Risposta affermativa dalla Cassazione, la quale consente la deroga al principio della detraibilità dell'IVA in virtù della natura strumentale dell'immobile allo svolgimento dell'attività professionale del contribuente.
La CTR Toscana rigettava l'appello proposto da un contribuente avverso la sentenza di primo grado, sostenendo che l'immobile acquistato in comproprietà dall'appellante, ancorchè di fatto utilizzato come studio legale, era iscritto in catasto nella categoria di civile abitazione, conseguendone l'indetraibilità dell'IVAex art....
Svolgimento del processo
1. In controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate, per l'anno d'imposta 2014, recuperava a tassazione l'IVA pagata per l'acquisto di una quota di una un'unità immobiliare di civile abitazione che l'amministrazione finanziaria sosteneva essere stata indebitamente detratta da UL in violazione dell'art. 19 bis, comma 1, lett. i) del d.P.R. n. 633 del 1972, ed infliggeva le sanzioni anche relative al mancato perfezionamento del ravvedimento operoso posto in essere dal contribuente, con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l'appello proposto dal contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l'immobile acquistato in comproprietà dal contribuente, ancorché di fatto utilizzato come ufficio (studio legale) e, quindi, in categoria X , era però iscritto in catasto con categoria X (civile abitazione) sicché l'IVA era indetraibile per espressa previsione della citata disposizione.
2. Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui non ha replicato per iscritto l'intimata Agenzia delle entrate.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell'art. 380 / bis cod. proc. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Motivi della decisione
1. Con il motivo di ricorso il ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché dei principi giurisprudenziali di cui a Cass. n. 8628 del 2015 e n. 26748 del 2016.
2. Sostiene che il dato formale dell'accatastamento in categoria A/2 (civile abitazione) dell'immobile acquistato e che la stessa amministrazione finanziaria non contestava essere adibito esclusivamente a studio professionale, ricompreso come tale in categoria A/10, non preclude la detraibilità dell'IVA sull'acquisto trattandosi di bene strumentale alla predetta attività.
3. Va premesso, preliminarmente, che il ricorrente ha espressamente limitato l'impugnazione alla sola questione della detraibilità dell'IVA versata sulla quota parte di prezzo pagato per l'acquisto dell'unità immobiliare adibito a studio professionale, ritenendo di «marginale importanza l'ulteriore questione riguardante il ravvedimento operoso» (ricorso, pag. 19), sicché in relazione a tale questione la statuizione d'appello (di rigetto del ricorso del contribuente) deve ritenersi coperta da giudicato.
4. Venendo al merito del motivo di ricorso, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato e vada accolto.
5. Va premesso che, in deroga al generale principio della detraibilità dell'IVA contenuto nell'art. 19, d.P.R. 633/1972 - che consente all'acquirente di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisti effettuati nell'esercizio dell'impresa ed il bene acquistato sia inerente all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività - , in attuazione della relativa previsione normativa unionale, l'art. 19 bis 1, lett. i), stesso decreto prevede che «non è ammessa in detrazione l'imposta relativa all'acquisto di fabbricati o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni».
6. La suddetta previsione normativa preclude, quindi, la detrazione dell'IVA assolta in relazione all'acquisto, locazione, manutenzione, recupero o gestione di immobili abitativi che risultano tali secondo le risultanze catastali e a prescindere dall'utilizzo effettivo degli stessi, fatta eccezione per le imprese specificamente indicate dalla norma (imprese di costruzione o rivendita di fabbricati).
7. Le disposizioni in esame (art. 19 e art. 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972), inerenti alla materia della detrazione dell'Iva e dei limiti della stessa, unitariamente considerate, comportano, quindi, che, ove l'impresa non svolga attività di costruzione (non applicandosi quindi la deroga alla preclusione), la stessa può comunque portare in detrazione l'IVA relativa all'acquisto di un fabbricato a destinazione abitativa purché provi, sulla scorta di elementi oggettivi, che l'operazione in concreto sia inerente all'esercizio effettivo dell'attività di impresa e sia destinata, almeno in prospettiva, a procurargli un lucro, e tale onere probatorio risulta, peraltro, rafforzato laddove l'operazione, come nel caso di specie, consista nell'acquisto di un bene per il quale vige espressamente il regime dell'esclusione della detrazione in quanto fabbricato ad uso abitativo, perché compiuto da parte di un'impresa che non esercita in via esclusiva o principale l'attività di costruzione di tale tipologia di fabbricati. Infatti, in tal caso, oltre che porsi un problema di inerenza dell'acquisto per l'attività di impresa, assume rilevanza il profilo della effettiva riconduzione del bene (fabbricato ad uso abitativo) ad una categoria per la quale non vige l'esclusione della detrazione.
8. Va precisato, a tal proposito, che il sistema dell'IVA è volto ad esonerare l'imprenditore dall'IVA dovuta o assolta in tutte le sue attività economiche, per garantire la perfetta neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività in questione, purché esse siano a loro volta soggette ad IVA (Corte giust. 16 febbraio 2012, C-118/11, EON Aset Menidjmunt, punto 43); in questo contesto, la Corte di giustizia ha particolarmente fatto riferimento alla necessità di verifica dell'intenzione del soggetto passivo di destinare all'attività d'impresa l'immobile acquistato (Corte giust. 19 luglio 2012, causa C-334/10); sicchè, la questione va risolta, ai fini della corretta interpretazione della previsione normativa in esame nell'ambito della disciplina unionale, nella necessaria verifica, in concreto, dell'inerenza del bene immobile acquistato con l'attività di impresa, anche tenendo conto di una valutazione meramente prospettica.
9. In tali termini si è espressa questa Corte nell'ordinanza n. 5559 del 2019, così massimata: «In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative a fabbricati a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all'oggetto dell'attività d'impresa, bensì, in concreto, accertando che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, lo strumento per l'esercizio della suddetta attività». Principio, questo, fondato su orientamento nomofilattico assolutamente consolidato (cfr. Cass. n. 3396 del 2020, n. 26748 del 2016, Cass. n. 6883 del 2016, Cass. n. 8628 del 2015).
10. Orbene, applicati detti principi al caso in esame, in cui è pacifico che il fabbricato acquistato dal contribuente ha destinazione abitativa ed è altresì pacifico, in quanto non contestato, e comunque anche accertato dai giudici di appello, che il predetto fabbricato è utilizzato come ufficio, ovvero come studio legale del contribuente, di professione avvocato, deve riconoscersi la detraibilità dell'IVA essendo indubitabile la natura strumentale dell'immobile, stante la necessità dello stesso ai fini dello svolgimento dell'attività professionale del contribuente, prescindendo dalla categoria catastale attribuitagli (A/2 - civile abitazione).
11. In estrema sintesi il ricorso va accolto e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va decisa nel merito con accoglimento dell'originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA.
12. In applicazione del principio della soccombenza, l'Agenzia delle entrate va condannata al pagamento delle spese sostenute dal ricorrente nel presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, dovendosi compensare le spese dei gradi di merito in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale.
13. Va, invece, rigettata la richiesta avanzata dal controricorrente, di condanna dell'Agenzia delle entrate ex art. 96 cod. proc. civ. per insussistenza di una responsabilità aggravata della parte stessa, come invece sostenuto, peraltro genericamente, dalla ricorrente (cfr. Cass., Sez. U, n. 25041 del 2021 e n. 9912 del 2018, nonché Cass., n. 27646 del 2018), in quanto nella specie, non avendo l'intimata Agenzia neanche replicato per iscritto (essendosi costituita al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa), non può ravvisarsi in capo alla stessa alcuna mala fede o colpa grave e tanto meno un abuso dello strumento processuale, trattandosi di profili di responsabilità ravvisabili esclusivamente in atti o comportamenti processuali.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA. Condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge. Compensa le spese dei gradi di merito.