Risposta negativa dal Consiglio di Stato. Per l'emissione del provvedimento è necessario che lo scioperante, durante la manifestazione sindacale, abbia posto in essere condotte violente, sintomo di un'accentuata pericolosità sociale.
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L’odierno appellante, -omissis-, ha impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sede di Bologna (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), il provvedimento -omissis-, emesso dal Questore di Modena -omissis-, recante foglio di via obbligatorio nei suoi confronti, ai sensi degli artt. 1 e 2 del d. lgs. n. 159 del 2011, con diffida dal fare ritorno nel Comune di Modena per -omissis- dalla notifica del provvedimento medesimo.
1.1. La motivazione del provvedimento di fonda sul fatto che, nei mesi -omissis-, il sindacato -omissis-, a cui l’appellante aderisce, avrebbe indetto numerose manifestazioni non autorizzate davanti lo stabilimento -omissis-, nel corso delle quali i partecipanti avrebbero attuato un blocco di merci, ostacolando gli automezzi in entrata e in uscita dal suddetto stabilimento, con l’effetto di provocare il congestionamento del traffico.
1.2. Inoltre, nel corso delle suddette manifestazioni, si sarebbe creato un clima di tensione con le forze di polizia, che in alcuni casi sarebbe sfociato in vera e propria violenza nei confronti delle stesse e in una delle quali -omissis- avrebbe assunto un ruolo attivo nel picchetto che bloccava il traffico veicolare in entrata e in uscita dallo stabilimento e, in particolar modo, avrebbe esortato i manifestanti presenti a «non mollare» - così si legge nel provvedimento questorile – dall’azione di protesta, invitandoli a mantenere costante l’azione di blocco fisico, sì da apparire uno degli organizzatori della manifestazione.
1.3. Per tali fatti l’interessato è stato denunciato all’autorità giudiziaria ai sensi degli artt. 110 e 610 c.p. (violenza privata in concorso) e ai sensi dell’art. 18 del R.D. n. 773 del 1931 – T.U.L.P.S. (omesso avviso di riunioni pubbliche).
1.5. Ancora, il successivo -omissis-, -omissis- manifestanti aderenti allo stesso sindacato hanno costituito un presidio di protesta davanti ai cancelli di -omissis-, di fatto impedendo il libero accesso dei mezzi pesanti in entrata e in uscita dallo stabilimento e le forze dell’ordine avrebbero allestito un servizio di allontanamento, al quale i manifestanti si sono opposti con metodi violenti e tra questi, come si legge ancora nel provvedimento del Questore, sarebbe figurato ancora l’odierno appellante, poi deferito all’autorità giudiziaria sempre ai sensi del già citato art. 18 del R.D. n. 773 del 1931.
1.6. Il Questore di Modena ha poi elencato una serie di denunce a carico dell’appellante, perlopiù per resistenza a pubblico ufficiale e violenza privata.
1.7. L’autorità amministrativa ha tratto da tutto ciò la conclusione che -omissis- sia una persona dedita alla commissione di reati che mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica e ha emesso quindi nei suoi confronti il foglio di via obbligatorio, contestato nel presente giudizio, per la durata di -omissis-.
2. Avanti al Tribunale, infatti, il ricorrente, nel chiedere l’annullamento del foglio di via, ha dedotto la violazione degli artt. 1 e 2 del d. lgs. n. 159 del 2011, degli artt. 2, 5 e 6 della CEDU nonché l’eccesso di poter per travisamento dei fatti ed illogicità della motivazione.
2.1. Il Ministero dell’Interno si è costituito nel primo grado del giudizio per chiedere la reiezione del ricorso.
2.2. Il Tribunale, con l’ordinanza -omissis-, ha chiesto alla Questura di Modena di trasmettere gli atti sui quali si fondava il provvedimento impugnato e, all’esito di tale incombente istruttorio, adempiuto da parte dell’amministrazione resistente con il deposito, il successivo -omissis-, di una relazione della Questura e di dieci allegati, con la sentenza -omissis-, resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso.
2.3. Ad avviso del primo giudice, in sintesi, l’esercizio dei diritti sindacali non costituisce certo ragione, normalmente, per ritenere una persona socialmente pericolosa, ma quello in esame sarebbe un «caso limite», nel quale l’affermazione che il ricorrente sia persona socialmente pericolosa non sarebbe «temeraria», da parte dell’autorità amministrativa, dato che un soggetto, che ha mostrato di ritenere necessarie sempre le maniere forti in occasione di qualche contrasto sindacale, ragionevolmente non si asterrà da condotte similare per evitare ulteriori denunce.
3. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessato, articolando due motivi di cui ora meglio si dirà, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso proposto in prime cure.
3.1. Con un primo motivo (-omissis-), anzitutto, l’odierno appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata per la intrinseca illogicità della motivazione, per la violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d. lgs. n. 159 del 2011, in merito alla sussistenza dei presupposti per un giudizio di pericolosità sociale: in particolare, violazione dell’art. 1, comma 1, lett. c) del d. lgs. n. 159 del 2011 per mancanza di dedizione alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanita`, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
3.1.2. Afferma l’appellante, tra l’altro, che leggendo attentamente la documentazione prodotta dalla pubblica amministrazione, a seguito di richiesta da parte del Tribunale, si evince che tutti i fatti si riferiscono a episodi di vertenze sindacali e in quei pochi casi, ove viene descritta qualche condotta del ricorrente, si intuisce che a -omissis- viene contestato di aver posto in essere un blocco stradale.
3.1.3. Si tratterebbe, pertanto, di condotte irrilevanti sotto il profilo oggi in esame e pertanto, anche alla luce della documentazione prodotta dalla pubblica amministrazione, si potrebbe ritenere senza alcun dubbio che l’appellante non rientri un nessuna delle categorie di cui all’art. 1 del d. lgs. n. 159 del 2011.
3.1.4. Nel corso del giudizio di primo grado, infatti, non sarebbero state dimostrate in maniera specifica e sufficiente le precise modalità aggressive con cui il ricorrente avrebbe minacciato la sicurezza e la tranquillità pubblica – ne´ la sentenza impugnata ha motivato adeguatamente sul punto – in quanto in tali atti e documenti, oltre alla mera partecipazione dell’appellante ai singoli episodi, non vengono forniti quegli elementi attuali e concreti su cui dovrebbe basarsi il giudizio di pericolosità sociale, difettando cosi` di specificità ed individualità e non rispondendo cosi` alla «esigenza di interpretazione tassativizzante della normativa in materia», affermata da questo Consiglio di Stato nella sentenza -omissis-.
3.2. Con un secondo motivo (-omissis-), poi, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata per l’intrinseca illogicità della motivazione nonché per la violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d. lgs. n. 159 del 2011 e, in particolare, per la mancanza dei presupposti per l’irrogazione del provvedimento del foglio di via obbligatorio.
3.2.1. L’appellante ha dedotto che, per quanto riguarda i fatti da cui scaturirebbe il provvedimento di foglio di via, inerenti alla vertenza sindacale -omissis-, non si comprende quali siamo, secondo il Tribunale, gli elementi di fatto attuali e concreti, da cui deriverebbe il giudizio di pericolosità sociale.
3.2.2. La Questura di Modena, nella relazione depositata con i documenti richiesti dal Collegio di prime cure, ha affermato di non poter allegare alcuna documentazione in merito ai fatti accaduti fuori i cancelli -omissis-, perché coperta da segreto istruttorio e, pertanto, occorre basarsi solo su quanto affermato nel provvedimento stesso.
3.2.3. Da tale provvedimento – come più volte ribadito – si evince soltanto che l’appellante “appariva tra gli organizzatori della manifestazione” e sarebbe stato riconosciuto tra i manifestanti che avrebbero attuato il blocco dei mezzi.
3.2.4. Al contrario di quanto si sostiene nella sentenza impugnata, dunque, nel provvedimento del Questore di Modena non vi e` alcuna descrizione di condotte, lesive della tranquillità e sicurezza pubblica, che l’appellante avrebbe posto in essere in concreto, venendo solo riportata la situazione generale del picchetto formato da molteplici persone.
3.4. Si è costituito il Ministero dell’Interno per chiedere la reiezione dell’appello.
3.5. Con l’ordinanza -omissis- la Sezione, richiamando il precedente di Cons. St., -omissis-, ha accolto l’istanza di sospensione proposta dall’appellante -omissis- in corso di causa.
3.6. Con la successiva ordinanza -omissis- il Collegio, ritenuto necessario, ai fini del decidere, che la Questura di Modena fornisse entro trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza chiarimenti in ordine alla attuale sussistenza di esigenze di segreto istruttorio sulla documentazione non prodotta in primo grado, ha disposto che la Questura di Modena, nell’ipotesi in cui le esigenze di segreto istruttorio fossero venute meno, avrebbe dovuto depositare entro il suddetto termine tale documentazione.
3.7. Il Ministero dell’Interno non ha ottemperato all’ordine istruttorio impartito dal Collegio.
3.8. Infine nell’udienza pubblica del 12 aprile 2022 il Collegio, sulle conclusioni delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello deve essere accolto in entrambe le censure sopra riportate, che risultano entrambe fondate alla stregua delle motivazioni che seguono.
5. Si devono richiamare e applicare alla presente vertenza tutti i principî già affermati dalla Sezione, per un caso pressoché analogo, nella sentenza -omissis-, già sopra menzionata.
5.1. Occorre qui ribadire, ai fini che qui rilevano, che per l’adozione del foglio di via obbligatorio sono richiesti elementi di fatto, attuali e concreti, in base ai quali può essere formulato un giudizio prognostico sulla probabilità che il soggetto commetta reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e sicurezza pubblica, perché, diversamente, si finirebbe per fondare la misura sulla responsabilità collettiva per fatti addebitabili ad anonimi esponenti di un gruppo o, come nel caso di specie, di un movimento sindacale.
5.2. In particolare, come questo Consiglio di Stato ha già evidenziato nella propria costante giurisprudenza, assumono rilievo centrale, sul piano istruttorio e motivazionale, il profilo soggettivo, relativo alla “dedizione” del soggetto alla commissione di reati, e quello oggettivo, inerente alla attitudine offensiva dei medesimi reati nei confronti dei beni nominativamente individuati dal legislatore e cioè, per quanto di interesse, quelli della sicurezza e della tranquillità pubblica.
5.3. Il foglio di via obbligatorio, previsto dall’art. 2 del d. lgs. n. 159 del 2011, è infatti diretto a prevenire reati socialmente pericolosi, non già a reprimerli, e pertanto, benché non occorra la prova della avvenuta commissione di reati, è richiesta dalla giurisprudenza amministrativa una motivata indicazione dei comportamenti e degli episodi, desunti dalla vita e dal contesto socio ambientale dell’interessato, da cui oggettivamente emerga una apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti e socialmente pericolose (-omissis-).
5.4. La misura preventiva in questione si presenta, sul piano della sua tipizzazione normativa, fortemente caratterizzata in termini penalistici, nel senso che entrambi i predetti profili, soggettivo e oggettivo, devono essere ricostruiti, da un lato, attingendo al vissuto criminale del soggetto interessato (nei suoi risvolti pregressi ed in quelli prognostici) e, dall’altro lato, analizzando il potenziale offensivo insito nelle condotte criminose alle quali il medesimo risulti essere dedito, con una precisa direzionalità lesiva, quanto ai beni esposti a pregiudizio (Cons. St., -omissis-).
5.5. Queste considerazioni valgono, a maggior ragione, dopo la recente sentenza -omissis- della Corte costituzionale che, in seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, e seppure con riferimento alle ipotesi di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, ha sottolineato l’esigenza generale di rispettare, anche per il diritto della prevenzione, essenziali garanzie di tassatività sostanziale, inerente alla precisione, alla determinatezza e alla prevedibilità degli elementi costitutivi della fattispecie legale, che costituisce oggetto di prova, ed altrettanto essenziali garanzie di tassatività processuale, attinente invece alle modalità di accertamento probatorio in giudizio.
5.6. Ciò impone una interpretazione rigorosa e tassativizzante delle misure di prevenzione emesse dal Questore.
6. E proprio al rigore di tale doverosa interpretazione e alla connessa violazione dell’art. 1, comma 1, lett. c), del d. lgs. n. 159 del 2011 non si sottrae il provvedimento questorile in questa sede impugnato ed emesso nei confronti di -omissis- che, come ben rileva l’appellante, non rientra in nessuna delle categorie di soggetti previsti dall’art 1, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, richiamato dall’art. 2, nemmeno tenendo conto degli elementi e delle considerazioni contenuti nella relazione e negli allegati depositati dall’amministrazione in primo grado.
6.1. Il provvedimento si fonda sull’erroneo presupposto che l’appellante sia dedito alla commissione di reati, quali la resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.) e la contravvenzione di cui all’art. 18 del T.U.L.P.S., per il solo fatto di avere preso parte attivamente alle manifestazioni sindacali davanti allo stabilimento di -omissis-, senza tuttavia specificare quali concrete condotte violente egli abbia posto in essere, dato che la Questura di Modena, opponendo la riservatezza degli atti istruttori, non ha depositato nemmeno in questo grado di appello la documentazione su cui si baserebbe l’apodittica valutazione di pericolosità sociale.
6.2. Orbene, in difetto, nel caso di specie, di ulteriori specificazioni da parte della Questura e fermo ogni accertamento dei fatti, nella competente sede penale, che non si vuole certo qui anticipare o sostituire, il picchettaggio non può ritenersi attività in sé vietata o pericolosa, rientrando nel legittimo esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), purché non avvenga con modalità violente o minacciose tali da condizionare la libertà dei lavoratori non scioperanti o da mettere a repentaglio, appunto, la pubblica sicurezza.
7. Il picchettaggio, come la Sezione ha già chiarito nella sentenza -omissis- già sopra richiamata, è definibile come un complesso di comportamenti materiali di diversa natura, aventi come carattere comune la tendenza a rafforzare la partecipazione, la riuscita, l’efficacia di uno sciopero e più specificamente, con riferimento all’elemento teleologico della condotta ed ai soggetti cui si rivolge l’azione dei picchetti, si è detto che «sotto la nozione di picchettaggio si ricomprendono tutte quelle attività e quei metodi posti in essere dagli scioperanti per indurre i lavoratori dissenzienti a non accedere nei luoghi di lavoro per fornire la prestazione lavorativa».
7.1. Il vocabolo trae origine dal linguaggio militare, laddove si collega alle funzioni di vigilanza e di controllo svolte da gruppi di soldati preposti al controllo degli accessi alle caserme e agli accampamenti.
7.2. Dal francese piquet, riferito alla picca, e cioè all’arma di normale dotazione dei militi addetti a tali incarichi, esso ha fatto ingresso nel gergo sindacale anglosassone (picket, picketing), per definire i gruppi di operai stazionanti all’ingresso degli stabilimenti presso i quali è in corso uno sciopero, che in Gran Bretagna costituiscono praticamente una costante di ogni conflitto industriale.
7.3. Di qui la traduzione italiana «picchettaggio» oppure il desueto «picchettamento».
7.4. L’attività dei picchetti può assumere rilevanza sotto diversi profili giuridici, dal momento che, nella pratica, essa tende ad assumere connotati tanto più energici quanto maggiore è l’asprezza del conflitto sindacale in corso.
7.5. Il picchettaggio viene notoriamente praticato per contrastare il fenomeno del crumiraggio e, cioè, il comportamento tenuto dai lavoratori dipendenti dall’azienda ovvero esterni, i quali ultimi concludono in occasione dello sciopero un contratto di lavoro – cosiddetti crumiri – stipulato dall’imprenditore al fine di attenuare od eliminare il pregiudizio economico derivante dallo sciopero e, quindi, vanificare gli intenti perseguiti dagli scioperanti.
7.6. I lavoratori dipendenti dell’azienda o esterni infatti, dissociandosi dall’azione di lotta, ben possono mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative ed eventualmente subentrare nelle posizioni ricoperte all’interno dell’organizzazione aziendale dai lavoratori assenti per sciopero.
7.7. Non è questa la sede per esaminare, in astratto, la complessa natura del picchettaggio, quale forma del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), e l’altrettanto complesso problema che investe i limiti della sua liceità penale, con particolare riferimento al blocco delle merci e/o della circolazione stradale, né, come detto, è questa la sede, in concreto, per valutare se i fatti compiuti dall’odierno appellante -omissis-siano penalmente sanzionabili.
8. La stessa descrizione dei fatti contestati nel foglio di via all’odierno appellante, ai fini che qui rilevano, difetta però di specificità e di individualità, in contrasto con la sopra menzionata esigenza di interpretazione tassativizzante della normativa in materia, in quanto dalla lettura del foglio di via non si comprende se l’odierno appellante abbia usato in senso proprio violenza nei confronti delle forze dell’ordine, al di là del vago riferimento ad una “energica” contrapposizione tra manifestanti e dette forze non infrequente in questo tipo di conflitti sindacali e, sicuramente, nella c.d. vertenza -omissis-, né se in seno al picchetto, comunque, la presunta violenza sia attribuibile specificamente alla sua condotta.
8.1. La semplice presenza in un picchetto di molte persone finalizzato ad ostacolare gli automezzi in entrata o in uscita dallo stabilimento industriale, non connotata da elementi fattuali che consentano di rintracciare specifici e individuali condotte di violenza o minaccia da parte di un determinato soggetto, non può integrare da sola sintomo di pericolosità sociale a carico di questo, se non si vuole trasformare il diritto della prevenzione e, in particolare, il foglio di via obbligatorio in un surrettizio, indebito, strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica.
8.2. Elementi di maggiore tassatività, sia sostanziale che processuale, non si colgono poi per il caso di specie nemmeno nel riferimento, che si legge nel foglio di via, a precedenti denunce dell’appellante per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e violazione dell’art. 18 del T.U.L.P.S., secondo la mera e generica elencazione di tali denunce che si legge nel foglio stesso.
8.3. D’altro canto le esigenze di segreto istruttorio, opposte dall’amministrazione nella relazione depositata nel primo grado del giudizio, non consentono di approfondire ulteriori profili fattuali che indichino una reale, concreta, individualizzata carica di pericolosità sociale, nell’odierno appellante, che travalichi la normale, e non di rado, concitata dialettica tra le parti in occasione di manifestazioni sindacali particolarmente accese.
9. Il provvedimento questorile, insomma, non indica realmente, specificamente e sufficientemente le precise modalità aggressive per la sicurezza e la tranquillità pubblica con le quali l’appellante avrebbe esercitato il diritto di sciopero e/o manifestato il proprio pensiero, tale non potendo ritenersi la mera partecipazione al picchettaggio -omissis-e la sua presenza ad alcune fasi concitate del conflitto sindacale, con la conseguenza violazione, nel caso di specie, dell’art. 1, comma 1, lett. c), del d. lgs. n. 159 del 2011.
9.1. Non va pertanto esente da censura la sentenza impugnata laddove, identificando nella vicenda in esame un presunto “caso limite”, ha genericamente mosso all’appellante l’addebito di usare le “maniere forti” e di essere, sulla base di questo indimostrato giudizio di valore, un soggetto socialmente pericoloso ai fini che qui rilevano.
10. Ne segue che la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che l’odierno appellante rientri in una delle categorie di cui all’art. 1 del d. lgs. n. 159 del 2011, debba essere riformata, con il conseguente annullamento del foglio di via qui contestato.
11. Le spese del doppio grado del giudizio, attesa la novità e la complessità del caso, implicante un delicato bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco, possono essere interamente compensate tra le parti.
11.1. Il Ministero dell’Interno, soccombente, deve essere condannato a rimborsare il contributo unificato corrisposto dall’interessato per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da -omissis-, lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento -omissis-, emesso dal Questore di Modena -omissis-.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Condanna il Ministero dell’Interno a rimborsare nei confronti di -omissis- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.