Con l'ordinanza in commento, la Suprema Corte ribadisce quali sono i parametri a cui il giudice dell'esecuzione deve attenersi per determinare la liquidazione delle spese del processo esecutivo.
A seguito della liquidazione delle spese del processo esecutivo, un avvocato ricorre in Cassazione contestando la determinazione effettuata dal Giudice dell'esecuzione poiché inferiore ai valori medi previsti dalla tariffa forense e, anzi, addirittura inferiori ai minimi.
In primo luogo, la Suprema Corte...
Svolgimento del processo
M.A. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso una ordinanza di assegnazione di crediti da lui pignorati in danno di Poste Italiane S.p.A. presso i terzi M.P.S. S.p.A. e W. Telecomunicazioni S.p.A., contestando la liquidazione delle spese del processo esecutivo in suo favore. L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Roma. Ricorre il A., sulla base di due motivi. Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A.. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Erronea liquidazione delle spese di procedura esecutiva (violazione dell’art. 91 c.p.c. e del DM 55/2014) Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Violazione e falsa applicazione del D.M. 2 aprile 2014 n. 55 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.)». Secondo il ricorrente, nella liquidazione delle spese del pro- cesso esecutivo da lui promosso, il giudice dell’esecuzione avrebbe illegittimamente riconosciuto importi inferiori a quelli medi previsti dalla tariffa forense e, anzi, addirittura inferiori ai minimi. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
1.1 Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (che il ricorso non offre ragioni per rimeditare), «in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo» (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021, Rv. 660050 – 02; nel medesimo senso, cfr.: Cass., Sez. 6 - L, Ordinanza n. 2386 del 31/01/2017, Rv. 642544 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26608 del 09/11/2017, Rv. 646828 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 12537 del 10/05/2019, Rv. 653760 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021, Rv. 661839 – 03). Va dunque, in primo luogo, esclusa la fondatezza dell’assunto del ricorrente secondo il quale la liquidazione delle spese del processo esecutivo avrebbe dovuto essere parametrata ai va- lori medi della tariffa.
1.2 Per quanto riguarda la dedotta violazione dei valori minimi dei compensi previsti dalla tariffa, il ricorrente sostiene che, in virtù del carattere “omnicomprensivo” della liquidazione delle spese dell’esecuzione (per complessivi € 380,00), sarebbe in realtà stato riconosciuto in suo favore dal giudice dell’esecuzione un importo pari a soli € 190,17 a titolo di compensi (secondo il conteggio analitico svolto nel ricorso, della somma complessiva liquidata andrebbero infatti imputati: € 28,53 a spese generali; € 8,75 a CPA; € 50,04 a IVA; € 9,50 a spese di notifica del pignoramento; € 70,00 a spese di iscrizione a ruolo dello stesso pignoramento; € 23,03 a spese di copia dell’ordinanza di assegnazione). Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la liquidazione complessiva di € 380,00 effettuata dal giudice dell’esecuzione non può in realtà affatto ritenersi comprensiva anche degli ulteriori accessori (spese generali, IVA, CPA non- ché spese e compensi successivi relativi alle attività di estrazione di copie e notifica dell’ordinanza di assegnazione). Esaminando la copia dell’ordinanza di assegnazione prodotta dallo stesso ricorrente, infatti, si rileva che in essa risulta interlineata la parte del modulo prestampato utilizzato dal giudice, contenente la seguente indicazione, relativa all’importo liquidato a titolo di spese di esecuzione: «comprese spese generali, iva e cpa, nonché i diritti successivi …». Inoltre, l’assegnazione finale dell’importo pignorato, per € 1.575,94 (pari ad € 1.195,94 per sorta e € 380,00 per le indicate spese di esecuzione), contiene l’espressa seguente precisazione: «oltre gli importi, purché documentati, relativi alle spese vive di copia, registrazione e notifica del presente provvedimento». Nel conteggio del ricorrente, sono invece imputati a spese vive gli importi di € 79,50 (€ 9,50 per la notifica ed € 70,00 per l’iscrizione a ruolo del pignoramento) e di € 23,03 (quali spese per le copie dell’ordinanza di assegnazione). Ora, in base a quanto appena rilevato, le spese per le copie dell’ordinanza di assegnazione sono da ritenere espressamente escluse dall’importo liquidato, mentre nel ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non vi è alcun riferimento ai documenti che – a sostegno della censura svolta – attesterebbero gli altri esborsi: tali documenti non sono allegati al ricorso e di essi non è neanche indicata l’eventuale al- locazione nel fascicolo processuale, il che impedisce di valutare, con riguardo al punto in contestazione, la correttezza degli assunti posti a base delle censure svolte. Va, d’altra parte, in proposito ribadito quanto di recente chiarito da questa stessa Corte, e cioè che «nelle procedure esecutive, alla “fase istruttoria”, per la quale l’ultimo periodo dell’art. 4 del d.m. prevede la possibilità di una immotivata riduzione fino al settanta per cento, corrisponda la “fase di trattazione e conclusiva” descritta al punto 17 della tabella allegata al decreto: con la conseguenza che il giudice può allora discostarsi, senza alcuna particolare motivazione, da quei valori medi in ragione del cinquanta per cento per il compenso per la fase introduttiva e del settanta per cento per quella successiva» (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenze nn. 7349 e 7350 del 07/03/2022, che al momento non risultano ancora massimate). Di conseguenza (diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, secondo il quale la riduzione ai fini della determinazione del minimo non potrebbe mai superare il 50%), il complessivo compenso minimo, per lo scaglione di valore applicabile nella fattispecie, ammonta ad € 319,50, come emerge dal seguente conteggio: Fase introduttiva: compenso medio € 315,00; compenso minimo (riduzione del 50%): € 157,50 - Fase di trattazione e conclusiva: compenso medio € 540,00; compenso minimo (riduzione del 70%): € 162,00 - Compenso minimo complessivo: € 157,50+€ 162,00= € 319,50. La censura per cui dovrebbero ritenersi violati i minimi di tariffa, formulata sulla base del conteggio contenuto nel ricorso, risulta in definitiva inammissibile, in quanto la liquidazione complessiva pari ad € 380,00 non può ritenersi di per sé in violazione dei minimi tariffari e, in mancanza della necessaria specificità del ricorso con riguardo alle spese vive non imponibili documentate dal ricorrente, non è possibile valutare se sussiste effettivamente la dedotta violazione.
1.3 Infine, con riguardo alla contestazione del carattere “seriale” del procedimento esecutivo che ha dato luogo alla liqui dazione contestata, la Corte osserva che, al di là del termine impiegato dal tribunale (“procedura seriale”), va considerata Data pubblicazione 21/04/2022 certamente legittima (e anzi addirittura auspicabile, almeno nei tribunali di più grandi dimensioni) l’utilizzazione di tabelle predisposte in via generale dall’ufficio per garantire l’uniformità delle liquidazioni nei procedimenti come quelli di espropriazione presso terzi in cui non si pongano particolari questioni giuridiche, il che di certo si verifica quando, come nella specie, si tratti di esecuzioni aventi ad oggetto depositi presso enti o istituti pubblici o che, comunque, svolgono una massiccia attività a contatto con il pubblico e, quindi, sono interessati da un elevato numero di procedimenti di analoga tipologia, soprattutto quando l’esecuzione stessa sia fondata su titolo esecutivo costituito da una precedente ordinanza di assegnazione e/o si tratti di competenze professionali dovute in base a clausole di distrazione in favore di legali che svolgono frequentemente la loro attività nel suddetto campo. In tali casi, le attività svolte dal difensore sono di regola molto semplici e ripetitive ed è, quindi, più che opportuno garantire l’uniformità di trattamento in sede di liquidazione delle spese processuali, purché ciò avvenga: a) con rigorosa espressa distinzione tra gli importi riconosciuti a titolo di spese vive non imponibili e di quelli riconosciuti a titolo di compensi professionali (dovendosi ritenere illegittima la mera indicazione dell’importo complessivo, priva della distinta specificazione delle due voci, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 23919 del 29/10/2020, Rv. 659360 – 01; nel medesimo sen- so: Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 32394 del 11/12/2019, Rv. 656119 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18905 del 28/07/2017, Rv. 645162 – 01; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 19623 del 30/09/2016, Rv. 641242 – 01; Sez. L, Sentenza n. 24890 del 25/11/2011, Rv. 619783 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16390 del 14/07/2009, Rv. 609257 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 6338 del 10/03/2008, Rv. 602401 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5318 del 08/03/2007, Rv. 596694 – 01); b) di regola, nel rispetto dei minimi di tariffa, per quanto riguarda i compensi; c) eventualmente, anche in deroga ai minimi tariffari, purché in tal caso sulla base di adeguata motivazione (si vedano in proposito le pronunzie già richiamate al paragrafo 1.1: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021, Rv. 660050 – 02; nel medesimo senso, cfr.: Cass., Sez. 6 - L, Ordinanza n. 2386 del 31/01/2017, Rv. 642544 – 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26608 del 09/11/2017, Rv. 646828 – 01; Sez. L, Ordinanza n. 12537 del 10/05/2019, Rv. 653760 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021, Rv. 661839 – 03). La deroga ai minimi di tariffa potrebbe, del resto, ritenersi giustificata, ad esempio, nelle procedure promosse per crediti di scarsa entità economica, in cui l’importo liquidato a titolo di spese rischierebbe di essere addirittura superiore al credito per cui si procede, o in altri analoghi casi (la legittimità della deroga ai minimi tariffari può trovare, in generale, adeguata giustificazione anche nei principi di correttezza e buona fede processuale: si considerino in proposito i principi richiamati, sia pure a diverso fine, in Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4228 del 03/03/2015, Rv. 634704 – 01, nonché il principio generale al- la base di una disposizione come quella di cui all’art. 91, comma 4, c.p.c., benché operante in via diretta esclusivamente in una peculiare e limitata ipotesi), ferma restando l’esigenza di adeguata esplicita motivazione. In definitiva, le censure formulate dal ricorrente con riguardo al punto in esame devono ritenersi infondate.
2. Con il secondo motivo si denunzia «Difetto di motivazione. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.)». Il secondo motivo resta assorbito, risolvendosi la disamina delle censure formulate con il ricorso sulla base delle considerazioni espresse in relazione al primo, in parte relative alla loro stessa ammissibilità ed in parte esclusivamente in diritto. Poiché, del resto, dalle predette considerazioni emerge la sostanziale correttezza della decisione impugnata, nel suo dispositivo finale, essa va comunque confermata, anche ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c., mentre la relativa motivazione può comunque intendersi corretta e/o integrata proprio sulla base di tali considerazioni.
3. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte: - rigetta il ricorso; - condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liqui- dandole in complessivi € 600,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.