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21 aprile 2022
La gestione di una farmacia può essere affidata ad una società che svolge attività medica?

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato risponde al quesito affermando nuovi principi di diritto.

La Redazione

Con la sentenza n. 5 del 14 aprile 2022, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato afferma i seguenti principi di diritto:

  • «la nozione di “esercizio della professione medica”, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 7, comma 2, secondo periodo, della l. 362/1991, deve ricevere un'interpretazione funzionale ad assicurare il fine di prevenire qualunque potenziale conflitto di interessi derivante dalla commistione tra questa attività e quella di dispensazione dei farmaci, in primo luogo a tutela della salute; in tal senso deve ritenersi applicabile la situazione di incompatibilità in questione anche ad una casa di cura, società di capitali e quindi persona giuridica, che abbia una partecipazione in una società, sempre di capitali, titolare di farmacia;
  • una società concorre nella “gestione della farmacia”, per il tramite della società titolare cui partecipa come socio, qualora, per le caratteristiche quantitative e qualitative di detta partecipazione sociale, siano riscontrabili i presupposti di un controllo societario ai sensi dell'art. 2359 c.c., sul quale poter fondare la presunzione di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c.».

La vicenda trae origine della delibera di un Comune di cedere la titolarità di una farmacia mediante pubblico incanto al miglior offerente.
In sede di giudizio, parte attrice lamentava che la società aggiudicataria è risultata a sua volta controllata al 100% da un'altra società che gestiva case di cura e che quindi svolgeva attività medica. Inoltre, le due società condividevano anche la medesima sede legale e una stessa persona rivestiva la carica di presidente del consiglio di amministrazione della casa di cura e di amministratore unico della società che avrebbe gestito la farmacia.

Le questioni sottoposte all'esame dell'Adunanza Plenaria riguardano le modalità di esercizio dell'attività farmaceutica e il regime di titolarità e gestione delle farmacie.
I Giudici ripercorrono la disciplina e le modifiche che si sono susseguite nel corso del tempo. In primo luogo, ricordano la L. n. 468/1913, la quale modificò il precedente regime dell'800 verso «una sostanziale libertà nell'apertura degli esercizi»; con essa, l'attività di vendita al pubblico di farmaci al dettaglio è un servizio pubblico in concessione disciplinata, vigilata e soggetta a programmazione. Con la riforma del 1913, il servizio farmaceutico viene riservato al farmacista, quale professionista protetto e persona fisica titolare di un'autorizzazione amministrativa personale e non cedibile, e soggetto a un divieto di esercitare in «altri rami dell'arte salutare».
Successivamente, la professione è diventata ibrida con aspetti imprenditoriali, e il farmacista è da un lato rimasto professionista, tramutandosi in concessionario di pubblico servizio e imprenditore soggetto a fallimento. Poi, ai farmacisti persone fisiche si sono affiancate società di persone e cooperative con soci farmacisti iscritti all'Albo e idonei in un concorso a sedi farmaceutiche. Con la Legge n. 124/2017 vi è stata un'apertura alle società di capitali anche per le farmacie private, abolendo l'obbligo che i soci delle società che gestiscono farmacie siano a loro volta farmacisti.

Emergono così rapporti contrattuali e collegamenti tra professionista medico e organizzazioni aziendali, che giustificano l'applicazione di regole complesse quali quella sulla responsabilità sanitaria. Sulla base di tali osservazioni, l'Adunanza Plenaria annulla il contratto per incompatibilità dell'acquirente ritenendo insuperabile la commistione di interessi tra medici che prescrivono medicine e farmacisti interessati alla vendita, in un'ottica di tutela del diritto alla salute di rango costituzionale.