Trasferita da Torino a Firenze, senza che il datore abbia dato alcun preavviso né si sia curato di motivare l'urgenza di assegnare un posto rimasto a lungo vacante. La distanza di ben 400 chilometri giustifica la scelta di non presentarsi nella nuova sede.
Svolgimento del processo
1. la Corte d'Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, ha confermato - per quanto qui rileva - la pronuncia di primo grado con cui, nell'ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 - era stata respinta l'opposizione proposta da U. Assicurazioni Spa avverso l'ordinanza del Tribunale che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a V.F. in data 21 settembre 2018;
2. la Corte, premesso che la F. era stata assunta dalla società a Firenze il 3 agosto 2018 in seguito a contenzioso giudiziale, ha evidenziato che il 10 agosto successivo era stato comunicato alla lavoratrice il "trasferimento/assegnazione alla diversa sede di Torino" e che la medesima aveva opposto l'eccezione di inadempimento cx art. 1460 c.c., "mettendosi comunque a disposizione della società nell'originaria sede fiorentina"; ha constatato poi che, in seguito alla mancata presentazione della F. a Torino, le era stato intimato il licenziamento disciplinare;
3. la Corte ha innanzitutto considerato l'inadempimento della società, essendo "incontrovertibile l'illegittimità del mancato rispetto del preavviso per non essere sussistenti le condizioni di cui al quinto comma dell'articolo 64 del CCNL"; in base alla disciplina collettiva richiamata "qualora particolari ragioni di urgenza non consentano di rispettare i termini di preavviso di cui al comma che precede (riguardante il trasferimento), il dipendente viene considerato in missione sino alla scadenza dei suddetti termini"; la Corte ha condiviso l'assunto del Tribunale secondo cui "delle condizioni presupposte di quella specifica eccezione negoziale il datore di lavoro non avesse affatto reso dimostrazione: il posto nell'ufficio di Torino era scoperto da oltre 12 mesi, senza che alcuno fosse stato chiamato nel frattempo a coprirlo e tale rimase nonostante la mancata presa di servizio della F."; a fronte di tale inadempimento della società, la Corte ha argomentato che, "come già osservato dal Tribunale in primo grado, la lontananza della nuova sede ben giustifica a mente del principio di correttezza e buona fede l'astensione (quanto meno temporanea) della dipendente, soprattutto, si osserva in questa sede, se si tiene conto del contrapposto totale silenzio serbato dal datore di lavoro sulle ragioni del così repentino imposto spostamento"; "del resto - aggiunge la Corte - la lavoratrice ha assicurato comunque la sua disponibilità a prestare servizio a Firenze";
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con 2 motivi; ha resistito con controricorso l'intimata;
4. la proposta del relatore cx art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
Motivi della decisione
1. il primo motivo di ricorso denuncia: "in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c., co. 1, c.c., dell'art. 2103 c.c. e dell'art. 64 c.c.n.l. Ania e omesso esame di un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione delle parti"; si sostiene che non ci sarebbe stato inadempimento della società, in quanto nella specie ricorrevano le "particolari ragioni di urgenza" previste dall'art. 6 del contratto collettivo applicabile; s1 eccepisce che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale sarebbe "priva di qualunque supporto probatorio"; la censura è inammissibile sia perché invoca il n. 5 dell'art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. "doppia conforme" ex art. 438 ter u.c., sia perché non denuncia un errore di diritto, quanto piuttosto mette in discussione un accertamento di fatto qual è sicuramente la ricorrenza o meno dell'inadempimento datoriale delle "ragioni d'urgenza" nella fattispecie concreta;
2. con il secondo motivo, subordinatamente, si denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 1460, comma 1, c.c."; si sostiene che il rifiuto apprestato dalla lavoratrice di recarsi a Torino sarebbe contrario a buona fede perché "sproporzionato" aspetto al preteso inadempimento datoriale"; la censura non può trovare accoglimento; La Corte territoriale ha operato la verifica richiesta dalla giurisprudenza cli legittimità in ordine all'eccezione cx art. 1460 c.c. con un apprezzamento delle circostanze di fatto riservato ai giudici del merito; invero questa Corte ha sancito che l'inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c. secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede; la relativa verifica, in coerenza con le caratteristiche del rapporto di lavoro riconducibile all'alveo dei contratti a prestazioni corrispettive, deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell'ambito delle c.1uali s1 potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell'inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell'ottica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost.; tale verifica è rimessa all'esame del giudice di merito cd è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici (ex multis, in particolare, v. Cass. n. 11408 del 2018; conf. Cass. n. 434 del 2019; Cass. n. 11180 del 2019; Cass. n. 21391 del 2019; in precedenza v. Cass. n. 4709 del 2012; Cass. n. 11118 del 2002); nella specie, rispetto al convincimento concordemente espresso dai Giudici di merito ai quali compete, l'assunto di parte ricorrente esprime solo un'opinione dissenziente che non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata;
3. conclusivamente il ricorso va respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo; occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, 1. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese liquidate in curo 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.