Rigettato il ricorso dell'imputato che chiedeva la qualificazione del reato come molestia ex art. 660 Codice penale. Per la Cassazione, incide la condotta reiterata per due anni, anche attraverso minacce effettuate via social network.
La Corte d'Appello di Roma confermava nei confronti dell'imputato la pena di sei mesi di reclusione e il risarcimento dei danni alla vittima per il reato di atti persecutori.
L'imputato ricorre in Cassazione sostenendo che la vittima aveva dichiarato di reputarsi solo “infastidita” dal comportamento del ricorrente...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma ha confermato la condanna, emessa dal Tribunale di Latina, in data 7 novembre 2019, nei confronti di DC., alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., oltre al risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile equitativamente.
2. Avverso l'indicato provvedimento ricorre l'Imputato, per il tramite del difensore, denunciando tre vizi, di seguito riassunti, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo e secondo motivo si deduce violazione di legge ed erronea applicazione di legge penale, con riferimento all'art. 192 cod. proc. pen., alla qualificazione del reato come atti persecutori (e non molestie) e correlato vizio di motivazione.
2.1. Si assume che il fatto descritto dalla persona offesa, come già dedotto con l'atto di gravame, non troverebbe conforto in Itri elementi estrinseci di riscontro. Anzi, gli altri testimoni indicati nell'atto di appello, non sarebbero stati in alcun modo presi in esame dalla Corte territoriale che sarebbe Incorsa in omessa motivazione su tale punto del gravame. Si denuncia, poi, la carenza di attendibilità della persona offesa, per quanto concerne la sussistenza dell'evento del rea o del grave stato d'ansia o paura per la propria incolumità, tenuto conto e le dichiarazioni da questa, rese sul punto, non sarebbero supportate da elementi documentali o da prove dichiarative di riscontro. Inoltre, si sottolinea I assenze} di riscontri anche sul nesso causale tra le condotte dell'imputato e le condizioni psichiche della vittima, reputato provato soltanto sulla base delle dichiarazioni rese al dibattimento dalla persona offesa, costituita parte civile e dal suo compagno. Tanto, alla stregua proprio dello stesso tenore di tali affermazioni, avendo la donna dichiarato di reputarsi solo "infastidita" dal comportamento dell'imputato temendo conseguenze per il suo lavoro quindi nell'assenza di prova dell'evento del delitto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata nel ricorso, dovrebbe essere ancorata a elementi sintomatici del turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dai comportamenti successivi al reato e anche dalle effettive condizioni in cui la condotta si è consumata. Nella specie, la stessa parte civile descrive un mero fastidio, quindi emergerebbe la minima offensività del fatto che ha indotto a modesti cambiamenti di abitudini di vita, tali da non potersi confondere con il necessario grave e perdurante stato di ansia o paura che legittima la configurabilità del reato di atti persecutori. Sicché il fatto dovrebbe qualificarsi come molestie ai sensi dell'art. 660 cod. pen., considerato che, alla stregua del principio di offensività, dovrebbe escludersi la rilevanza penale di quei comportamenti che, percepiti dalla vittima come fastidiosi, hanno condotto a minimi cambiamenti delle abitudini di vita.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge ed erronea applicazione di legge penale, in relazione all'art. 51 cod. pen. L'Imputato ha attuato il diritto di manifestare in pubblico il proprio pensiero nel corso degli accessi operati dinanzi al negozio della persona offesa, esponendo quello che aveva subito dai familiari della cugina, con condotta che, dunque deve essere scriminata ai sensi dell'art. 51 cod. pen.
3. La Parte civile e la difesa dell'imputato hanno chiesto la trattazione orale accordata.
3.1. All'esito della discussione, il Procuratore generale ha concluso (chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3.2. La parte civile ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, con deposito di conclusioni scritte e nota spese.
3.3.II difensore del ricorrente ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile perché denuncia vizi manifestamente infondati o, comunque, non consentiti In sede d legittimità.
1.11 primo motivo è inammissibile.
1.1. Si osserva, infatti, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale è inibita una rivalutazione in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D., Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, C., Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, M., Rv. 262948; Sez. 2, n.20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
1.1.1. Inoltre, si rileva che le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., come è noto, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto che, peraltro, deve, in tal caso, essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, specialmente quando la parte lesa è costituita parte civile (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, B., Rv. 253214; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D., Rv. 271623; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, M., Rv. 265104; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, C., Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, M., Rv. 262948). Orbene i giudici di merito si sono mossi proprio nell'ambito dell'alveo interpretativo tracciato dai menzionati arresti di questa Corte, evidenziando la linearità della deposizione della parte lesa e la circostanza che detta deposizione ha trovato plurimi elementi di conforto, non solo nelle dichiarazioni dello stesso imputato che non ha mai negato di essersi appostato davanti al negozio della parte lesa, nelle occasioni da questa descritte, ma anche in documenti (rilievi fotografici che riprendono il ricorrente nelle pertinenze dei locali della vittima) e In altra deposizione testimoniale proveniente dal compagno della persona offesa. Anche in relazione al ritenuto evento del reato, rappresentato, nella specie, dal grave stato d'ansia o paura per la propria incolumità provocato alla vittima e nel mutamento di abitudini di vita (cfr. pag. 10 della sentenza: la donna aveva ottenuto dal proprio compagno la presenza sempre nella giornata del sabato In cui il ricorrente era solito presentarsi del luogo di lavoro ove questa si trovava), si osserva che la deposizione della persona offesa, sul punto, risulta indicata dal giudici di merito come attendibile, con ragionamento completo e non manifestamente illogico, peraltro co fermato dal solido elemento di riscontro, rappresentato dalla deposizione dell’altro teste C.
1.1.2. La prospettazione difensiva, poi, che vuole la vittima soltanto infastidita dalla condotta del ricorrente, non anche intimorita o indotta a cambiare le proprie abitudini lavorative e di vita, è alternativa rispetto a quella che si riservava dai convergenti provvedimenti di merito (le cui motivazioni si integrano per confluire in un unico percorso giustificativo (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, B., Rv. 259929; Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, A., 257:056; Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, R.C., Rv. 215722) e presumerebbe il riesame, da parte di questa Corte, delle fonti di prova dichiarativa non consentito in questa sede.
1.2. II secondo motivo è manifestamente infondato posto che corretta è la qualificazione giuridica della condotta come atti persecutori. È noto, invero, che la fattispecie di cui all'art. 612-bis cod. pen. è reato caratterizzato da una serie di condotte, minacciose o moleste (anche solo due: Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, P., Rv. 273622; Sez. 5, n. 46331 del 3/06/2013, O.V., Rv.257560; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010, Rv. 245881) le quali, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire delitto, ma che rinvengono la ratio dell'antigiuridicità penale nella reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice la quale prevede, ai fini della configurazione di detto reato, la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente dalla stessa contemplati (Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2013, C, Rv. 267954, Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv. 265231). Conforme a detti principi è la motivazione, quanto alla descrizione della reiterazione delle condotte, reputate atte ad ingenerare timore per la propria incolumità e grave stato di ansia nella vittima. Tanto, tenendo conto che la vittima, peraltro, ha descritto un mutamento delle abitudini di vita quanto alla necessità di ottenere la costante presenza del proprio compagno nel giorno del sabato in cui si concentravano le visite dell'imputato. Che si sia trattato di stato perdurante di ansia o paura derivante dalle condotte in addebito, si ricava, secondo la motivazione non manifestamente illogica della pronuncia impugnata, dalla reiterazione delle condotte, descritte come perpetrate per due anni, attraverso condotte che non si sono limitate a mere molestie, come dedotto, assumendo, Invece, anche la connotazione di minacce, attuate attraverso i social network, o mediante appostamenti sul luogo di lavoro, con la finalità di ottenere la risoluzione di un'annosa questione familiare.
1.3.il terzo motivo è manifestamente infondato. Si tratta di censura proposta in sede di gravame, cui la Corte territoriale ha risposto con ragionamento corretto ed immune da censure di ogni tipo. In ogni caso, si rileva che durante gli accessi davanti al negozio della vittima, l'imputato non si limitava ad esprimere, in modo continente, opinioni ma attuava una condotta di minacce molestie che sono trasmodate, in quanto reiterate e Idonee a cagionare l'evento tipico, del delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen.
Non può ritenersi operante l'invocata causa di giustificazione, ai sensi dell'art. 51 cod. pen., pacificamente esclusa quando la condotta trasmodi nella lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti, dovendo tenersi conto del tenore del linguaggio utilizzato, dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica (ad esempio, oltre che a mezzo facebook, fermando i passanti davanti al nego io della persona offesa, riferendo loro che i proprietari del negozio erano farabutti o truffatori, o incatenandosi mostrando un cartello con scritte offensive nei confronti di familiari della vittima) oltre all'insormontabile limite del rispetto dei valori fondamentali (tra le altre, Sez. 5, n. 8898 del 18/01/2021, Fanini, Rv.,.280571).
2. Segue alla pronuncia, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell'ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita.
2.1. Il rapporto tra le parti impone, ai sensi dell'art. 52 del d. lgs. n. 196 del 2003 che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.510,00 oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.