputato può essere celebrato solo a seguito di una opzione, anche solo ragionevolmente presunta, cosciente e volontaria, cioè responsabile, dello stesso imputato. Non diversamente, è noto come sia sul versante delle norme pattizie internazionali che il principio in esame trova indefettibile affermazione (art. 6, comma 3, lett. c), d), e), della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; art. 14, comma 3, del Patto internazionale sui diritti civili e politici - adottato a New York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo con L. 25 ottobre 1977, n. 881, ed entrato in vigore per l'Italia il 15 dicembre 1978-) Il diritto di partecipare all'udienza rappresenta un requisito fondamentale dell'equo processo, ovvero una garanzia del principio della "parità delle armi"; si tratta, tuttavia, di un diritto non assoluto, posto che se ne ammettono tanto limitazioni dettate dall'esigenza di salvaguardare la corretta amministrazione della giustizia - qualora essa sia minacciata dall'abuso dei diritti della difesa - quanto limitazioni dipendenti da una legittima e volontaria rinuncia a comparire dinanzi al tribunale giudicante.
3. Le Sezioni unite, proprio in relazione al giudizio di appello di un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, hanno affermato il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente nel giudizio camerale in cui si decide sulla sua responsabilità. Si è chiarito come la mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perché non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato "in qualsiasi modo" la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza (Sez. U., n. 35399 del 24/06/2010, F., RV. 247836). Al problema della tempistica della richiesta di partecipazione all'udienza camerale, la sentenza n. 35399 del 2010 dedica particolare attenzione. A differenza del giudizio ordinario, nel giudizio camerale di appello «l'imputato detenuto ha l'onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire» e il diritto alla partecipazione è correlato alla regolarità e alla tempestività dell'adempimento, ossia alla circostanza che «la comunicazione sia fatta con modalità tali da permettere la traduzione dell'imputato per l'udienza», non potendosi prescindere da un «bilanciamento tra il diritto fondamentale dell'imputato di essere presente e la necessità di rispettare le caratteristiche di snellezza e celerità del rito prescelto dal medesimo imputato e di assicurare che la durata del processo non sia irragionevolmente e senza necessità prolungata per effetto di condotte dell'imputato maliziose o non giustificate» (da ultimo, sul tema, Sez. U., n.11803 del 27/02/2020, R., Rv. 278491). Si tratta di una interpretazione che trova conforto nella sentenza della Corte costituzionale n. 45 del 1991, la quale, con riferimento al procedimento di riesame, ha chiarito l'assoluta importanza dell'instaurazione del contraddittorio di fronte al giudice che dovrà assumere la decisione ed ha riconosciuto che l'imputato detenuto è certamente titolare di un interesse ad essere presente all'udienza per contrastare, se lo voglia, le risultanze probatorie ed indicare eventualmente altre circostanze a lui favorevoli. D'altra parte, il diritto-dovere del giudice di sentire personalmente l'imputato, e il diritto di quest'ultimo di essere ascoltato dal giudice che dovrà giudicarlo, rientrano nei principi generali d'immediatezza e di oralità cui s'informa l'attuale sistema processuale (nello stesso senso, Corte Cast. n. 31 del 2017). Dunque il diritto dell'interessato di partecipare personalmente al giudizio e di essere presente soprattutto se egli sia sottoposto a restrizioni della libertà personale, costituisce espressione qualificata del fondamentale diritto di difesa.
5. In tale contesto si pone la questione in esame nel presente procedimento.
5.1. È necessario fare riferimento agli artt. 23 e ss. d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176. Con la legge di conversione è stata attuata la fusione per incorporazione, nel testo del d.l. n. 137 del 2020, dei successivi decreti legge c.d. "Ristori" -bis -ter e -quater, contestualmente abrogati, le cui disposizioni sono state trasfuse integralmente nel primo, divenuto il testo di riferimento per le norme emergenziali. In particolare, sono state riportate le previsioni precedentemente contenute negli artt. 23-24- d.l. 9 novembre 2020, n. 149 (c.d. decreto Ristori-bis) - relative alla celebrazione e decisione dei giudizi penali d'appello e alla sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare nei procedimenti penali e dei termini dei procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati- ora divenute, rispettivamente, gli artt. 23-bis e 23-ter dell'articolato. L'art. 23 bis della legge indicata, espressamente dedicato al processo penale di appello, prevede che a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino al 31 aprile 2021, ad eccezione dei casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen., le udienze di appello si celebrano in camera di consiglio, senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, salvo che le parti private o il p.m. espressamente richiedano la discussione orale ovvero che «l'imputato manifesti la volontà di comparire» (comma 1). Il comma 2 prescrive, conseguentemente e coerentemente con l'assetto limitativo delle garanzie processuali, le regole per la discussione finale, secondo le quali le conclusioni devono essere formulate con atto scritto e trasmesse alla cancelleria della Corte d'appello per via telematica. Dalla norma in esame si evince che l'udienza di appello non si celebra in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti se: a) le parti private o il p.m. chiedano la discussione orale; b) se l'imputato manifesti la volontà di comparire. L'udienza dunque non si celebra in camera di consiglio senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, anche se, nonostante nessuna delle parti chieda la discussione orale, l'imputato manifesti la volontà di comparire. Oltre all'art. 23-bis legge n. 176 del 2020, assume rilievo l'art. 23, rubricato "Disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19". Come correttamente rilevato dal ricorrente e dalla dottrina, all'interno dei commi 3, 4 e 5 dell'art. 23, specificamente destinati ai giudizi penali, si fa a più riprese riferimento alle «udienze penali», senza alcuna specificazione in punto di fase o grado processuale in cui l'udienza medesima debba svolgersi. Il comma 4 dell'art. 23 garantisce la partecipazione a distanza a «qualsiasi udienza» delle persone «detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate», mediante esplicito richiamo ai commi 3, 4 e 5 dell'art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen., cioè alla norma processuale generale disciplinante la partecipazione a distanza al dibattimento penale. Il sistema prevede un generale incomprimibile diritto dell'imputato di partecipare all'udienza e prevede, come nel caso di specie, per gli imputati detenuti che la partecipazione a "qualsiasi udienza" sia garantita a distanza.
5.2. Il comma 4 dell'art. 23 bis dispone testualmente che "La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza". La questione attiene, come detto, a se la previsione indicata imponga un requisito di ammissibilità, nel senso che la richiesta presentata personalmente - e non tramite il difensore- dall'imputato detenuto precluda a questi il diritto di partecipare al "suo" processo. Si tratta di stabilire se la difformità dal modello legale - quanto alla modalità di presentazione "a mezzo del difensore" della richiesta - renda detta richiesta inammissibile e/o irricevibile e quindi legittimi la celebrazione dell'udienza nonostante l'imputato detenuto per il reato per cui si procede abbia tempestivamente manifestato - dal luogo presso il quale è ristretto - la propria volontà di essere presente e la Corte di appello abbia ricevuto detta domanda. Nel caso di specie, la richiesta di partecipare all'udienza era stata presentata con forme che non ponevano in dubbio la legittima provenienza della domanda dall'interessato, cioè dall'imputato, detenuto in carcere per il reato oggetto del processo. Una richiesta inoltre presentata tempestivamente dal soggetto che aveva il potere e l'interesse a proporla; una richiesta riguardante l'esercizio di un diritto fondamentale. Nella specie non assume rilevante valenza la tradizionale distinzione, delineata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, fra la legittimazione a proporre la domanda e le effettive modalità di proposizione, attenendo il primo concetto alla titolarità sostanziale del diritto ed il secondo al profilo dinamico del suo concreto esercizio. Si tratta di una distinzione elaborata soprattutto in tema di impugnazione e da cui si fa discendere la inammissibilità- espressamente prevista- di atti impugnatori non proposti dal difensore (così, Sez. U., 21/12/2017, dep. 2018, A., Rv. 272010). Nel caso in esame, tuttavia, non si trattava di una "domanda" introduttiva di un procedimento impugnatorio ovvero di un procedimento incidentale, ma di una richiesta dell'imputato rispetto alla quale il giudice non aveva nessun potere valutativo, dovendo, in presenza della volontà di presenziare, consentire la partecipazione di questi all'udienza. Una richiesta presentata in modo difforme rispetto al modello legale ma una difformità non sanzionata dalla legge con l'inammissibilità ovvero con l'irricevibilità o con la preclusione del suo esame da parte del Giudice. Ritenere nel caso in esame, anche in assenza di una previsione espressa, la richiesta inammissibile o preclusa, rischia di limitare le condizioni che consentono alle parti di accedere alla risposta giurisdizionale, riducendole arbitrariamente, e, soprattutto rischia di limitare il diritto di difesa cioè, come nel caso di specie, il diritto dell'imputato di partecipare al "suo" processo. In assenza di una norma che imponga all'imputato, nel compimento della richiesta di voler partecipare all'udienza, l'osservanza di specifiche forme previste a pena d'inammissibilità, non può farsi discendere la sanzione dalla mera difformità rispetto al modello legale. Ne deriva che la richiesta dell'imputato di presenziare alla udienza è stata nella fattispecie erroneamente non presa in considerazione dalla Corte di appello, con conseguente nullità dell'udienza e della sentenza, che, dunque, deve essere annullata senza rinvio con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di appello di Trieste per il giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste per il giudizio.