Ciò basta a consentire al lavoratore di chiamare in causa il datore di lavoro e l'ente previdenziale per accertare l'obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi nei confronti del secondo.
L'odierno ricorrente agiva in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione contributiva correlata alla maggiorazione retributiva ottenuta.
Il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda proposta dal lavoratore e condannava la società datrice di lavoro al versamento dei contributi previdenziali connessi alla maggiore retribuzione e l'INPS alla...
Svolgimento del processo
1. Con sentenza nr. 3233 del 2001, passata in cosa giudicata, la Corte di appello di Palermo dichiarava il diritto di S.R. al trattamento retributivo relativo al «livello sesto, operaio qualificato» con decorrenza dal giugno 1990 e, per l'effetto, condannava la società A. Palermo S.p.a. (di seguito anche A.) al pagamento delle relative differenze.
2. Con ricorso depositato in data 8.9.2006 dinanzi al Tribunale di Palermo, S.R. agiva per la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione contributiva correlata alla maggiorazione retributiva. Chiedeva, altresì, dichiararsi l'obbligo dell'Inps alla riliquidazione del trattamento pensionistico, erogato a far tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro (1.12.1997). In linea subordinata, agiva per la condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni, ex art. 2116 cod.civ., o al versamento della riserva matematica necessaria all'erogazione di una rendita vitalizia, ex art 13 della legge nr 1338 del 1962.
3. Il Tribunale di Palermo, in accoglimento della domanda, ha condannato la società A. al versamento dei contributi previdenziali collegati alla maggiore retribuzione riconosciuta e l'Inps alla riliquidazione del trattamento pensionistico a decorre dalla data di cessazione del servizio.
4. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza qui impugnata, ha riformato la decisione di primo grado e respinto la domanda di S.R., condannandolo al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
5. Per quanto qui solo rileva, la Corte di appello ha giudicato prescritto il credito contributivo in quanto la denuncia del lavoratore, di cui all'art. 3, comma 9, della legge 335 del 1990, non era intervenuta nel quinquennio dalla scadenza per il versamento dei contributi medesimi (le differenze retributive erano riferite al periodo del rapporto di lavoro compreso tra il 1990 e il 12 giugno 1995; la richiesta di pagamento dei contributi era stata effettuata 1'11 giugno 2001).
6. Per la Corte territoriale, infatti, il giudizio promosso dal lavoratore per il riconoscimento delle differenze retributive non precludeva l'esercizio dell'azione volta ad ottenere il diritto alla regolarizzazione contributiva, sicché non veniva in rilievo la disposizione di cui all'art. 2935 cod.civ. Quest'ultima, invero, si riferisce all'impossibilità legale di far valere il diritto e non già ad ostacoli di mero fatto, quale la scelta difensiva, in concreto, operata.
7. La Corte di appello, inoltre, regolava le spese processuali in base al principio di soccombenza.
8. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione S.R. con tre motivi.
9. Ha resistito, con controricorso, la società A., successivamente illustrato con memoria.
10. L'Inps ha conferito delega in calce alla copia notificata del ricorso.
Motivi della decisione
11. Con il primo motivo - ai sensi dell'art 360 n. 5 cod.proc.civ. - è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 3, comma 9, legge nr. 335 del 1995 nonché -ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ.- l'omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti.
12. Il ricorrente censura la statuizione di prescrizione della domanda di regolarizzazione contributiva. A tale riguardo, assume che, con ricorso gerarchico indirizzato all'Inps il 6 maggio 1998 «e raccomandata spedita all'INPS 1'11.6.2001», dunque nel quinquennio dall'entrata in vigore della legge nr. 335 cit., avrebbe interrotto il termine di prescrizione.
13. Va esaminato, in via prioritaria, il vizio denunciato ai sensi dell'art.360 nr. 5 cod.proc.civ. che è inammissibile.
14. A prescindere dal rilievo di non specificità delle censure perché il contenuto del documento che si assume non valutato dai giudici (id est: il ricorso gerarchico) non è trascritto nell'odierno ricorso, in violazione dell'onere imposto ai sensi dell'art. 366 nr. 6 cod.proc.civ., il ricorrente deduce solo di aver «indirizzato» l'atto all'INPS nel 1998 ma non indica quando lo stesso sia giunto a conoscenza del destinatario. L'unico riferimento alla «spedizione» di una raccomandata è relativo a quella inviata nel 2001, come accertato dalla Corte di appello.
15. Difetta cioè l'illustrazione del «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. nr. 19881 del 2014, nr. 25008 del 2014, nr. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).
16. Ne consegue l'inammissibilità anche del prospettato vizio di violazione di legge, perché argomentato rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente.
17. Il vizio di cui all'art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. viene in rilievo, infatti, esclusivamente in relazione al fatto accertato in sentenza (ex plurimis, in motiv., Cass. nr. 14391 del 2018) che costituisce l'antecedente logico-giuridico del giudizio di sussunzione.
18. Con il secondo motivo -ai sensi dell'art 360 nr.3 cod. proc. civ. - è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2935 cod.civ.
19. È censurata la sentenza nella parte in cui ha escluso che il giudizio di riconoscimento del superiore inquadramento rilevasse ai fini del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di condanna al versamento della contribuzione, parametrata alla retribuzione dovuta.
20. Assume, in sintesi, il ricorrente che l'obbligo contributivo sarebbe sorto con la sentenza che ha condannato il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive.
21. Il motivo è infondato.
22. I contributi sono dovuti dal datore di lavoro in ragione della sussistenza del rapporto lavorativo (ex plurimis, v. Cass. nr. 19398 del 2014). L'obbligazione contributiva -e in modo speculare il diritto del lavoratore alla contribuzione - nasce ex /ege per effetto del rapporto di lavoro.
23. Entrambe le posizioni soggettive sono, poi, legate alla retribuzione «dovuta» e, dunque, all' effettivo atteggiarsi del rapporto di lavoro, a prescindere dall' accertamento giudiziale dello stesso.
24. In altre parole, il diritto alla (esatta) contribuzione sorge automaticamente per effetto della prestazione lavorativa e del diritto alla retribuzione. Ciò solo abilita il lavoratore a chiamare in causa il datore di lavoro e l'ente previdenziale, al fine di accertare l'obbligo contributivo del primo e sentirlo condannare al versamento dei contributi (sempre che ciò sia ancora possibile giuridicamente) nei confronti del secondo.
25. Correttamente, allora, la Corte di appello ha escluso l'operatività dell'art. 2935 cod.civ.
26. L'impossibilità di agire, atta a bloccare il corso della prescrizione, non deve derivare da fatto proprio del titolare del diritto.
27. Per quanto innanzi, l'attesa del riconoscimento, in sede giudiziale, del superiore inquadramento (e, in via derivata, del diritto alla maggiore retribuzione) configura solo una scelta del lavoratore e non un percorso obbligato tale da integrare la situazione tutelata dall'art. 2935 cod.civ.
28. In definitiva, il ricorrente avrebbe potuto agire per far valere, contestualmente, sia l'obbligazione retributiva che quella, inscindibilmente collegata al riconoscimento della maggiorazione salariale, di natura contributiva. La pretesa impossibilità altro non è che la risultante di un'opzione difensiva.
29. Con il terzo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. - è dedotta la violazione o falsa applicazione dell'art. 92, comma 2, cod.proc.civ.
30. Per il ricorrente, la Corte di appello avrebbe dovuto considerare che in primo grado era risultata parte vittoriosa e che inoltre, in merito alla normativa di riferimento, vi era un contrasto giurisprudenziale, sicché ricorrevano le condizioni per una compensazione delle spese di lite.
31. Il motivo è da respingere.
32. In generale, vale il principio per cui la liquidazione delle spese segue l'esito complessivo della lite e quindi il giudice di appello «allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale [ ...]» ( ex multis, Cass. nr. 27056 del 2021; Cass. nr. 9064 del 2018; Cass. nr. 11423 del 2016).
33. Nel caso di specie, il giudice di appello ha valutato la soccombenza dell'odierno ricorrente e, in coerenza, regolato le spese dei due gradi di merito.
34. Per il resto, non vi è spazio per il controllo di questa Corte. Il sindacato di legittimità, ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa; vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca sia in presenza delle altre condizioni di cui all'art. 92, comma 2, cod.proc.civ., tempo per tempo vigente. (ex allis, Cass. nr. 24502 del 2017).
35. Sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va pertanto rigettato.
36. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in misura ridotta, in favore dell'INPS, tenuto conto della sola partecipazione alla discussione orale.
37. Sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, per compensi professionali, in Euro 4.000,00, in favore di A. Palermo S.p.A., e in Euro 1.000,00, in favore dell'INPS, oltre, per ciascuna parte, Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.