Svolgimento del processo
Con decreto n. 484 del 2. 2. 2018 la Corte di appello di Bari rigettò l'opposizione proposta da V.A. avverso il provvedimento del consigliere designato che aveva rigettato la sua domanda di equo indennizzo ai sensi della legge n. 89 del 2001, proposta nel 2017 in relazione ad un procedimento di separazione personale dei coniugi iniziato nel 2006 ed estinto a seguito di cancellazione della causa dal ruolo e mancata riassunzione nel 2015, rilevando che ai sensi dell'art. 2, comma 2 sexies lett. c, legge citata, attesa l'estinzione del giudizio per inattività delle parti, il pregiudizio da irragionevole durata del processo doveva presumersi insussistente e che la parte non aveva fornito la prova contraria, idonea a superare la presunzione legale. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 26. 7. 2018, ha proposto ricorso V.A., affidandosi a tre motivi. Il Ministero della Giustizia ha notificato controricorso. Con ordinanza del 15. 3. 2019 la causa, trattata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380 bis 1 cod. proc. civ., è stata rimessa alla pubblica udienza. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso, che denunzia violazione dell'art. 11 preleggi, censura il decreto impugnato per avere motivato la decisione sulla base della disposizione di cui all'art. 2, comma 2 sexies lett. c, legge n. 89 del 2001, che, essendo stata introdotta dall'art. 1, comma 777 lett. d, legge 28. 12. 2015, n. 208, non era ratione temporis applicabile nella fattispecie, essendosi il processo presupposto esaurito e quindi la violazione consumata in data 21. 12. 2015. Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto occasione di precisare che l'art. 2, comma 2- sexies, lett. e), della legge n. 89 del 2001., introdotto dalla legge n. 208 del 2015, secondo cui non sussiste il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli art. 306 e 307 cod. proc. civ., detta una nuova disciplina della formazione e valutazione della prova nel processo di equa riparazione, dando luogo ad uno "ius superveniens" che opera sugli effetti della domanda e, al contempo, determina un mutamento dei presupposti legali cui è condizionata la disciplina di ogni singolo caso concreto. In particolare si è sottolineato che tale disposizione ha inciso sulla disciplina del riparto dell'onere della prova, con riferimento al presupposto della sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, nel senso di contemplare una presunzione iuris tantum di disinteresse della parte a coltivare il giudizio in caso di estinzione per rinuncia o inattività delle parti, ponendo in favore dell'Amministrazione una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro legislativo previgente. Dal rilievo secondo cui tale disposizione è destinata ad operare nel processo, discende quale conseguenza che essa, in assenza di norme che dispongano diversamente e in forza dell'art. 11 disp. att. e.e., trova applicazione soltanto ai procedimenti introdotti dopo la sua entrata in vigore; per contro, per la medesima ragione, risulta non rilevante a tal fine che il giudizio presupposto, che integra il fatto dedotto a fondamento della domanda di equo indennizzo, si sia consumato in epoca precedente (Cass. n. 32027 del 2021; Cass. n. 19741 del 2020; Cass. n. 25542 del 2019). Quest'orientamento va condiviso e ad esso va data continuità, ponendosi sul solco di consolidati principi giurisprudenziali (a far tempo quanto meno da Cass. Sez. U, 12/12/1967, n. 2926), secondo cui il principio dell'irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, se in tal modo si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio implica, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi completamente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (Cass. 16039 del 2016; Cass. n. 16620 del 2013; Cass. n. 2433 del 2000; Cass. S.U. n. 2926 del 1967; Cass. n. 1115 del 1966). Il terzo motivo di ricorso, che va esaminato prima del secondo per priorità logica e giuridica, denunzia l'incostituzionalità della norma di cui all'art. 2, comma 2 sexies lett. c, legge n. 89 del 2001 per contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 Cost. e dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il mezzo è inammissibile, sia perché il motivo del ricorso per cassazione non può essere diretto unicamente a prospettare una questione di costituzionalità di una norma, non potendo essere configurato al riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a dete1 minarne l'annullamento (Cass. 14666 del 2020), sia perché, comunque, non risultano affatto illustrate le ragioni per cui la disposizione di legge indicata sarebbe costituzionalmente illegittima, mancanza che pone evidentemente la Corte nella impossibilità di vagliarne la non manifesta infondatezza (Cass. 30738 del 2019; Cass. 10123 del 2005). Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., lamentando che il giudice a quo abbia affermato che l'opponente non aveva fornito prova del pregiudizio lamentato, senza considerare che il procedimento presupposto, che, dopo una sentenza non definitiva che aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi, era proseguito per la regolamentazione degli aspetti patrimoniali, aveva subìto numerosi rinvii d'ufficio ed era stato abbandonato in quanto le parti, in sede di divorzio congiunto, avevano trovato un accordo che ne rendeva inutile la prosecuzione. Il motivo è fondato. La Corte di appello ha confermato il rigetto della domanda di equo indennizzo ritenendo applicabile, nel caso di specie, la presunzione dettata dall'art. 2, comma 2 sexies lett. c), legge n. 89 del 2001. In particolare ha affermato l'insussistenza del pregiudizio lamentato per irragionevole durata del giudizio di separazione personale dei coniugi in ragione del rilievo che il processo si era estinto per inattività delle parti a seguito di cancellazione della causa dal ruolo e mancata riassunzione e che il ricorrente non aveva fornito prova contraria idonea a superare la presunzione illegale, reputando irrilevante a tal fine il comportamento processuale tenuto dalle parti nel giudizio presupposto. Il ragionamento seguito dalla Corte di appello non merita di essere condiviso, a fronte delle considerazioni svolte dal ricorrente sul fatto che le parti avevano coltivato il giudizio di separazione, che esso aveva subito numerosi rinvii d'ufficio e che il loro interesse alla decisione di merito, destinata a regolare i soli aspetti patrimoniale della separazione, era venuto meno proprio a causa della eccessiva durata, per oltre dieci anni, del relativo giudizio, situazione che li aveva portati a definire ogni questione di carattere patrimoniale in sede di ricorso congiunto per il divorzio. In particolare, tenuto conto di tali deduzioni, non appare giuridicamente corretta l'affermazione della sentenza impugnata circa l'irrilevanza, ai fini dell'applicazione della disposizione di legge sopra indicata, del comportamento processuale delle parti ovvero del modo e dei tempi di svolgimento del giudizio. La ratio giustificatrice della presunzione di insussistenza del pregiudizio per irragionevole durata del processo dettata dal citato art. 2, comma 2 sexies lett. c), che va individuata coordinando la portata di tale disposizione con l'impianto normativo in cui essa è inserita, diretto non lasciare privo di tutela il diritto alla ragionevole durata del processo, risiede nel rilievo che l'estinzione del giudizio per inattività delle parti rappresenta un indice rivelatore del loro disinteresse alla decisione di merito, sicché deve escludersi, fino a prova contraria, che esse si possano ragionevolmente dolere dell'eccessiva durata del relativo giudizio. Tale presunzione quindi è ancorata al fatto che le parti abbiano abbandonato il giudizio per disinteresse, reputando, per eventi estranei al processo o comunque non connessi alla sua durata, non più utile pervenire ad una decisione di merito. Ne consegue che la presunzione legale non opera, perché non corrispondente alla sua ratio, nel caso in cui le parti abbiano abbandonato il giudizio non a seguito di ripensamenti o di un nuovo e diverso assetto dei loro diritti, ma a causa proprio della eccessiva durata del processo, quale fatto pregiudicante l'utilità che essi si aspettavano di poter conseguire dal giudizio. In tali ipotesi è evidente che il pregiudizio derivante dalla eccessiva durata del giudizio non può ritenersi insussistente per il solo fatto che esso sia stato ad un certo punto abbandonato, se la causa di tale abbandono risiede proprio nel fatto che il giudizio è pendente da un lasso cli tempo considerevolmente lungo da far ritenere non più attualmente realizzabile l'interesse connesso ad una decisione di merito. La sentenza impugnata è pertanto incorsa nel vizio di violazione di legge denunziato, in quanto la Corte distrettuale avrebbe dovuto valutare, alla luce dei fatti e delle deduzioni del ricorrente, in modo diretto e specifico le vicende del processo presupposto, non al fine di ravvisare in esso la prova contraria alla presunzione di insussistenza del danno dettata dalla disposizione in esame, ma proprio al fine di verificare se tale disposizione fosse o meno applicabile. La sentenza va pertanto cassata in relazione al secondo motivo e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio, alla Corte d'appello di Bari, in diversa composizione.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese.