La scelta del legislatore è chiara: garantire la massima protezione alle vittime di reati contro la libertà e l'autodeterminazione sessuale, tra cui rientra lo stalking, incoraggiandole a denunciare.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 30/4/2021 la Corte di Appello di Catanzaro rigettava il ricorso proposto da NA, in qualità di parte civile costituita per il reato ex art. 612bis, co. 1, 2 e 3 cod. pen. nell'ambito del procedimento penale n. 3720/16 RG e 148/18 RGP della Corte di Appello di Catanzaro, avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso dalla medesima Corte di appello di Catanzaro il 3/6/2020.
2. Ricorre la N, a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, ao. 1, disp. att., cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 76, 79 e 112 del D.P.R. 115/2002 e l'illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Si ricorda in ricorso che l'odierna ricorrente, NA 11 ebbe a denunciare che, sin dal mese di marzo 2014, aveva subito una serie di atti lesivi dell'integrità psicofisica da parte di AD,. Tali condotte -secondo la denuncia- venivano perpetrate sia durante la loro relazione sentimentale, sia successivamente alla decisione della ragazza di interromperla, con l'uomo che le avrebbe imposto il suo carattere aggressivo e prevaricatore, così arrecandole grande sofferenza e prostrazione e facendola vivere in uno stato costante di an sia e di timore per la propria incolumità e per quella dei propri congiunti, al punto da costringerla a modificare le sue abitudini di vita. In particolare, a causa della sua ossessiva gelosia, l'uomo le avrebbe impedito di uscire con altre persone e perfino con la madre, ne avrebbe controllato gli spostamenti, l'avrebbe picchiava per futili motivi e costretta con minacce a dimettersi dal posto di lavoro. Dopo la fine della loro relazione sentimentale, l'avrebbe assillata con continui pedinamenti e appostamenti anche nei pressi della sua abitazione e allorquando la stessa usciva, con le sue amiche o amici con I suoi familiari, con telefonate sul la utenza e su quella della madre, tanto da costringerla a non uscire più da sola e a farsi accompagnare da parenti o amici in ogni suo spostamento. A seguito della denuncia si instaurava un procedimento penale, in relazione al quale NA , persona offesa dell'ipotizzato reato di stalking (art. 612bis, co. 1, 2 e 3, cod. pen.), inoltrava richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, beneficio al quale - si sostiene in ricorso- avrebbe dovuto es sere ammessa anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge, a prescindere dalla produzione dell'attestazione ISEE. Ricorda il ricorrente che la propria assistita, nell'istanza di ammissione presentata il 22/3/2020, ebbe ad indicare le generalità complete proprie e di tutti i componenti del proprio nucleo familiare, con l'indicazione dei relativi codici fiscali. Tuttavia -ci si duole- la richiesta venne rigettata, ad avviso del ricorrente, in seguito ad una illegittima ed illogica applicazione della normativa, laddove, muovendo da una falsa applicazione delle norme di riferimento, la Corte calabre se ha ritenuto occorresse produrre l'attestazione ISEE rilasciata dall'INPS e comprovante la situazione reddituale dell'istante, l'autocertificazione che l'avvocato risultasse iscritto nel registro del gratuito patrocinio e i documenti di riconosci mento, con indicazione del codice fiscale dei componenti il nucleo familiare. E quel decreto di rigetto - lamenta il ricorrente - venne pedissequamente, acriticamente ed illogicamente confermato dalla stessa Corte di appello di Catanzaro in sede di opposizione ex art. 99 DPR 115/02. Il difensore ricorrente riporta il testo dell'ordinanza impugnata denunciandone quello che a suo avviso sarebbe un evidente vizio della motivazione nonché una falsa ed erronea applicazione della normativa di riferimento. Si ricorda in ricorso che l'art. 76 co. 4-ter DPR 115l02 prevede che, ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, possa prescindersi dai limiti reddituali per la persona offesa per i reati di cui agli articoli: 572 (maltrattamenti in famiglia), 583-bis (pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili), 609-bis, 609-quater, 609-octies (violenza sessuale} e 612-bis (atti persecutori), nonché, ove commessi in danno di minori, per i reati di cui agli articoli 600 (riduzione in schiavitù), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 601 (tratta di persone), 60:2 (acquisto e alienazione di schiavi), 609- quinquies (corruzione di minorenne) e 609-undecies (adescamento di minorenni). Ebbe e, si sottolinea che, nel caso in esame, la N ebbe a richiedere l'ammissione al beneficio, In qualità di parte civile costituita. proprio per uno di questi reati, ovvero per quello di cui all'art. 612bis, co. 1, 2 e 3 cod. pen., per cui avrebbe dovuto essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti d Ila legge a prescindere dalla produzione dell'attestazione Isee. Ancora, si sottolinea in ricorso che, in funzione dell'esistenza delle deroghe di cui all'art. 76 co. 4, non potrebbe trovare applicazione completa la disposizione contenuta all'art. 79 del DPR 115/02, rubricata "contenuto dell'istanza", ove è previsto testualmente che "... 1. L'istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene: a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l'indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente, b) le generalità dell'interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali; c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76; d) l'impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell'anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell'istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione. 2. Per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato. 3. Gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell'ordine degli avvocati competente a provvedere il via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato ". Tenuto conto del combinato disposto di tali disposizioni a ben vedere, secondo il ricorrente al contrario di quanto erroneamente ritenuto nel provvedi· mento impugnato - l'istanza di ammissione dell'odierna ricorrente presentata il 22/3/2020 era corredata di tutto quanto necessario, ovvero dell'indicazione delle generalità complete di tutti i componenti del nucleo familiare, con l'indicazione dei codici fiscali di tutti i componenti. Invece, erroneamente ed i logicamente, i giudici calabresi hanno ritenuto che l'istanza presentata dalla Nigro fosse ab origine immeritevole di accoglimento, per l'omessa l'indicazione dei dati sopra ricordati. È vero - si sottolinea in ricorso- che l'istanza di patrocinio a spese dello Stato deve necessariamente contenere una specifica indicazione di tutti i componenti del nucleo familiare con i loro codici fiscali. Ma è pur vero, e se ne ha una facile quanto concreta prova in atti, che nel caso di specie la N ha specificamente e regolarmente indicato le generalità e i relativi codici fiscali di tutti i componenti del proprio nucleo familiare, difettando perciò il presupposto del rigetto rilevato nel provvedimento impugnato. Nessuna rilevanza avrebbe, invece, l'addotta circostanza della mancata allegazione della certificazione del difensore dell'iscrizione nell'albo degli avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato, e ciò poiché tale requisito - facilmente evincibile dal pubblico elenco del Foro di appartenenza - non è previsto a pena di inammissibilità. Né, peraltro, vi è stata alcuna richiesta di integrazione di cui all'art. 80 DPR 115/02, con la quale il giudicante avrebbe potuto richiedere ulteriore documentazione - non prevista a pena di inammissibilità della domanda - cosi con sentendo la fruizione del beneficio all'istante. Per il ricorrente, infine, illogico ed erroneo sarebbe l'aver ritenuto nell'ordinanza impugnata che la normativa di riferimento consentisse una valutazione di tipo reddituale, esclusa sia dalla giurisprudenza di legittimità che dalla Corte costituzionale. Ricorda la ricorrente che, con la sentenza n. 1/2021, la Corte costituzionale ha posto fine al dibattito relativo al patrocinio a spese dello Stato nei confronti delle vittime di reati di violenza sessuate, maltrattamenti in famiglia e stalking. Per le vittime di tali violenze, si legge nella sentenza, sarà garantito il gratuito patrocinio, indipendentemente da reddito e situazione economica. La decisione della Consulta - evidenzia la ricorrente- è stata richiesta in seguito ad un Incidente di costituzionalità sollevato nei confronti dell'art. 76 o. 4-ter, del d.P.R. 115/2002. Secondo il GIP del Tribunale di Tivoli, l'automatismo legislativo per cui la persona vittima di violenza dì genere ha sempre diritto al gratuito patrocinio nonostante il suo reddito, avrebbe comportato una violazione del principio di eguaglianza sancito all'art. 3 della Costituzione e del principio di cui all'art. 24 Cost (gratuito patrocinio ai non abbieni). La sentenza della Consulta ha, invece, stabilito che l'art. 76, co. 4-ter, del d.P.R. 115/2002 non è da ritenersi contrario alla Costituzione, In quanto il criterio che guida l'applicazione della norma "non è il reddito, ma la condizione di vulnerabilità" delle vittime, nella maggior parte donne. In questo senso, voler garantire il gratuito patrocinio indipendentemente dalla disponibilità economica della donna è indicatore della volontà di incoraggiare le denunce di tali reati, che proprio a causa della loro natura risultano molto difficili da affrontare e da ripor tare. Il fine della norma, dunque, consiste nel poter offrire "un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima" e nell'incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità". Sul punto ricorda il difensore ricorrente che già nel 2017 e nel 2018 questa Corte è intervenuta nel dibattito, affermando che la corretta lettura della norma consiste nel sottolineare l'obbligatorietà del gratuito patrocinio, indipendentemente dal reddito della vittima di violenza. Con la sentenza costituzionale del 2021, quindi, tale obbligatorietà del gratuito patrocinio viene definitivamente sancita, sottolineando come tale valutazione sia "del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore". Sull'inciso della lettera dell'art. 76 co. 4-ter "può essere ammessa", e quindi sulla circostanza che il giudice abbia nel caso in esame una mera facoltà o ha il dovere di accogliere la domanda di accesso al beneficio, del resto aveva già risposto Sez. 4 n. 13497/2017. La ratio della norma -era stato sottolineato - è sicuramente quella di con sentire alle vittime ditali reati di accedere liberamente alla giustizia affinché gli autori degli stessi possano essere sanzionati penalmente dall' ordinamento (soprattutto in un'ottica di tutela della collettività) nonché condannati al giusto ristoro in favore della stessa persona offesa. Il giudice di legittimità ha, dunque, chiarito da tempo che, tenendo conto di tale scopo, il termine "può" deve essere inteso come dovere del giudice di accogliere l'istanza di ammissione al gratuito patrocinio nel caso in cui essa sia presentata proprio dalla "persona offesa" vittima del reato. Se il legislatore avesse utilizzato il termine "deve", infatti, avrebbe potuto creare l'obbligo in capo al giudice di ammettere I parte lesa al beneficio de quo anche in assenza di una espressa istanza. Ricorda la ricorrente che questa Suprema Corte ha precisato, altresì, che la stessa prerogativa non va invece riconosciuta alla eventuale "persona danneggiata" dal reato per espressa previsione legislativa, che fa riferimento solo alla "persona offesa". Sul punto è necessario osservare che l'interpretazione restrittiva va sicuramente riferita al solo caso in cui persona offesa e danneggiato dal reato non coincidano. Ed infatti giova considerare che l'assistenza legale remunerata dallo Stato è soprattutto quella offerta al soggetto costituito parte civile nel giudizio penale, per cui, si cadrebbe in un nonsenso ritenendo questa pronuncia non estesa alla persona offesa che si costituisca per fare valere le sue pretese risarcitorie. Dovendosi evidenziare che, in caso di condanna dell’autore dell'illecito, lo Stato si potrà rivalere sullo stesso per le spese legali "anticipate" In favo re della persona offesa costituita parte civile. Per la ricorrente non sussistono, quindi, con tutta evidenza nel caso di specie, per; come invece ritenuto nella succinta e contraddittoria motivazione posta a base del provvedimento quivi gravato, i presupposti necessari al fine di ritenere la coerenza delle indicazioni previste dalla normativa di riferimento, quali corretto ed indispensabile contenuto dell' istanza ai fini la fruizione del patrocinio a spese ello Stato, risultando, invece, la dichiarazione dell'istante assolutamente precisa e completa in tutti gli elementi necessari previsti dall' art. 76 e 79 d.P.R. 115/2002 (compreso quello di cui alla lettera c)) a pena di inammissibilità. Il provvedimento impugnato, peraltro, di cui si chiede l'annullamento, contrasterebbe con i principi direttivi della Costituzione Europea nonché della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che sanciscono l'obbligo per gli Stati membri di garantire in modo effettivo e concreto il diritto di difesa dei non abbienti.
3. In data 9/2/2022 il PG presso questa Corte di legittimità ha rassegnato le proprie conclusioni scritte ex art. 611 cod. proc. pen. chiedendo annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato.
Motivi della decisione
1. I motivi sopra illustrati sono fondati e, pertanto, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catanzaro.
2. In premessa, va rilevato che appare errato il richiamo che la Corte territoriale opera all'art. 170 del D.P.R. 115/02, norma afferente al decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l'incarico di demolizione e riduzione in prestino. Nel caso in esame, infatti, alla Corte territoriale era stato presentato ricorso avverso il provvedimento con cui il magistrato competente rigetta l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che trova la propria fonte normativa nell'art. 99, co. 1, del medesimo D.P,R. 115/02. Ciò precisato, ad avviso d I Collegio appare fondata la lamentata violazione di legge, non apparendo corretta l'interpretazione dell'art. 76 co. 4 del D.P.R. 115/02 operata tanto dal giudice d I rigetto che da quello dell'opposizione. Secondo quest'ultimo "...Il ricorso non può essere accolto. L'art. 76, comma 4 ter, del d.P.R. 115 del 002 prevede che: «la persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583 bis, 609 bis, 609 quater, 609 octies e 612 bis... del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche In deroga al limiti di red dito previsti nel present deoreto». Tale disposizione normativa consente dunque al giudice del processo penale di ammettere la persona offesa dai reati ivi elencati "anche In deroga" ei limiti reddituali stabiliti nello stesso articolo 76 del testo unico sulle spese di giustizia. Trattasi di un potere discrezionale del giudice, che consente una deroga ai suddetti limiti, ma non prescinde in modo assoluto dalle condizioni reddituali e patrimoniali della persona offesa, la quale, pertanto è te ni./ a a fornire al giudice degli elementi di valutazione che gli permettano di de terminarsi nell'esercizio, pur discrezionale, del potere di ammissione al beneficio demandatogli dal legislatore, posto che il gratuito patrocinio a spese dello Stato, anche per le vittime dei reati elencati nell'art. 76, comma 4 ter, postula comunque una condizione di disagio economico, che nel caso di specie non risulta in alcun modo documentata né adeguatamente prospettata neppure in questa sede di opposizione. Ne consegue che il ricorso va respinto..." (così pagg. 2 e 3 dell'ordinanza impugnata).
3. Orbene, non può non sottolinearsi come il provvedimento impugnato, che pure interviene dopo anni dalle pronunce di legittimità sul punto e dopo alcuni mesi dalla pronuncia costituzionale richiamata dal ricorrente, non ne operi una corretta applicazione. Ed invero, già da alcuni anni questa Suprema Corte ha affermato il diritto della persona offesa da uno dei reati indicati nella norma a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire tale qualifica, a prescindere dalle proprie condizioni di reddito, che, dunque, non devono neanche essere oggetto di dichiarazione o attestazione ai sensi del successivo art. 79, co. 1, lettera c), del D.P.R. n. 115 del 2002 (così Sez. 4, n. 13497 del 15/02/2017, M., Rv. 269534; conf. Sez. 4, n. 52822 del 10/10/2018, A., Rv. 274618). Tale lettura - si è sottolineato - è imposta dalla ratio della norma, posto che la finalità della stessa appare essere quella di assicurare alle vi time di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell'assistenza legale. A fugare ogni possibile dubbio interpretativ6 è Intervenuta poi la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2021 (udienza del 3/12/2020, deposito dell'11/1/2021) dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, co. 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui de termina l'automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati Indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli, con l'ordinanza del 13 dicembre 2019. Il giudice rimettente - eh aveva fondato ìl proprio interesse a rivolgersi alla Consulta proprio nella non condivisione dell'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, assurto al rango di diritto vivente - aveva denunciato il contrasto della disposizione censurata con l'art. 3 della Costituzione, in quanto istituisce un automatismo legislativo di ammissione al beneficio al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa di uno dei reati incj1icati dalla medesima norma, con esclusione di qualsiasi spazio di apprezzamento e discrezionalità valutativa del giudice, disciplinando In modo identico situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico; nonché con l'art. 24, co. 3, Cost., in quanto l'ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati porta a includere an che soggetti di eccezionali capacità economiche, a discapito della necessaria salvaguardia dell'equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia. I giudici delle leggi hanno ritenuto manifestamente infondate tali doglianze, in primis, ricordando come la giurisprudenza costituzionale abbia, in più occasioni, ricondotto l'istituto del patrocinio a spese dello Stato nell'alveo della disciplina processuale (sentenza n. 81 del 2017; ordinanze n. 122 del 2016 e n. 270 del 2012), nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (ex plurimis, sentenza n. 97 del 2019, sentenza n. 80 del 2020, in linea con la sentenza n. 47 del 2020 e ordinanza n. 3 del 2020). Secondo la Corte costituzionale, la scelta effettuata con la disposizione in esame - che va, appunto, ricondotta nell'alveo della disciplina processuale - rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vit time dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati. Viene ricordato che nel nostro ordinamento giuridico, specialmente negli ultimi anni, è stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesa garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l'autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori. Di qui la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone Il coinvolgimento nell'emersfone e nell'accertamento delle condotte penalmente rilevanti. Ed infatti, el preambolo del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in terna di atti persecutori), convertito, con modifica zioni, nella legge n. 38 del 2009, che ha Introdotto la disposizione in esame, sì richiama "la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell'allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati". Non eìverse - si legge ancora nella sentenza 1/2021 della Corte costituzionale - sono le considerazioni sviluppate nel preambolo del decreto-legge 14 agosto 20¾3, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissaria mento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge n. 119 del 2013. È evidente, dunque, che la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale, che ha l'obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore. A queste argomentazioni sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di accordare il beneficio del patrocinio a spese dello Stato sganciandolo dal presupposto della non abbienza, va aggiunta per i giudici delle leggi la considerazione che nel nostro ordinamento sono presenti altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l'ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza. Viene ricordato, ad esempio, il precedente costituzionale con cui si è affermato che la scelta di porre a carico dell'erario l'onorario e le spese spet tanti all'avvocato e all'ausiliario del magistrato rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la peculiarità del procedimento di espulsione dello straniero e la necessità di non frapporre alcun ostacolo al perseguimento di questo fine (così l'ordinanza n. 439 del 2004). Valutazioni di analogo errore possono, dunque, svolgersi per la disciplina di cui al censurato comma 2J-ter. La Corte costituzionale, peraltro, ha confutato anche il profilo di censura calibrato sull'automatismo del patrocinio a spese dello Stato quale presunzione assoluta, laddove il giudice a quo aveva segnalato che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la presunzione legislativa è immune da censure di legittimità costituzionale e resiste al vaglio di ragionevolezza solo quando vi sia "solida rispondenza all'id quod plerumque eccidit'' (così tra le altre, sia pure relative a ipotesi decisamente distanti da quelle in esame, sentenza n. 191 del 2020) e che "le presunzioni assolute, specie quali limitano un diritto fondamentale della per sona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit" (sentenza n. 268 del 2016; in precedenza, sentenze n. 185 del 2015 n. 232, n. 213 e n. 57 del 2013, n. 291, n. 265, n. 139 del 2010, n. 41 del 1999 e n. 139 del 1982). In particolare, l'irragionevolezza di una presunzio e assoluta si coglierebbe tutte le volte in cui sia possibile formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzio').e stessa.» (sentenza n. 253 del 2019). Per i giudici delle leggi, tuttavia, il rimettente non coglie nel segno richia mando questa giurisprudenza, posto che nel caso in esame il beneficio non è le gato ad una presunzione di non abbienza delle persone offese dai reati indicati dalla norma censurata e ha tutt'altre giustificazioni. La verifica della regola dell'id quod plerumque accidit dovrebbe, piuttosto, concernere la vulnerabilità delle persone offese dai reati presi in considerazione dal censurato comma 4-ter, in ordine alla cui sussistenza convergono significativi dati di esperienza e innumerevoli studi vittimologici. Per quel che concerne, infine, la prospettata violazione dell'art. 24, co. 3 Cost., i giudici delle leggi si sono limitati ad evidenziare che il parametro evocato impone di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Esso non può, dunque, essere distorto nella sua portata, leggendovi una preclusione per il legislatore di prevedere strumenti per assicurare l'accesso alla giustizia, pur in difetto della situazione di non abbienza, a presidio di altri valori costituzionalmente rilevanti, come quelli in esame
4. Va dunque ribadito il principio, anche alla luce del dictum del giudic delle leggi, cui dovrà adeguarsi il giudice del rinvio, che in tema di ammissione al patrocino a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 76, co. 4-ter, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la persona offesa da uno dei reati ivi elencati può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dallo stesso articolo) ne consegue che la relativa istanza necessita esclusivamente ei requisiti di cui alle lettere a) e b) del comma primo dell'art. 79 del decreto e non anche dell'allega- zione da parte dell'Interessato, prevista dalla lettera c) del medesimo articolo, di una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle con- dizioni di reddito previste per l'ammissione. Detto, pertanto, che nei casi di cui all'art. 76 co. 4-ter d.P.R. 115/02 sarebbe ultroneo richiedere qualsivoglia attestazione reddituale, va peraltro evidenziato che il provvedimento di rigetto reso dalla Corte di Appello di Catanzaro il 3/6/2020 era incorso in ulterio i errori. Il primo è che, come si evi ce agevolmente dalla lettura dell'art. 79 co. 1 lett. a) del D.P.R. 115/02, Il richiedente l'ammissione al patrocinio dello Stato è tenuto ad indicare le ge7eralità ed il codice fiscali dei componenti la propria fa miglia anagrafica, ma non vi è alcuna norma che gli imponga -come richiestogli nel provvedimento richiamato- la produzione di copia dei documenti di riconoscimento degli stessi. Nemmeno vi è alcuna norma che gli imponga "l'autocertificazione che l'avvocato risulta iscritto nel registro del gratuito patrocinio", essendo tale elenco pubblico e la circostanza agevolmente verificabile dal giudice. In ultimo, anche qualora non si vertesse in una delle ipotesi disciplinate dall'art. 76 co. 4 ter del D.P.R. 115/02, a nulla servirebbe la richiesta produzione dell'attestazione ISEE, laddove questa Corte di legittimità, infatti, ancora di recente ha precisato che, ai fini della determinazione del limite di reddito per l'ammissione al beneficio, deve tenersi conto anche dei redditi esenti o soggetti a tassazione separata, ovvero percepiti "in nero" o derivanti da attività illecite, senza che assuma rilievo la situazione reddituale calcolata secondo il metodo ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente). (così Sez. 4, n. 46159 del 24/11/2021, C., Rv. 282552, che ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 95 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel caso di omessa indicazione, ai fini della ammissione al gratuito patrocinio, di redditi non rilevanti per l'I SEE o di imputazione di detrazioni o deduzioni da questo consentite).
P.Q.M.
Annulla l'impugnata ordinanza e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appel- lo di Catanzaro.