Il compimento dell'età pensionabile non comporta l'estinzione automatica del rapporto di lavoro, ma in presenza di fatti ulteriori idonei a risolvere il medesimo per volontà del lavoratore si esclude la reintegrazione.
A seguito di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, la Corte d'Appello di Cagliari annullava il licenziamento intimato al ricorrente e condannava il datore di lavoro al risarcimento del danno nei suoi confronti.
In sintesi, la Corte territoriale aveva ritenuto che, tenuto conto che il raggiungimento dell'età pensionabile del lavoratore non determina l'estinzione...
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Cagliari, con sentenza pubblicata in data 9 ottobre 20 9, in seguito a rinvio disposto da questa Corte con la sentenza a Sezioni unite n. 2568 del 20 8, ha annullato il licenziamento intimato ad (omissis) con lettera dell'8 luglio 2004 dal (omissis) Spa, condannando la società "al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni globali di fatto che sarebbero spettate dalla data del licenziamento fino alla data del collocamento in quiescenza (3 . 2.2004 compreso)", oltre accessori e spese
2. i giudici del rinvio, in sintesi, dopo avere premesso che "il raggiungimento dell'età pensionabile non determina l'automatica estinzione del rapporto di lavoro", hanno ritenuto che, nel caso sottoposto al loro esame, "si è concretizzato un fatto ulteriore, che ha determinato l'estinzione del rapporto di lavoro e resa impossibile la reintegrazione, anche a seguito di sentenza di annullamento"; hanno rilevato che l'(omissis) "è stato collocato in quiescenza dal 1° gennaio 2005, su propria domanda, e gode di pensione di vecchiaia: questo comportamento concludente ha prodotto il duplice effetto ricordato, sia sotto il profilo dell'estinzione del rapporto di lavoro sia sotto quello dell'impossibilità concreta della reintegrazione"; la Corte cagliaritana aggiunge che "tale soluzione si inserisce nel novero di quelle che tengono in considerazione l'impossibilità oggettiva della reintegrazione per fatto non imputabile, come la cessazione dell'attività aziendale, la cessione del ramo impresa, etc." e richiama "espressamente sul punto Cass. n. 0.72 del 20 9 e 4.426 del 2000, anche ai fini dell'art. 8 disp. att. c.p.c., cui dichiara di conformarsi integralmente";
3. per la Corte adita, infine, "la domanda relativa al risarcimento del danno esistenziale non può trovare accoglimento, poiché formulata in modo totalmente generico, basata su petizioni di principio e priva di allegazioni specifiche o deduzioni di prova al riguardo";
4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l'(omissis) con 2 motivi ha resistito con controricorso il (omissis) Spa.
5. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e o falsa applicazione dell'art. 18 S.d.L., nella formulazione antecedente alla legge n. 92 del 2012, dell'art. 2118 c.c. e dell'art. 1362 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. e all'art. 384, comma 2, c.p.c.; si critica diffusamente la sentenza impugnata per avere respinto la domanda di reintegrazione del lavoratore e conseguentemente escluso l'esercizio dell'opzione per le 15 mensilità di indennità sostitutiva; con il secondo motivo si lamenta, ancora a mente del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 S.d.L., nella formulazione all'epoca vigente, per avere indebitamente ridotto il risarcimento del danno dovuto dalla società alla data della percezione della pensione di vecchiaia
2. il Collegio reputa i due motivi, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, inammissibili
2.1. invero, pur prospettando formalmente errores in iudicando, nella sostanza censurano un accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito in ordine all'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti (2005), in data successiva al licenziamento (7.7.2004) ed antecedente alla proposizione della sua impugnativa (30. .2007), in ragione di un comportamento concludente la Corte cagliaritana, infatti, si mostra consapevole - come riportato nello storico della lite - che il raggiungimento dell'età pensionabile non determina l'automatica estinzione del rapporto di lavoro da questo punto di vista la sentenza impugnata non reca alcuna affermazione in contrasto con i precedenti di legittimità secondo i quali "il compimento dell'età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l'attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia da parte del lavoratore, determinano soltanto il venir meno del regime di stabilità del rapporto (con conseguente recedibilità "ad nutum") ma non anche l'automatica estinzione dello stesso, che, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, è destinato a proseguire, con diritto del lavoratore alla retribuzione, anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di età" (tra molte, v. Cass. n. 9312 del 20 4 Cass. n. 3 8 del 20 8 Cass. n. 52 del 20 9) d'altra parte, la Corte costituzionale ha rilevato come, "in una società come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l'assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di stabilità del posto) per i lavoratori che abbiano già conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale" (vedi: Corte cost. sentenze n. 5 del 983 n. 309 del 992 n. 225 del 994 n. 74 del 97 n. 45 del 965)
2.2. ciò posto in diritto, la Corte territoriale ha ritenuto in fatto che la domanda di pensionamento di vecchiaia, unitamente al suo conseguimento (peraltro in un momento di gran lunga antecedente alla proposizione dell'azione giudiziale), costituissero fatti ulteriori idonei a risolvere il rapporto di lavoro per una volontà riconducibile al lavoratore si tratta di un apprezzamento nel merito della vicenda fattuale che non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità, così come non lo è qualsivoglia comportamento concludente che si assuma idoneo a risolvere un rapporto di lavoro, in ipotesi ancora sub iudice (per tutte v. Cass. n. 2978 del 20 7, in tema di mutuo consenso successive conf.: Cass. n. 3660 del 20 8 Cass. n. 3958 del 20 8 Cass. n. 6948 del 2018; precedenti che evidenziano come l'accertamento di una volontà diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisca apprezzamento di merito, che può essere sindacato innanzi a questa Corte secondo le rigorose regole previste dall'art. 360, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigente, ma non certo nelle forme di un error in iudicando) accertamento di fatto che non collide con princìpi di diritto, considerato che le stesse decisioni di questa Corte innanzi richiamate escludono l'automatica estinzione del rapporto di lavoro per il compimento dell'età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l'attribuzione del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, per cui il rapporto è destinato a proseguire, con diritto alla retribuzione, sempre fatto salvo, però, che non intervenga "un valido atto risolutivo del datore di lavoro", che ha un'autonoma e successiva efficacia estintiva, così come l'atto risolutivo riconducibile ad una volontà concludente del lavoratore (cfr. anche Cass. n. 9520 del 20 8, per la possibilità che il dipendente rinunci alla reintegrazione e manifesti la volontà di non riprendere servizio quale elemento ostativo al risarcimento del danno da illegittimo licenziamento successivo al maturarsi di detti eventi)
2.3. una volta ritenuto risolto il rapporto di lavoro per altra causa, antecedente alla pronuncia giudiziale che ha acclarato l'illegittimità del licenziamento, la Corte di Appello ha conseguentemente escluso la reintegrazione in un posto di lavoro ormai dismesso per volontà del lavoratore e, quindi, la possibilità stessa di riconoscere il pagamento dell'indennità sostitutiva che detto ordine di reintegrazione presuppone (cfr. Cass. n. 072 del 20 9, per un caso in cui, ribadito che "la sola maturazione del diritto a pensione ed anche la sola domanda di pensione, non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto (licenziamento, dimissioni o pensionamento) idoneo a risolverlo" ha considerato che la sentenza impugnata aveva accertato che il licenziato era andato effettivamente in pensione, "non essendo così più possibile la reintegra né il pagamento dell'indennità sostitutiva", richiamando a sostegno Cass. n. 14426 del 2000); non può tacersi, poi, che tale ricostruzione fattuale evita che l'(omissis) sia esposto all'azione di ripetizione da parte del soggetto erogatore della pensione di vecchiaia per i trattamenti previdenziali ricevuti che, altrimenti, sarebbero pacificamente indebiti (per tutte v. Cass. n. 6350 del 20 7) e neanche detraibili quale aliunde perceptum (per tutte v. Cass. SS.UU. n. 2 94 del 2002), precludendo così anche eventuali locupletazioni
2.4. neppure può sostenersi che la decisione della Corte sarda abbia violato i limiti posti dalla sentenza rescindente delle Sezioni unite (sent. n. 2568 del 20 8) che ha dato luogo al giudizio di rinvio, avendo la stessa statuito: «Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2 0, comma 2, cod. civ.» principio al quale la Corte del rinvio si è uniformata, dichiarando l'invalidità del licenziamento e provvedendo poi sulle conseguenziali pronunce, rispetto alle quali la sentenza rescindente non aveva statuito.
2.5. in definitiva, parte ricorrente non si misura adeguatamente con la descritta effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, prospettando solo formalmente una violazione o falsa applicazione di legge ma inevitabilmente censurando, nella sostanza, un accertamento di fatto ed invocando così un sindacato che esorbita dai poteri conferiti a questo giudice di legittimità
3. per analoga ragione non può trovare accoglimento la censura contenuta nell'ultima parte del secondo motivo di ricorso, peraltro estranea alla questione posta dal motivo e dalla sua rubrica, con cui si lamenta che la Corte di Appello ha negato il risarcimento del danno cd. esistenziale, in violazione dell'art. 1226 c.c. e 115 c.p.c.; la doglianza, priva della necessaria specificità, propone una inammissibile rivisitazione delle risultanze processuali, non coerente con i limiti del giudizio di legittimità, rispetto ad una pronuncia che è conforme al principio secondo cui, nel regime di tutela reale assicurato dall'art. 8 della legge n. 300 970, la predeterminazione legale del danno in favore del lavoratore non esclude che quest'ultimo possa chiedere il risarcimento degli ulteriori pregiudizi che siano derivati dal ritardo nella reintegra, ma è necessario, affinché il giudice possa ricorrere alla liquidazione equitativa, che il lavoratore assolva all'onere della prova sullo stesso gravante (Cass. n. 9073 del 20 3 e Cass. n. 59 5 del 2009), ciò perché «il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato» (Cass. SS.UU. n. 26972 del 2008).
4. conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 5%. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma bis dello stesso art. 3, se dovuto.