La repentinità dell'azione e le modalità di utilizzo dell'arma bianca sono dimostrative non soltanto della lucida determinazione dell'aggressore ma anche di una sua condizione psichica ineludibilmente legata a plurime esperienze di vita da "adulto”.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa in data 25.9.2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Chieti, in esito a rito abbreviato, dichiarava C.E. responsabile del delitto di omicidio aggravato dai futili motivi, dall'approfittamento di circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la difesa e dall'uso di un mezzo insidioso (art. 575, 577 comma primo, nn. 2 e 4 in relazione all'art. 61, nn. 1 e 5 cod. pen.) e lo condannava, ritenuta la diminuente per il rito, alla pena di anni trenta di reclusione. Secondo l'imputazione, egli aveva ingaggiato una discussione orale all'interno di un esercizio pubblico con D.F., che si trovava in evidente stato di ebrezza alcolica e l'aveva fronteggiato impugnando una bottiglia di vetro dopo averla infranta; nel corso della colluttazione aveva attinto la vittima all'altezza del collo, provocandone la morte quasi immediata per dissanguamento.
2. Avverso tale pronuncia era proposto appello da parte dell'imputato, di cui era investita la Corte di Assise di Appello di L'Aquila che, con sentenza del 22.11.2018, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concedeva all'imputato le attenuanti generiche, valutandole equivalenti alle contestate aggravanti, e rideterminava la pena in anni sedici di reclusione.
3. Per quanto ancora rileva, la I sezione di questa Corte, con sentenza n. 3263 del 18.11.2019 - 27.01.2020, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza a1rnravante del mezzo insidioso, che è stata esclusa, e con rinvio in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Con riguardo a quest'ultimo profilo, la Corte di legittimità ha evidenziato come la Corte territoriale avesse omesso di confrontarsi con le considerazioni del giudice di primo grado che ne aveva ampiamente motivato il diniego. Pur tenendo conto dell'incensuratezza dell'imputato, infatti, il primo giudice aveva ritenuto prevalenti le considerazioni negative sulle modalità dell'azione, sulla gravità del danno, sull'intensità del dolo, sulla capacità a delinquere dell'imputato nonché sulla condotta contemporanea e susseguente al reato, segnalando anche la condotta processuale di essersi sottoposto tardivamente ad interrogatorio fornendo una versione smentita dalle risultanze investigative, la mancanza di pentimento e di riflessione critica sull'accaduto nonché di qualsivoglia iniziativa risarcitoria. A fronte di simili argomentazioni, del tutto tralasciate, la Corte territoriale, pur implicitamente ammettendo un comportamento processuale negativo dell'imputato, ha concesso le attenuanti generiche sulla base dell'incensuratezza dello stesso e della sua giovane età (24 anni).
4. La Corte di Assise di Appello di Perugia, con sentenza del 23 settembre 2020, decidendo in sede di rinvio, ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
5. Avverso tale pronuncia, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione l'imputato, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente censura anzitutto l'illogicità della motivazione, laddove la Corte di Assise di appello ha sostenuto che il munirsi di un'arma da ritenersi micidiale nel contesto ravvicinato in cui è stata impiegata sia notoriamente sintomo di una condizione psichica dell'imputato ineludibilmente legata a plurime esperienze di vita da "adulto", trattandosi di argomentazione fondata su elementi meramente notori ed affatto probanti né tantomeno risultanti dall'ampia documentazione agli atti, e ciò considerando sia l'esclusione dell'aggravante del mezzo insidioso sia l'incensuratezza dell'imputato e l'assenza dli condizioni da cui evincere che lo stesso o i membri della sua famiglia fossero soggetti adusi al crimine ovvero pericolosi. Osserva altresì che l'immediato allontanamento dell'imputato dal luogo dell'evento, lungi dal denotare comportamento tipico di adulto che ha acquisito particolare robustezza emotiva per essere già venuto a contatto con vicende difficili e drammatiche di vita - da escludere anche in considerazione del suo stato di incensuratezza -, ben si accosta ad una reazione di spavento e terrore del giovane imputato, non aduso a tali visioni nella propria esperienza di vita, delle quali non vi è comunque traccia alcuna negli atti investigativi e processuali. Sul punto, rileva altresì l'omessa valutazione del verbale di sommarie informazioni rese dalla teste P.E., alla quale il C. avrebbe confidato, nell'immediatezza dei fatti, di volersi recare presso la locale caserma dei carabinieri, ciò dimostrando lo spavento ed il terrore connessi al tragico epilogo, tali da indurre l'imputato ad allontanarsi dal luogo dell'accadimento per la reazione istintiva di frapporre distanza momentanea dal dramma consumato. Contesta la rilevanza attribuita al messaggio SMS inviato dall'imputato alla conoscente P., valorizzato dal giudice di appello ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, perché ritenuto dimostrativo delle pregresse esperienze di vita da adulto in capo allo stesso. In senso contrario, vi è la circostanza per cui era stata la stessa P. che, avendo appreso dell'intenzione del C. di recarsi spontaneamente in caserma, aveva tentato più volte di mettersi in contatto con lui. Il C., riscontrata la necessità della P. di rintracciarlo per il fine già dallo stesso intuito ed espresso, aveva quindi contattato la medesima; indi conclude la difesa, evidenziando come non sia pretendibile una dettagliata motivazione nel corpo di un messaggio inviato nel concitato frangente in questione. Evidenzia, infine, come il dolo d'impeto non sia, anche secondo l'orientamento di questa Corte di legittimità, incompatibile col dolo alternativo o eventuale, posto che l'analisi dei risultati che si prospettano può avvenire anche in un breve lasso di tempo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato. Le censure attraverso le quali il ricorrente contesta le argomentazioni offerte dalla Corte territoriale nell'escludere la rilevanza, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, della giovane età dell'imputato, sono prive di pregio. Facendo buon governo dell'insegnamento di questa Corte di legittimità per il quale la giovane età dell'imputato, di per sé, non può giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, rendendosi necessario l'accertamento dell'influenza della condizione giovanile sulla personalità del soggetto, tale da determinare una non completa maturità e capacità di valutare il proprio comportamento secondo le norme del buon vivere civile (Sez. 2, n. 11985 del 04/02/2020, P.G. C/ G.F., 278633 - 01; Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, P., Rv. 278082 - 01), il giudice del rinvio ha analizzato le circostanze del caso concreto al fine di verificare se il C. si trovasse in condizioni di maturità personale tali da incidere sulla valutazione della condotta dal medesimo posta in essere ed ha concluso che la giovane età del ricorrente non potesse risolversi in un fattore attenuativo, non avendo essa svolto un'effettiva incidenza, né assunto uno specifico rilievo, nella condotta criminosa. In particolare, alcuna illogicità è da rinvenirsi nel rilievo attribuito dalla Corte territoriale alle modalità della condotta, ritenute dimostrative non soltanto della lucida determinazione aggressiva del C., ma anche del pieno possesso di cognizioni e capacità tipiche di chi ha già percorso plurime esperienze di vita in contesti da "adulto"; e ciò non tanto perché può apprendersi soltanto da un adulto il modo di procacciarsi rapidamente un'arma bianca abilmente frantumando un oggetto comune come una bottiglia di vetro, sì da conservarne in mano quella parte necessaria a costituire una micidiale offesa, ma soprattutto per la repentinità della risoluzione criminosa che trovò sfogo immediato e micidiale proprio in virtù delle modalità con cui fu procacciata l'arma, evidentemente indicative di una concreta abilità difficilmente conciliabile con l'inesperienza dell'immaturità. A tal proposito, erra dunque la difesa nel contestare la rilevanza probatoria degli elementi evidenziati dal giudice del rinvio, etichettandoli come notori, laddove la categoria del fatto notorio è costituita da quelle conoscenze per le quali non vi è la necessità della dimostrazione del probandum, in quanto corrispondenti a comuni cognizioni storiche ovvero riguardanti forme elementari di manifestazioni delle forze della natura e delle relative leggi, a !tutti familiari (Sez. 3, n. 30720 del 18/09/2020, V.S., Rv. 280020 - 01); mentre, nel caso di specie, i giudici di merito si sono piuttosto affidati a una valutazione complessiva dei comportamenti assunti dall'imputato, desumendo da essi determinate valutazioni, che vanno ben al di là delle inferenze dal dato notorio, non essendo esse il risultato di mere presunzioni, né tanto meno il precipitato di osservazioni assertivamente affermate, quanto, soprattutto, il frutto di approfondita analisi di specifiche circostanze concrete del fatto. Inconferente, sul punto, si mostra anche la rilevata incompatibilità delle suesposte argomentazioni con l'esclusione dell'aggravante del mezzo insidioso operata in sede rescindente, afferendo, quest'ultima, alla natura ingannevole del mezzo utilizzato per commettere il delitto, sia questa intrinseca o derivata dal modo e le circostanze che ne accompagnano l'uso (Sez. 1, n. 7992 del 08/11/2018, Viola Roberto, Rv. 274876 - 01; Sez. l, n. 11561 del 5/02/2013, T. ed altri, Rv. 255337; Sez. 5, n. 2925 del 18/12/2008, P., Rv. 242619; Sez. 1, n. 29921 del 24/07/2002, L., Rv. 222117), e non, come diversamente assunto dalla difesa, alla denotazione offensiva delle modalità di apprensione e manipolazione del mezzo causative dell'esito omicidiario, correttamente valorizzate dalla Corte di Appello ai fini che occupano. Parimenti, alcun contrasto logico può ravvisarsi rispetto all'incensuratezza dell'imputato, laddove la Corte di appello, nel riferirsi alle modalità della condotta, non ha dedotto tanto la propensione al crimine dell'imputato, quanto una sua condizione psichica "ineludibilmente legata a plurime esperienze di vita in contesti da "adulto"" tali da rendergli pienamente comprensibile l'offensività del proprio gesto. Quanto dedotto con riferimento alla fuga dell'imputato - elemento, anch'esso, valorizzato dalla Corte di Appello perché ritenuto dimostrativo della consapevolezza dell'irreparabile gravità delle conseguenze della propria azione e, altresì, della lucidità mantenuta dal ricorrente in un contesto così drammatico come quello di specie, tipica di quegli adulti che hanno acquisito particolare robustezza emotiva per essere già venuti in contatto con vicende difficili e drammatiche - è anch'esso privo di fondamento. A tal proposito erra, nuovamente, la difesa, laddove contesta la compatibilità delle citate argomentazioni con l'incensuratezza dell'imputato, ritenendo le stesse riferite ad un passato criminale del C., laddove i giudici di merito hanno solo inteso sottolineare l'assenza di significativi profili di superficialità legati ad un ancora approssimativo sviluppo dell'agente. Ad ogni modo, la prospettazione della difesa, che attribuisce alla fuga un significato di spavento e terrore nel giovane imputato, costituisce una valutazione alternativa a quella prospettata dal giudice di merito, non sindacabile in questa sede, non tenendo essa in debita considerazione la complessiva, articolata, ricostruzione svolta anche al riguardo dalla corte territoriale; questa non si è limitata ad effettuare delle valutazioni legate alla circostanza in sé dell'allontanamento dal luogo del delitto ma ha preso in considerazione anche tutte le altre circostanze concreto che potessero, secondo la sua congrua e quindi non sindacabile ricostruzione in fatto, dare conto delle implicazioni di un siffatto comportamento, ritenute affatto indicative di un mero ritrarsi per un senso di paura. Nemmeno rileva la censura concernente l'omesso esame, da parte della Corte di Appello, delle sommarie informazioni rese dalla teste P.E., alla quale il C. avrebbe confidato, nell'immediatezza dei fatti, di volersi recare presso la locale caserma dei carabinieri, circostanza corroborativa, a parere della difesa, dello spavento e del terrore dell'imputato, tali da indurre quest'ultimo ad allontanarsi dal luogo dell'accadimento per una reazione istintiva di frapporre distanza momentanea dal dramma consumato. Lungi dall'addentrarsi in valutazioni di merito non ammesse in sede di legittimità, si limita questo Collegio a rilevare che in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di "travisamento della prova", risoltosi, come pare assumere il ricorrente, nella omessa valutazione di un elemento probatorio esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica, tale da renderne percepibile "ictu oculi" la contraddittorietà, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006 - dep. 20/07/2006, S., Rv. 234167-01, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006 - dep. 14/06/2006, Francia, Rv. 234099-01). Quanto prospettato dal ricorrente, invece, non disarticola il percorso argomentativo del giudice di merito, che, pur non escludendo terrore e spavento dell'imputato, consapevole dell'irreparabile gravità della propria condotta, attribuisce in ogni caso, analizzando anche le altre circostanze del caso concreto, alla fuga il significato di una reazione lucida, ritenuta non smentita da quanto assunto dalla difesa circa la volontà dell'imputato di recarsi, per finalità non meglio precisate, alla caserma dei carabinieri (opzione a cui comunque non aderiva). Diverso epilogo non può prospettarsi nemmeno con riferimento alle censure aventi ad oggetto il messaggio SMS inviato dall'imputato alla conoscente P., alle 12.30 del giorno successivo all'omicidio, mediante il quale cercava di contattare la predetta chiedendole disinvoltamente "ci prendiamo un caffè?", ritenuto dimostrativo dell'agire "da adulto" del C.; il tenore di tale messaggio, di là del significato specifico ad esso attribuito dalla Corte territoriale, è comunque indicativo - anch'esso - quanto meno della lucidità con cui il ricorrente ebbe a gestire anche le fasi successive al delitto. I rilievi del ricorrente sul punto si limitano, in ogni caso, a prospettare una valutazione alternativa dell'elemento probatorio in questione, sganciata dalle altre emergenze processuali e si muovono piuttosto nell'ottica dell'impostazione meramente congetturale e difensiva, laddove l'unico dato valutabile rimane quello legato all'espressione adoperata dall'imputato, indicativa di un approccio denotante una certa tranquillità, quanto meno apparente, e una indubbia capacità di autocontrollo e di gestione della situazioni:e non, certamente, di uno stato di terrore dovuto a una difettosa o incompleta maturità psichica. Indi, in definitiva, la Corte territoriale ha tratto il convincimento che l'imputato avesse agito da "adulto" per il modo con cui ebbe a procacciarsi rapidamente un'arma bianca, abilmente frantumando un oggetto di uso comune, non tanto dal fatto che una siffatta modalità esecutiva non potesse che essere stata appresa gravitando in contesti da "adulto", quanto piuttosto dal fatto che essa fosse, unitamente alle altre circostanze del caso concreto, sintomatica di quella lucidità e determinazione aggressiva, proprie dell'agire da "adulto"; e nell'esplicitare tale percorso argomentativo, la Corte territoriale, non ha mancato di osservare che «se, per converso, C. fosse stato un giovane ancora scarsamente esperto delle esperienze di vita da "grande" - come si è argomentato in via di ipotesi svalutando oltre misura il dato anagrafico che lo vedeva ormai maggiorenne da almeno un lustro - il suo atteggiamento in quella particolare contingenza sarebbe stato sicuramente diverso, per così dire, assai più "ingenuo" trovandosi tra le mani una bottiglia il giovane a inesperto C. avrebbe tutt'al più minacciato l'antagonista di lanciargliela contro - compiendo dunque un gesto di difesa tutt'affatto all'avvicinarsi di un inaspettato antagonista - ma non avrebbe certo pensato ad organizzare abilmente la propria azione con modalità così lucidamente da "adulto"». Da ultimo, inammissibile risulta il rilievo con il quale il ricorrente, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, assume la compatibilità del dolo d'impeto, ritenuto sussistente dai giudici cli merito, con il dolo alternativo o eventuale. Detta compatibilità, astrattamente sussistente, posto che l'agire sulla spinta emotiva del momento non esclude la lucidità mentale e le facoltà cognitive che consentono di prevedere ed accettare il rischio dell'evento come conseguenza della propria azione (v. Sez. 1, n. 23517 del 07/03/2013, C., Rv. 256472 - 01), è stata invero qui genericamente addotta, a fronte, peraltro, di ricostruzione in fatto che aveva già saggiato anche la componente volitiva della condotta. Il giudice di merito ha piuttosto ritenuto che non vi fosse alcuna incompatibilità tra il dolo d'impeto e la lucidità e la freddezza mostrate dall'imputato, ma ciò ha affermato al fine di sottolineare, piuttosto, l'intensità del dolo - diretto - con cui ebbe ad agire l'imputato (significativo al riguardo il passaggio argomentativo della pronuncia di primo grado, richiamato nella sentenza impugnata, che, a supporto del ravvisato omicidio volontario, afferma: che non potendosi dubitare che la condotta del C. - che aveva conficcato il vetro nel collo della vittima con violenza e forza tali da determinare la profonda recisione del muscolo e della vena succlavia - forse assistita da dolo diretto (d'impeto) finalizzato a cagionare il decesso della vittima, appartenendo alla comune esperienza la conoscenza della presenza in quella regione del collo di vasi arteriosi e venosi d'importanza vitale nonché della particolare lesività (paragonabile a quella di un'arma da punta o da taglio) posseduta da un pezzo di vetro infranto, come il collo di una bottiglia». In ogni caso la Corte territoriale attribuisce al C. una "lucida determinazione" aggressiva, essendosi lo stesso "appositamente munito di un'arma da ritenersi micidiale in quel contesto di ravvicinato rapporto interpersonale, rompendo una bottiglia e tenendo in mano il collo di vetro con i margini infranti a mo' di strumento offensivo da punta e taglio", condotta, così descritta, ritenuta evidentemente sintomatica di un elemento rappresentativo e, soprattutto, volitivo, incompatibile con la mera accettazione del possibile verificarsi dell'evento dannoso, tipica del dolo eventuale o, con riferimento al dolo alternativo, con la rappresentazione e volizione di un evento ricollegabile alla propria condotta cosciente e volontaria, alternativo a quello afferente lo scopo persegiuito. Così analizzate le censure prospettate dall'imputato, stima utile, a tal punto, questo Collegio rammentare che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede Ila dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, P.G. C/ V.C., Rv. 275640 - 01). In altri termini, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, a rigore, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, G., Rv. 192381 - 01); laddove nel caso di specie, la Corte territoriale, invero, non si è limitata a indicare tutte le circostanze ritenute impeditive del riconoscimento delle attenuanti generiche ma ha anche proficuamente controdedotto - e non poteva essere diversamente tenuto conto delle implicazioni che la valutazione nel caso di specie avrebbe comportato in termini di pena, come dalla medesima Corte territoriale in premessa evidenziato - con risposte ampie ed adeguate, agli argomenti che secondo la difesa potessero militare in senso favorevole all'imputato; sicché la motivazione impugnata non può ritenersi attaccabile neppure da tale punto di vista. In ossequio ai richiamati insegnamenti, la Corte territoriale, facendo, tra l'altro, propri gli elementi valorizzati dal giudice di primo grado secondo i criteri dettati dall'art. 133 cod. pen., dallo stesso ritenuti ostativi, nel caso di specie, alla concessione delle attenuanti generiche, ha svolto una motivazione nel suo complesso adeguata e congrua. Trattasi, nello specifico, della connotazione in negativo della modalità dell'azione (attuata "a freddo"), della gravità del danno (la perdita di un adulto ancor nel pieno vigore della vita), dell'intensità del dolo (la particolare violenza del colpo inferto con un "tagliente atipico" conficcatosi in profondità), della capacità a delinquere e, infine della condotta contemporanea e susseguente al reato. Tra questi ha correttamente escluso, invece, la rilevanza negativa attribuita all'interrogatorio dell'imputato tardivamente reso, trattandosi di rituale esplicazione di diritti e scelte difensionali a questi esclusivamente spettanti. Esclusa nei termini richiamati sopra l'irrilevanza della giovane età dell'imputato, mediante argomentazioni che, si è visto, si presentano immuni dai vizi denunciati, la Corte di Assise di Appello ha rilevato l'insussistenza di profili di condotta dell'imputato o, più in generale, dell'intero fatto-reato, che si prestassero all'utile concessione delle stesse, non risultando a tal fine possibile, stante l'espressa previsione di legge, far riferimento esclusivamente al suo stato di incensuratezza, né al solo dato anagrafico della giovane età del C.. Né risultano, infine, d'altronde, contestate, attraverso l'indicazione di elementi di segno contrario, le considerazioni già espresse dal giudice di primo grado riguardo all'assenza di alcun segno di pentimento o di riflessione circa l'accaduto e di alcuna iniziativa risarcitoria nei confronti dei parenti della vittima; trattasi di circostanze la cui mancanza, sebbene non possa essere valutata per trarne elementi negativi di giudizio, si risolve comunque nell'impossibilità di una favorevole valorizzazione in tal senso.
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
3. Deve, infine, rigettarsi la richiesta di condanna dell'imputato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio avanzata dalla parte civile, avendo, il ricorso per cassazione, avuto ad oggetto unicamente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, ossia un profilo che, nel caso di specie, attiene esclusivamente alla dosimetria sanzionatoria, senza alcuna incidenza sulla consistenza della pretesa risarcitoria fatta valere.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Rigetta la richiesta della parte civile di liquidazione delle spese sostenute nel giudizio di legittimità.