Svolgimento del processo
L.G. è stata convenuta in giudizio da A.N. che assumeva l'occupazione abusiva, da parte della G., di un suo immobile destinato ad uso commerciale. Il giudice di primo grado ha invitato le parti a procedere a mediazione obbligatoria, che è stata attivata dalla convenuta ed alla quale il N. non è comparso personalmente, delegando un suo difensore, non munito di procura speciale. Alla prima udienza, successiva alla mediazione, la ricorrente ha eccepito la nullità del procedimento di mediazione e la conseguente improcedibilità della domanda, in quanto il N. non era comparso personalmente ma a mezzo difensore, "per delega orale" privo di procura speciale. Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno ritenuto che la legge (art. 5 1. 28 del 2010) non prevede che la parte compaia personalmente, essendo sufficiente che vi sia il suo difensore, anche se privo di procura speciale e che comunque, anche ad ammettere che così non sia, non ne deriva improcedibilità del giudizio. Avverso la decisione di appello ha proposto la G. ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Sebbene intimato, N. non ha svolto difese nel giudizio di legittimità. Il ricorso è stato fissato dapprima alla camera di consiglio della sottosezione 6-3 del 16.04.2019 e poi, con ordinanza interlocutoria n. 8425 del 2021, rinviato a nuovo ruolo, per la trattazione in udienza pubblica in merito alla questione "della valida partecipazione di una delle parti alla procedura di mediazione, non personalmente ma tramite difensore non munito di procura speciale"; la causa è stata poi fissata per l'udienza pubblica del 25 gennaio 2022. Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, concludendo per l'accoglimento del ricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta con un unico motivo la "Violazione art. 360, comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 5 e 8 d. lgs. n. 28/201O e successive modifiche", dolendosi, in primo luogo, del fatto che la Corte territoriale ha dichiarato, erroneamente, che la ricorrente avrebbe eccepito tardivamente la nullità della mediazione civile, sebbene invece l'avesse sollevata puntualmente nell'udienza immediatamente successiva al tentativo negativo di conciliazione, come confermato sia dal verbale di udienza in data 28 maggio 2018 sia dall'ordinanza ex art. 702 ter comma 5 del Tribunale; in secondo luogo, della erronea interpretazione data dalla Corte di appello del dettato dell'art. 8 d. lgs. n. 28/2010, a mente del quale le parti "al primo incontro e a quelli successivi, fino al termine della procedura, devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato". La Corte di appello ha interpretato la disposizione richiamata nel senso che essa impone "l'assistenza del professionista legale, non anche la partecipazione personale della parte"; ha richiamato in proposito la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 3 27/03/2019 n. 8473 Rv. 653270 - 01) che ha ritenuto come nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010 -quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall'art. 5, comma 1 bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in I. n. 98 del 2013)-, è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste.
2. Il motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Parte ricorrente nel prospettare il contenuto del proprio ricorso si duole che la sentenza impugnata ha affermato, tra l'altro, che: "l'eventuale nullità del procedimento di mediazione, poi, non è stata eccepita tempestivamente dalla resistente, che ha posto la questione solo con gli scritti conclusionali del processo di primo grado" e si adopera per dimostrare di aver tempestivamente eccepito la nullità del procedimento di mediazione a verbale della prima udienza di comparizione dinanzi al Tribunale di prime cure, come risulta dal tenore dell'ordinanza in data 12 luglio 2018 conclusiva del procedimento sommario di cognizione, il cui testo è riportato nel ricorso in ossequio alla regola dettata dall'art. 366 n. 6 c.p.c.. Non si avvede parte ricorrente, però, che in questa affermazione si annida un manifesto errore compiuto dalla Corte di appello in quanto la detta nullità sarebbe stata rilevabile d'ufficio, dato che il problema della procedibilità per mancato esperimento della mediazione è questione rilevabile d'ufficio, errore che però non è stato censurato dalla ricorrente, con la conseguenza che su di esso si è formata la cosa giudicata interna. In altri termini, addebitando alla parte il mancato rilievo tempestivo, la Corte ha ritenuto che l'eccezione di mancata partecipazione personale o con una delega effettiva - fondata o non fondata che fosse - dovesse essere formulata dalla qui ricorrente, fosse cioè eccezione di rito rilevabile solo ad istanza di parte. L'assunto è errato, ma avrebbe dovuto essere censurato. Ne consegue che, essendosi formato giudicato parziale interno sul punto per acquiescenza ai sensi dell'art. 329 c.p.c., in questa sede è preclusa la possibilità di apprezzare in iure il motivo dando rilievo alla rilevabilità d'ufficio. Se questa Corte lo facesse violerebbe l'art. 329 c.p.c..
2.2. Tanto ritenuto, la successiva affermazione della Corte territoriale secondo cui l'eccezione de qua fosse stata proposta solo con gli scritti conclusionali e perciò, fosse tardiva, si risolve nella negazione, in una decisione che ha caratterizzato espressamente l'eccezione come sollevabile ad istanza di parte, dell'esistenza della proposizione dell'eccezione stessa in altro atto processuale e, dunque, anche in altro atto processuale anteriore a quegli scritti. L'affermazione, secondo quanto evidenziato da parte ricorrente, sarebbe stata errata perché l'eccezione era stata formulata all'udienza immediatamente successiva all'esito del procedimento di mediazione, che dovrebbe essere quella cui si allude nell'esposizione del fatto, cioè l'udienza del 28 maggio 2018. Senonché, tale affermazione si risolve nella deduzione dell'esistenza di un fatto processuale che a norma dell'art. 395, n. 4, c.p.c. si sarebbe dovuto dedurre con la revocazione ordinaria, in quanto inoppugnabilmente contrario a quello affermato dalla sentenza, cioè l'essere stata l'eccezione sollevata solo negli scritti conclusionali di primo grado. La Corte di merito ha supposto inesistente il fatto della deduzione prima di quel momento (cioè in una sede processuale antecedente, reputabile tempestiva), che, invece, la ricorrente sostiene essere stato esistente. Ma la ricorrente doveva dedurre tale esistenza ai sensi del n. 4 dell'art. 395 c.p.c. e non lo può fare con il ricorso per cassazione (tra tante, v. da ultimo, Cass. Sez. 6 - 1, 26/01/2022 n. 2236 Rv. 663756 - 01). Poiché la relativa ratio decidendi è da sola idonea a sorreggere la sentenza, l'impugnazione delle altre è inammissibile, in quanto la sentenza è passata in cosa giudicata su quella ratio. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso.
3. Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto difese nel giudizio di legittimità. L'inammissibilità del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese. L'inammissibilità del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.