Errato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'interesse ad impugnare il provvedimento di sequestro è diverso a seconda della natura “analogica” o “digitale” del suo oggetto.
Il Tribunale di Bari accoglieva l'istanza di riesame proposta contro il decreto di perquisizione e di sequestro probatorio emesso dal PM, volto alla ricerca e al sequestro di documentazione e apparecchiature informatiche nell'ambito di un procedimento penale che non vedeva, allo stato, l'istante quale indagato.
Durante il procedimento di riesame, il PM trasmetteva alla cancelleria i provvedimenti didissequestro e di restituzione dei beni sequestrati, evidenziando che non si era verificato alcun pregiudizio dei sistemi informatici. La difesa dell'istante, d'altra parte, aveva invece ribadito l'interesse attuale e concreto alla discussione dell'impugnazione ai fini dell'utilizzabilità delle risultanze del sequestro in dibattimento, vista l'estrazione di copie forensi dallo smartphone dell'interessato.
Contro l'ordinanza di annullamento, il Procuratore della Repubblica propone ricorso per cassazione, lamentando la mancata declaratoria di inammissibilità della richiesta di riesame per carenza di interesse.
Con la sentenza n. 17878 del 4 maggio 2022, la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo l'orientamento giurisprudenziale in base al quale nel sequestro di supporti informatici, la copia del dato informatico in esso contenuto e il suo trattenimento non possono ritenersi una “restituzione del bene” in sequestro se il valore del dato risulti ancora sottratto all'avente diritto. Per questo, si ritiene che «l'interesse nell'impugnazione in tema di sequestro probatorio di dati informatici dovesse ravvisarsi nella tutela del diritto di ogni soggetto alla disponibilità “esclusiva del proprio “patrimonio informativo”, la cui lesione era ipotizzabile anche in caso di restituzione del supporto contenente i dati, e la cui tutela assumeva connotazioni pressanti soprattutto nei casi di sequestro avente ad oggetto informazioni incidenti sul diritto alla riservatezza o al segreto».
Sulla scorta di tale orientamento, le Sezioni Unite hanno ribadito più volte che anche qualora venisse restituito il supporto sul quale era contenuto il dato, permane comunque l'interesse ad impugnare il provvedimento ablativo, per verificarne la sussistenza dei presupposti applicativi. Tale interesse deve essere concreto e attuale, specifico e oggettivamente valutabile in base ad elementi che indichino in termini univoci la lesione di interessi primari derivanti dall'indisponibilità delle informazioni contenute nel documento; inoltre, esso deve essere provato. Proprio tale precisazione si collega a quanto detto sopra sull'interesse alla «disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”».
Quanto alla valutazione circa la sussistenza dell'interesse concreto al riesame, la Cassazione evidenzia che essa, qualora non sia possibile sulla base di quanto già evidente, deve essere oggetto di specifiche allegazioni della parte interessata.
Concludendo, gli Ermellini definiscono errata la tesi secondo cui l'interesse all'impugnazione del sequestro è diverso a seconda della natura “analogica” o “digitale” del contenuto del provvedimento.
Del resto, nel caso di specie, ove l'oggetto sequestrato era lo smartphone dell'interessato, sarebbe stato sufficiente per quest'ultimo dedurre la presenza dei dati personali e professionali in esso contenuti, sulla scorta di quanto già affermato anche dalla giurisprudenza della Corte EDU, per la quale il sequestro di uno smartphone e dei dati in esso contenuti comporta un'ingerenza nel diritto al rispetto della corrispondenzaex art. 8 CEDU.
Sussistendo, dunque, l'interesse all'esclusiva disponibilità dei dati estratti dallo smartphone dell'istante, la Cassazione dichiara il ricorso del Procuratore inammissibile.
Svolgimento del processo
1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Bari accoglieva l'istanza di riesame, proposta da E.L., avverso il decreto di perquisizione e di sequestro probatorio, emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari in data 10 novembre 2017. Da quanto emerge dal provvedimento del Tribunale, il suddetto decreto era finalizzato a ricercare e a sequestrare presso l'abitazione e altri locali in uso di E.L., allo stato non indagato, documentazione e apparecchiature informatiche nell'ambito del procedimento per reati di cui agli artt. 416, 640, 353, 356, 479 e 483 cod. pen. e, dunque, cose pertinenti o costituenti corpo dei medesimi reati. L'esecuzione del decreto aveva portato al rinvenimento e al sequestro di documentazione inerente alla società E. s.r.l. e di apparecchiature informatiche aziendali e di apparecchiature e telefoni cellulari fra cui, in particolare, un cellulare di cui il L. era titolare e a questi in uso. Nel procedimento di riesame, azionato la E.L. il Pubblico Ministero aveva trasmesso alla cancelleria del Tribunale i provvedimenti di dissequestro e di restituzione delle cose sequestrate, evidenziando che tutti i beni in sequestro erano stati dissequestrati, senza pregiudizio dei sistemi informatici. La difesa dell'istante aveva, invece, ribadito l'interesse attuale e concreto alla discussione dell'impugnazione, ai fini della utilizzabilità delle risultanze del sequestro in sede dibattimentale, stante la estrazione di "copie forensi" dal telefono cellulare e la natura personale dei dati in esso contenuti, argomentazione condivisa dal Tribunale che riteneva che il L. aveva un interesse concreto ed attuale al riesame in quanto titolare del cellulare dal quale era stata tratta una copia forese dei dati contenuti, non essendo tale legittimazione incisa dalla restituzione del solo apparecchio telefonico. Ciò premesso, il Tribunale riteneva l'atto di sequestro probatorio viziato per difetto di motivazione (sulla condotta ipotizzata a carico degli indagati, sugli specifici beni da sequestrare, sulla relazione tra i beni e i fatti di reato, sulle ragioni del vincolo reale) e per violazione del principio di proporzionalità (avendo il sequestro e la copia forense riguardato l'intero ed indiscriminato contenuto degli strumenti informatici e del cellulare).
2. Avverso l'ordinanza di annullamento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Bari, denunciando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge (artt. 258, 262, 324 e 591 cod. proc. pen.), quanto alla mancata declaratoria di inammissibilità dell'istanza di riesame per carenza di interesse. Il Tribunale ha del tutto ignorato l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 40963 del 2017) in ordine alla necessità che il soggetto legittimato all'impugnazione del riesame di un sequestro probatorio di supporti informatici, dopo la restituzione previa estrazione di copia, deduca un interesse concreto e attuale alla esclusiva disponibilità di tali dati. Nella specie, tutti i beni sono stati restituiti senza pregiudizio dei sistemi informatici e il L. avrebbe soltanto dedotto un generico e indimostrato interesse per la intrusione nella sfera personale e professionale. L'impugnazione del riesame era inoltre inammissibile per erroneità del mezzo scelto, trattandosi di sequestro probatorio eseguito dalla P.G.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
2. Rileva il Collegio che, in data odierna, è stata deciso altro ricorso del Pubblico Ministero, relativo alla posizione di R.L., con argomentazioni condivisibili. Le considerazioni di seguito svolte, anche sulla scorta della necessaria premessa in fatto dalla quale muovono le considerazioni del Collegio, rendono manifestamente infondata la questione sollevata dal Procuratore generale con richiesta di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite sulla sussistenza dell'interesse a richiedere al giudice cautelare il controllo giurisdizionale sulla legittimità genetica del provvedimento ablativo, le cui risultanze sono destinate a far parte del patrimonio processuale, nonostante la pronta restituzione dei dispositivi coercitivamente acquisiti per effettuare le operazioni di trasferimento dei dati. In ordine alla questione dell'interesse di E.L., proprietario del telefono cellulare ad impugnare con riesame il decreto di sequestro qualora sia stata disposta la restituzione degli originali e dei supporti informatici oggetto di sequestro probatorio, previa estrazione di copia dei dati informatici, le cc.dd. copie forensi, deve, infatti, osservarsi quanto segue, mutuando la motivazione della richiamata sentenza.
2.1. "La giurisprudenza di legittimità, sin dall'orientamento inaugurato dalla sentenza R. (Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rv. 264093) e poi confermato dalle Sezioni Unite A. (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Rv. 270497), ha stabilito che nel sequestro di supporti informatici la copia del dato informatico in esso contenuto ed il suo trattenimento (poco rilevando il concetto di originale e copia avendosi sostanzialmente, per la peculiarità del mezzo, una pluralità di "originali") non possono ritenersi una "restituzione del bene" in sequestro quando il valore in sé del dato risulti ancora sottratto all'avente diritto: "un dato segreto, un progetto, ma anche il nome di una fonte, sono informazioni il cui valore consiste nella riservatezza del dato, la sua circolazione in più copie può costituire una privazione del bene rispetto al quale non può non ritenersi sussistere un diritto al riesame" (così, Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, cit.). Pertanto, si è ritenuto che l'interesse nell'impugnazione in tema di sequestro probatorio di dati informatici dovesse ravvisarsi nella tutela del diritto di ogni soggetto alla disponibilità esclusiva del proprio "patrimonio informativo", la cui lesione era ipotizzabile anche in caso di restituzione del supporto contenente i dati, e la cui tutela assumeva connotazioni pressanti soprattutto nei casi di sequestro avente ad oggetto informazioni incidenti sul diritto alla riservatezza o al segreto. Le Sezioni Unite A., facendo propria questa prospettiva interpretativa, hanno ribadito che, nonostante la restituzione del supporto sul quale il dato è contenuto, permane comunque un interesse all'impugnazione del provvedimento ablativo per la verifica della sussistenza dei presupposti applicativi. Interesse che in ogni caso deve essere concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute nel documento, la cui sussistenza andrà dimostrata, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo generiche allegazioni.
2.2. Questa ultima precisazione contenuta nella sentenza A. va riconnessa a quell'interesse alla «disponibilità esclusiva del "patrimonio informativo"» che deve evidentemente giustificare l'impugnazione ai fini della restituzione dei dati acquisiti e che, in linea generale (a fronte del sequestro di supporti informatici), non può dirsi "presunto" ma deve essere puntualmente verificato. Invero, il sequestro può colpire pacificamente dati estranei alla sfera personale del titolare del documento (ad es. l'archivio informatico contenente una raccolta di dati di pubblica disponibilità e libero accesso) e le Sezioni Unite hanno voluto richiamare quello che è un principio generale in tema di impugnazioni. Come hanno più volte affermato le Sezioni Unite (anche da ultimo, Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, M., Rv. 275953), l'interesse ad impugnare deve essere "concreto", oltre che attuale, in quanto la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non può essere assoluta e indiscriminata, ma subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e l'eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Le Sezioni Unite in questo arresto hanno anche precisato che la concretezza dell'interesse debba essere parametrata al raffronto tra quanto statuito dal provvedimento impugnato e quanto, con l'impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere. In definitiva, la verifica della sussistenza dell'interesse va condotta sulla base di quanto emerga da tale raffronto, valutando se l'accoglimento dell'impugnazione davvero arrecherebbe alla parte impugnante una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole, non essendo richiesto a chi impugna dover sempre e comunque "dimostrare" positivamente tale interesse".
2.3. Evidenzia il Collegio che il Tribunale ha dato atto che E.L. era portatore di un interesso concreto e attuale alla restituzione dei dati estratti dal cellulare, dopo aver premesso che l'istante era titolare dell'apparecchio oggetto di sequestro probatorio e aveva rappresentato la presenza di dati personali e professionali riservati. Ebbene, l'errore prospettico del ricorso in esame risiede nell'aver interpretato il principio affermato dalla sentenza A. in termini astratti ed eccessivamente rigidi. Nei casi affrontati sia dalla sentenza R. che dalle Sezioni Unite A., la mancanza di interesse ravvisata dalla Suprema Corte era stata motivata sul rilievo che non risultava "dagli atti" del procedimento di cassazione cosa fosse stato in concreto acquisito con il sequestro di un computer, né tantomeno ciò era specificato dalle allegazioni difensive. Si era, difatti, tenuto conto che è nella natura dei dispositivi informatici che i "files" in essi contenuti possano essere privi di alcuna individualità e riferibilità al soggetto che ha il possesso del dispositivo stesso (come è il caso dei dati del sistema operativo, dei programmi, dei dati scaricati in automatico nel corso della navigazione internet); e tale stessa natura (può) rende(re) di non immediata apprezzabilità la natura "proprietaria" o generica dei dati nonché la titolarità in capo al richiedente del diritto alla restituzione. Questa la ovvia ragione della necessità di una particolare valutazione della sussistenza nel caso concreto di un interesse specifico al riesame (che deve essere riferito, come noto, al diritto alla disponibilità del bene e non alla fondatezza della iniziativa penale e/o alla esclusione di quanto oggetto di apprensione dal materiale probatorio); valutazione che, laddove non sia possibile sulla scorta di quanto già evidente, deve essere oggetto di una specifica allegazione della parte interessata. Si pensi, ad. es., oltre al caso delle sentenze A. e R. in cui neanche era stato detto cosa fosse stato copiato, a quello del terzo che intenda vantare il diritto alla esclusività di dati informatici personali contenuti in un apparecchio altrui. In definitiva, quindi, è erroneo sostenere, in contrasto con la giurisprudenza richiamata, che l'interesse all'impugnazione del sequestro sia diverso a seconda della natura "analogica" o "digitale" dell'oggetto del provvedimento, affermazione del resto ingiustificabile in base alle norme di riferimento. Nel caso in esame la situazione è ben diversa da quelle in cui si rende necessaria una allegazione specifica da parte della difesa per qualità del materiale o dubbia riferibilità al ricorrente. In primo luogo, il Tribunale in sede di riesame era a conoscenza del materiale sequestrato e quindi in grado di valutare direttamente l'interesse all'impugnazione allegato dall'istante. In secondo luogo, oggetto del sequestro era un apparecchio telefonico, uno smartphone, di cui era titolare il ricorrente e nella sua disponibilità esclusiva. Evidentemente in caso di sequestro di tale strumento informatico, destinato per la sua stessa natura a raccogliere dati informatici di natura personale e professionale (materiale audio visivo, dati di localizzazione, posta elettronica, passwords, dati relativi al traffico telefonico, messaggistica elettronica, ecc.) era sufficiente da parte dell'istante dedurre - come avvenuto nella specie - la presenza nell'apparecchio di dati siffatti, essendo ultroneo dover pretendere la pleonastica dimostrazione in termini positivi dell'interesse alla disponibilità esclusiva di quanto vi era contenuto. È appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, il sequestro di uno smartphone e dei dati da esso estratti comporta un'ingerenza nel diritto al rispetto della corrispondenza ai sensi del primo comma dell'articolo 8 della Convenzione (sentenza S. c. Norvegia, 17 dicembre 2020, n. 459/18). Pertanto, deve ritenersi che, in caso di istanza di riesame del sequestro probatorio di un apparecchio telefonico, sussista l'interesse alla esclusiva disponibilità dei dati estratti da quest'ultimo, in quanto si tratta di strumento informatico destinato per la sua stessa natura a raccogliere dati personali e riservati.
3. Quanto al secondo profilo di censura, per erroneità del mezzo di impugnazione, va osservato che il motivo è del tutto generico, essendosi limitato il ricorrente alla mera enunciazione di un principio di diritto, senza specificare come lo stesso sia pertinente al caso in esame (trattandosi tra l'altro di questione neppure sollevata dal P.M. nel contraddittorio in sede di riesame).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.