Il ruolo di RSPP deve essere funzionalmente distinto da ogni altro ruolo decisionale, in particolare da quello datoriale, dunque una confusione dei ruoli costituisce indice di un colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro.
Il Giudice di seconde cure confermava la decisione di primo grado con la quale l'imputato, nelle vesti di legale rappresentante di una società, di direttore di stabilimento e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella stessa società, era stato condannato per l'omicidio colposo aggravatodi un operaio.
Contro tale decisione,...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Venezia in data 18/06/2018 confermava la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e il beneficio della non menzione, emessa dal Tribunale di Vicenza in data 6/2/2013 nei confronti di M.N. per il delitto di omicidio colposo aggravato previsto dall'art. 589 cod. pen. per avere nella qualità di legale rappresentante della S. S.p.A., di direttore di stabilimento nonché di responsabile del servizio di prevenzione e protezione nella medesima società, per colpa generica e per colpa specifica dovuta alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, cagionato la morte dell'operaio A.J., incaricato di effettuare la manutenzione e la pulizia di un macchinario mescolatore a pale, a causa dello schiacciamento del cranio nella coclea di tale impianto. Evento che si verificava in data 16/11/2006.
2. Avverso tale sentenza l'imputato ricorre con un primo motivo prospettando l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40, comma 2, 43, comma 1 e 3 cod. pen. nonché artt. 2, comma 1, d.lgs 19 settembre 1994, n. 626 e 2, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, contestando la qualifica di datore di lavoro attribuita all'imputato nelle sentenze, diversamente da quanto si può evincere dalla delibera del consiglio di amministrazione del 17/6/2003 che invece attribuisce allo stesso solo compiti di ordinaria amministrazione.
3. Con un secondo motivo di ricorso, si lamenta che la Corte d'appello travisando il primo motivo di gravame ha ritenuto di escludere la sussistenza di una delega di funzioni da parte dell'imputato a favore dell'ing. C., motivo che sostanzialmente non sarebbe stato esaminato dalla Corte.
4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale poiché la Corte di appello ha ritenuto la responsabilità dell'imputato anche per il ruolo causale del mancato aggiornamento del documento di valutazione dei rischi; obbligo che, in assenza della qualifica di datore di lavoro, non sarebbe spettato all'imputato.
5. Con il quarto motivo di ricorso si contesta la condanna dell'imputato per la carenza di formazione del lavoratore deceduto in quanto l'azienda aveva invece implementato un'attività formativa ed insegnato al lavoratore procedure di lavoro corrette che se fossero state osservate avrebbero impedito il verificarsi dell'evento e, in ogni caso, il dovere di formazione sarebbe spettato al dirigente per la sicurezza e non all'imputato.
6. Con un quinto motivo di ricorso si lamenta che il processo causale naturalistico dell'evento non è stato accertato al di là di ogni ragionevole dubbio in quanto non è stato accertato se l'evento mortale sia stato la conseguenza di una patologia cardiaca di cui era affetto il lavoratore anziché dell'infortunio.
7. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte d'appello ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante anziché prevalenti.
Motivi della decisione
1. Si premetta che la normativa applicabile ratione temporis al caso verificatosi nel 2006, è dettata dal d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 ma le norme riguardanti il fatto per cui si procede si pongono in continuità normativa con le parallele norme che sono subentrate con il d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81; di talché i motivi di ricorso possono ben essere vagliati anche alla luce della giurisprudenza formatasi sull'attuale testo unico sulla sicurezza del lavoro.
2. A tal riguardo, in ordine al primo motivo di ricorso circa la qualifica di datore di lavoro, la Corte ha compiutamente individuato nell'imputato, quale soggetto rappresentante legale della S. S.p.A., la figura del datore di lavoro che ha anche avuto sostanzialmente l'esercizio dei poteri decisionali e di spesa. La delibera del 17/06/2003, a parere della difesa, attribuendo all'imputato solo compiti di ordinaria amministrazione, escluderebbe implicitamente quello di curare la sicurezza dei lavoratori. Ma ciò non costituisce un argomento meritevole di accoglimento. Atteso che l'atto di nomina del 17/06/2003 officia l'imputato della qualifica di amministratore delegato e di rappresentante legale della S. spa, tale da non dubitare che egli abbia maturato la qualifica di datore, si osservi che sia la sentenza di primo grado, sia la sentenza d'appello, conformemente ricostruiscono in modo esauriente la qualifica di datore di lavoro in capo all'imputato non solo quale amministratore delegato della S. S.p.A. - e ciò già sarebbe sufficiente ai sensi sia dell'art. 2 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, sia della identica normativa prevista dall'art. 2, lett. b), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - ma anche quale direttore di stabilimento con ampia capacità gestoria dell'intera azienda. Con tali attribuzioni l'imputato ha auto l'esercizio di potestà funzionali organizzative, decisionali, gestionali e di spesa inclusa la realizzazione delle misure di sicurezza previste per legge. Di conseguenza, l'esercizio in concreto dei poteri organizzativi datoriali, nel caso concreto coniugati con la titolarità formale di vertice dell'impresa quale amministratore delegato e rappresentante legale, costituiscono pienamente in capo all'imputato la qualifica datoriale. La competenza per le spese di ordinaria amministrazione, comunque, non soltanto non costituisce una "capitis deminutio" della qualifica datoriale, ma certamente non esclude il potere di spesa in materia di sicurezza; ciò in quanto è obbligo ordinario, non straordinario, e prioritario occuparsi delle misure di prevenzione e protezione in materia di sicurezza. Si consideri che nel caso specifico le misure mancanti sul piano della sicurezza non richiedevano comunque alcuno straordinario impegno di spesa, ma rientravano nel normale esercizio dei doveri e poteri organizzativi, formativi, e di ordinaria vigilanza.
3. Inoltre, la considerazione che l'imputato alla qualifica datoriale - formale e sostanziale - abbia impropriamente cumulato quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quindi anche di soggetto deputato alla elaborazione materiale della valutazione del rischio, contribuisce a costituire in capo al medesimo soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia, di adempimenti datoriali. Infatti, sebbene la qualità di datore di lavoro e quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione alle dimensioni dell'azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, aver unificato entrambe le funzioni, per scelta dello stesso datore di lavoro, contribuisce da un lato a recare confusione nell'ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro, e dall'altro a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro. Sul punto, proprio la valutazione della difesa esposta nel primo motivo di ricorso, circa l'alterità delle funzioni datoriali e di quelle del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, tipicamente consultive, depone a favore non di un'elisione ma di un duplice ruolo di garanzia svolto dall'imputato particolarmente e deliberatamente concentrato in materia di sicurezza del lavoro, sia sul più alto profilo decisionale e sia sul più importante piano consultivo. Il cumulo di due diversi ruoli - in un caso non previsto dalla normativa vigente all'epoca dei fatti - laddove tali ruoli secondo l'architettura normativa tipica avrebbero dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, e invece sono stati confusi, depone per una colpevole opacità e disfunzione organizzativa. Si tratta di un duplice profilo causale colposo che nel caso concreto ha manifestato tutta la sua nocività e ha ingenerato da parte dei lavoratori un incolpevole e legittimo affidamento sul corretto svolgimento dei ruoli e sull'esercizio dei poteri inerenti alle diverse posizioni di garanzia. Il ruolo consultivo e interlocutorio del r.s.p.p. deve essere funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale, soprattutto da quello datoriale, perché altrimenti si incrociano posizioni e funzioni con compiti strutturalmente diversi, che devono cooperare su piani diversi, decisionale il primo, consultivo il secondo. La dialettica tra chi esercita i poteri organizzativi e chi ha un ruolo tecnico ed elaborativo costituisce la sintesi di base da cui prende le mosse ogni determinazione organizzativa, amministrativa, tecnica, produttiva, in materia di sicurezza. Di conseguenza la confusione dei ruoli di per sé è indice di un colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro, tutt'altro che esimente.
4. La considerazione che l'imputato sia stato definito in sede contrattuale un dirigente, vale per l'inquadramento mansionale sul piano retributivo e in relazione al proprio rapporto di lavoro con la società, ma non vale ad elidere la figura di datore di lavoro ai fini della sicurezza, che si costituisce sia in ragione di un mero rapporto contrattuale, comunque venga qualificato, sia in presenza dell'esercizio anche soltanto di fatto di poteri decisionali e di spesa, a prescindere dal titolo contrattuale che lo ha insediato in quel ruolo. Nel caso concreto emerge con chiarezza l'esercizio di tali poteri decisionali e di spesa che, sebbene formalmente limitati all'ordinaria amministrazione, comunque comprendevano ogni profilo gestorio e organizzativo sulla produzione, sul controllo degli impianti, sulle procedure lavorative, sulla formazione e informazione che in concreto hanno svolto un determinante ruolo causale dell'evento mortale per cui si procede. Pertanto, deve essere rigettato il primo motivo di ricorso.
5. In ordine al secondo motivo di ricorso, imperniato sulla asserita esistenza di una delega di funzioni a favore dell'ing. C., la sentenza della Corte di appello, in linea con quella di primo grado, evidenzia che è mancata la prova dell'esistenza di un atto formale di trasferimento delle funzioni ad altro soggetto. In particolare, la motivazione espone con chiarezza che tale circostanza è stata allegata ma non provata dalla difesa e che peraltro dalle testimonianze dei dipendenti e del tecnico della prevenzione del servizio di prevenzione sui luoghi di lavoro non è emersa l'esistenza di alcuna delega. Da tali elementi probatori unitamente ad altre deposizioni testimoniali è invece emerso che l'imputato, presente in fabbrica nel giorno dell'incidente, ha sempre operato direttamente sull'organizzazione del lavoro, sulla ripartizione di compiti, sulla attribuzione di mansioni anche alla vittima dell'incidente mortale per cui si procede, ed ha quindi svolto direttamente e concretamente le proprie funzioni datoriali esplicitate con l'esercizio di propri poteri organizzativi, decisionali e di spesa. Ne consegue che in assenza di un atto di effettiva delega, in presenza dell'esercizio diretto dei poteri datoriali da parte dell'imputato, non v'è alcun rilevante atto di trasferimento di funzioni all'interno dell'azienda che può rilevare in senso esimente. Pertanto, si rigetta il secondo motivo di ricorso.
3. Da tale piena qualifica datoriale, emerge conseguentemente la responsabilità per gli altri due obblighi contestati sul piano della colpa specifica e della causalità materiale. In primo luogo, l'omessa completa ed esauriente valutazione del rischio connesso all'impianto presso il quale operava la vittima - rischio costituito dall'uso e dalla manutenzione del mescolatore a pale, come collegato all'impianto elettrico - è attività che sul piano operativo, cognitivo, progettuale, rientrava pienamente nei compiti dell'imputato. Ciò sia innanzitutto come soggetto titolare del servizio di prevenzione e protezione, ruolo interpretato in termini meramente formali, e contemporaneamente come soggetto apicale con poteri decisionali e organizzativi su tutta l'attività produttiva. L'imputato avrebbe dovuto in particolare valutare rischi e misure di prevenzione sull'uso del macchinario dove ha trovato la morte A.J., in relazione specifica alle mansioni e ai compiti attribuiti alla vittima dallo stesso imputato. Nella qualità di titolare del ruolo datoriale l'imputato avrebbe dovuto tenere aggiornato il documento di valutazione dei rischi anche con la mansione cui era addetto il lavoratore infortunato in relazione all'uso del macchinario che lo ha travolto. Non è accoglibile sul punto la congettura difensiva con cui si asserisce che non spettava all'imputato aggiornare il documento di valutazione del rischio in quanto tale compito sarebbe stato di esclusiva competenza di chi era il datore di lavoro. Invece è proprio dalla duplice qualifica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di datore di lavoro che emerge comunque il compito in capo alla medesima persona di valutare, elaborare, prevenire e gestire il rischio, ivi compreso l'aggiornamento del documento di valutazione del rischio che peraltro è compito indelegabile del datore di lavoro. Pertanto, si deve respingere anche il terzo motivo di ricorso.
4. In ordine al quarto motivo di ricorso, alla qualifica di datore di lavoro corrisponde l'obbligo di formazione e informazione dei lavoratori che nel caso è stato sostanzialmente e totalmente omesso da parte dell'odierno imputato. Anche su questo punto ascrivere ad altro soggetto, nello specifico l'ing. C. il dovere di informazione, formazione ed addestramento del lavoratore deceduto, costituisce una mera asserzione che non trova riscontro in alcun atto formale di delega o comunque di incarico specifico alla formazione. Anche a voler ritenere di avere sostanzialmente incaricato altri di adempiere all'obbligo di formare e addestrare il lavoratore deceduto, si deve evidenziare che l'omessa cura dell'addestramento e dell'istruzione professionale del lavoratore avrebbe potuta e dovuta essere controllata e corretta dall'imputato qualora altri soggetti eventualmente incaricati non vi avessero utilmente provveduto. Tale ruolo di vigilanza, di controllo e di cura dell'istruzione professionale sull'uso della macchina e degli impianti correlati in relazione ai rischi della dinamica dell'impianto stesso, non risultano comunque adempiuti. Si respinge, di conseguenza, il quarto motivo di ricorso.
5. In relazione al quinto motivo di ricorso, incentrato su una asserita prova incompleta del nesso causale che non sarebbe stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio, con riferimento ad una possibile patologia cardiaca del lavoratore deceduto, si deve rilevare che anche per tale circostanza la mera allegazione di una ipotetica patologia cardiaca di cui sarebbe stato affetto il lavoratore, costituisce oggetto di un accertamento di fatto estraneo alla sede di legittimità. Peraltro, tale ipotesi meramente allegata, e non provata dalla difesa, indicherebbe un dubbio ragionevolmente sciolto nel corso dell'istruttoria che non ha evidenziato alcun concreto fattore esclusivo, concorrente o interruttivo del nesso causale tra la manovra eseguita presso l'impianto e lo schiacciamento del cranio della vittima. Anche per il quinto motivo di ricorso il Collegio deve respingere la richiesta di annullamento della difesa.
6. Infine, con il sesto motivo di ricorso si lamenta la concessione delle attenuanti generiche in misura equivalente sulla contestata aggravante anziché in misura prevalente. Al riguardo la motivazione della Corte d'appello affronta esaurientemente la valutazione degli elementi che guidano la discrezionalità del giudice nella ponderazione di equivalenza o prevalenza delle attenuanti generiche sulla aggravante contestata. In particolare, si osservi che non si rileva alcuna contraddittorietà o carenza di motivazione e né tantomeno manifesta illogicità nell'aver considerato l'avvenuto risarcimento del danno, la condotta processuale positiva e l'incensuratezza dell'imputato quali elementi circostanziali generici a favore dell'imputato ma in termini di eguale valore rispetto al disvalore della aggravante della violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. In definitiva, tutti i motivi di ricorso devono essere rigettati e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.